Enti locali
Venezia tra overtourism e logiche private. Programmare stanca
Nelle scorse settimane, annunciando le novità della stagione estiva, Ryanair ha enfatizzato lo spostamento di un aereo dalla base dell’aeroporto di Venezia Marco Polo a quella di Trieste Ronchi dei Legionari. La motivazione a cui è stato dato un certo risalto mediatico è la minore tassazione dello scalo triestino rispetto a quello veneto dove, da maggio scorso, l’addizionale comunale è passata da 6,50 a 9 euro per passeggero in partenza. Dell’assurdità e delle contraddizioni dell’addizionale comunale – che di locale ha solo il nome in quanto incassata dallo Stato – e di altre tasse sul trasporto aereo abbiamo parlato in precedenza qui, dunque non ci dilunghiamo. L’aumento è stato imposto dal Comune di Venezia e vanamente osteggiato dal gestore del Marco Polo, Save Spa, e dalle compagnie aeree low cost. Siccome però di Venezia non si può fare a meno, alla fine tutti i vettori si sono limitati a qualche comunicato stampa, tranne gli irlandesi che ogni tanto si possono permettere un’azione dimostrativa come quella di spostare un aereo, pari a 5 rotte settimanali, a poche decine di chilometri di distanza. Posto che per i viaggiatori di Ryanair, al 99 per cento turisti, cambia davvero poco e non sarà certo l’atterraggio a Ronchi dei Legionari un deterrente a visitare il centro storico più ambito al mondo, viene da chiedersi quali logiche seguano la politica e le istituzioni pubbliche rispetto al principale polo logistico del Nordest, composto dall’aeroporto e dal porto di Venezia.
Prendiamo per un momento in esame la posizione del Comune di Venezia. A una prima occhiata la vicenda si inserisce tra le azioni per contrastare il turismo di massa, da due decenni ormai il principale imputato dello spopolamento cittadino (Venezia è scesa l’anno scorso sotto la soglia dei 50 mila abitanti) e della trasformazione in un parco a tema a uso e consumo dei visitatori mordi e fuggi, dove a mordere è però soprattutto chi approfitta della rendita data da un’abitazione nelle isole. I dati di Airbnb aggiornati a dicembre 2023 ci dicono che gli appartamenti o le camere in affitto nelle isole sono 6.472 che sono occupati mediamente 100 notti l’anno, hanno un prezzo medio di 203 euro a notte e producono ricavi annui medi di 16.215 euro ciascuno. Ai flussi garantiti dagli alberghi e dagli alloggi si aggiungono i 500 mila viaggiatori che ogni anno si imbarcano da Venezia per una crociera (erano molti di più fino al 1 agosto 2021, giorno in cui è entrato in vigore il blocco di attraversamento del bacino di San Marco delle grandi navi e di attracco alla Marittima) e che non pernottano e tutti quelli che arrivano via terra. Totale stimato, circa 30 milioni di visitatori l’anno di cui solo 11,5 milioni si ferma almeno una notte, che va ben oltre le cifre ufficiali. Da notare che la sostenibilità turistica del centro storico secondo alcuni studi, pur datati, fissa l’asticella a 7,5 milioni di turisti l’anno. Tra questi, citiamo il saggio di Paolo Costa, poi sindaco della città, elaborato nel 1996 con Jan van der Borg e Giuseppe Gotti Tourism in European heritage cities che per la prima volta introduce il concetto di mono cultura turistica ed esplicita i danni per le attività economiche tradizionali e per la qualità della vita degli abitanti (pag. 316).
Con questi numeri, è palese che ci sia un dibattito infiammato per frenare i flussi di turismo in città. Di tutte le scelte che poteva fare e con molte e diverse proposte avanzate dai soggetti più disparati, l’attuale sindaco, Luigi Brugnaro, sembra interessato ai dividendi generati dal turismo: ha scartato l’ipotesi di controllare, limitare e ridurre gli affitti a breve termine in favore di una tassa ‘sui foresti’, formalmente ed educatamente ribattezzata Contributo di accesso, cioè 5 euro a testa che dovranno pagare tutte le persone che entrano in città in una delle 29 giornate designate per la sperimentazione, esclusi i residenti in Veneto, gli studenti, i lavoratori e poche altre categorie ( ci sono 28 categorie di esclusi nella DG comunale della tassa), a meno che non dormano almeno una notte in centro storico.
E deve essere stata una bella soddisfazione poter condire l’antagonismo (qui usiamo solo belle parole) con il presidente di Save, Enrico Marchi, con una gabella da 2,5 euro a passeggero, entrata in vigore da fine maggio 2023.
Il gestore dell’aeroporto alla fine ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco, anche perché ha di recente varato un masterplan che prevede al 2037 il raddoppio delle superfici dell’aerostazione, intensifica l’uso della struttura esistente anche con la pista di rullaggio, il collegamento ferroviario e, soprattutto, il quasi raddoppio del traffico passeggeri che dovrebbe superare i 20 milioni l’anno, oggi sono 11,5. Il piano ha un valore di 2 miliardi di euro le cui opere sono destinate ad avere un impatto forte su tutto il territorio circostante, e la sua attuazione un impatto rilevante sulla città di Venezia poiché il 70 per cento del traffico passeggeri nello scalo lagunare è costituito da turisti.
Mentre il Comune passa all’incasso sulla ricchezza prodotta da altri, la Regione si adopera in cenni di assenso benevolente sul piano e il presidente Zaia approfitta delle passerelle offerte nelle conferenze stampa di Save per ribadire che «gli aeroporti veneti lasciano il segno in Europa».
L’orgoglio regionale è soddisfatto e siamo tutti contenti ma, se a causa dell’eccessiva tassazione invece di spostare un solo aereo Ryanair avesse deciso di chiudere la base di Venezia e così altre compagnie aeree, chi avremmo dovuto ringraziare? Certo il Comune, ma anche la Regione che non ha mosso un dito per fermare l’iniziativa della giunta Brugnaro, fra l’altro considerata politicamente amica. E, ancora, se il piano di sviluppo dell’aeroporto ha un impatto tale da essere stato soggetto a dibattito pubblico e ad aver stimolato 39 osservazioni in poche settimane, qual è stato il ruolo della Regione? A quale interesse pubblico risponde? Chi programma le infrastrutture in Veneto e secondo quale visione?
Abbiamo girato queste domande a Franco Migliorini, architetto urbanista ed esperto di sistemi di trasporto, profondo conoscitore della realtà veneta. La sua prima risposta è secca: «La visione è frammentaria e addizionale ma non di insieme: il peso delle singole scelte aziendali è soprattutto in capo ai gestori tranne che per le strade e autostrade su cui l’attenzione regionale è da sempre massima».
Per chi coltivi il beneficio del dubbio consigliamo la raccolta dei discorsi e interventi in aula di Carlo Bernini, curata da Daniele Ferrazza, caposervizio de La Nuova Venezia. Già il 27 maggio 1983 il Doge, così era chiamato Bernini, docente universitario di trasporti e quarto presidente della Regione, per il suo potere in Veneto e per la sua influenza nella corrente dei dorotei della DC, si dilunga per smontare le accuse dell’opposizione di mancanza di programmazione e per mettere in guardia i consiglieri dall’adozione di strumenti di pianificazione urbanistica come il Piano Regionale Territoriale di Coordinamento: ‘Il PTRC? Il PTRC, signori, è uno strumento delicato e complesso. Non so se è saggio precipitarne la realizzazione’ (pagg. 78-79). Fantastico, 19 parole condensano la politica veneta e ne fanno un manifesto pro futuro.
Se, a quasi 41 anni di distanza siamo ancora qua, probabilmente non è un caso. Ma torniamo alle infrastrutture. Migliorini ci spiega che le questioni sono interdipendenti e che non è possibile pensare al cielo senza considerare il mare, né al ferro senza guardare la gomma e allora ci fa un riassunto per temi.
Ferrovie
«Alla fine degli anni Ottanta fu concepito il Sistema Ferroviario Metropolitano di Superficie che avrebbe dovuto costituire l’infrastruttura di connessione della città metropolitana policentrica. Il progetto si è trascinato malamente per essere poi abbandonato perché l’idea della grande città fa venire l’orticaria a un partito, la Lega, il cui consenso si fonda sul campanilismo e sulle piccole imprese con base provinciale». Dal 2000, anno in cui la Lega entra in giunta veneta con il secondo Galan, la spesa pubblica per le ferrovie è costantemente agli ultimi posti tra le regioni italiane con investimenti variabili tra lo 0,27 e lo 0,19 per cento del bilancio regionale. Non sorprende dunque che alcuni collegamenti tra la periferia e il centro della Regione siano estremamente lenti e poco convenienti: da Belluno per Venezia e Padova, Rovigo per Verona, Chioggia per Venezia, Schio per Vicenza i tempi di percorrenza sono simili a quelli degli anni Sessanta.
Strade
Sulle strade, al contrario, la Regione investe molto di più, ricorda Migliorini, «perché visto che si è lasciato costruire dove ciascuno desiderava e senza alcun principio pianificatorio, il pubblico deve rincorrere imprenditori e comuni con collegamenti in grado di rispondere a uno sviluppo disordinato e privo di sostanziali controlli sul consumo di suolo. Inoltre, la Regione è entrata nella gestione delle autostrade con una società fatta con Anas e va da sé che ogni cittadino che sale su un treno è un pedaggio in meno nelle casse regionali». Casse da cui usciranno i soldi per pagare la pedemontana veneta, la nuova superstrada tra Treviso e Vicenza il cui traffico non è sufficiente a coprire i costi di costruzione, fatti con progetto di finanza, nonostante il pedaggio sia quasi il doppio rispetto alla media delle autostrade italiane. «La fiscalità pubblica sarà chiamata a ripianare le perdite per i prossimi decenni», afferma laconico Migliorini. E così potrebbe finire anche la nuova via del Mare, tra Treviso e Jesolo che sostanzialmente trasformerà a pedaggio una strada regionale per collegare la località sul litorale cresciuta a dismisura negli ultimi 30 anni a colpi di condomini e seconde case.
Porto
Il porto commerciale a Venezia movimenta 5-600 mila teu l’anno (un teu è equivalente a un container da 6,1 metri di lunghezza), è un medio porto europeo che serve l’entroterra veneto, del Trentino Alto Adige e in parte lombardo. Ma è dentro la Laguna e quindi non può accogliere le grandi navi portacontainer ma solo quelle che trasportano fino 7.000 teu. «Il punto vero però è un altro», afferma Migliorini: «fino a quando? Fra pochi decenni l’innalzamento marino calcolato tra i 40 e i 50 centimetri costringerà a tenere sempre alzate le barriere del Mose, a meno che non si voglia allagare San Marco e Venezia intera in modo permanente. Quindi le navi non entreranno più. Servirebbe a questo punto un porto off shore, cioè al largo della laguna. È un progetto di cui si discute da oltre un decennio ma che non trova una sintesi dato che avrebbe bisogno di infrastrutture pesanti e costose, come il collegamento ferroviario con la terraferma tramite un ponte. Per farlo ci vogliono investimenti altissimi e una volontà politica ferrea, ma soprattutto ci vuole una visione di futuro condivisa per farne il porto dell’Alto Adriatico a servizio di Ravenna, e la pianura padana in aggiunta al Veneto. Sarebbe uno strumento interessante di pianificazione strategica del Nord del Paese. Francamente non si vede».
Per quanto riguarda le crociere, chiude Migliorini, «le vogliono riportare alla Marittima, oggi approdano a Marghera nelle banchine commerciali in mezzo ai minerali. Ci sono interessi convergenti dei terminalisti, che hanno maggiori guadagni a caricare le navi, e di Save, azionista di Vtp il gestore del terminal passeggeri, perché una quota consistente dei croceristi arriva in aereo. L’idea è di riportare i binari alla marittima e quando fra tre anni sarà pronto il collegamento ferroviario con l’aeroporto, trasferire i passeggeri direttamente in treno dall’aero alla nave».
Aeroporto
«Gran parte del traffico è costituito dai turisti e c’è una sorta di gigantismo di Save proiettata a rincorrere la crescita turistica mondiale che si annuncia già oggi con la previsione di crescita dei redditi in Medio Oriente e Asia. Si prenda allora il caso del necessario collegamento ferroviario; nel 2005 il Cipe aveva approvato un progetto di connessione fuori terra con una stazione di testa a doppio binario. Costo 245 milioni di euro. È stato accantonato per favorire la stazione sotterranea AV, la terza in città dopo Venezia Santa Lucia e Mestre, che verrà realizzata in terreni sciolti, impregnati di acqua salmastra con idrovore sempre in funzione. Costa 600 milioni ma, per risparmiare, avrà un solo binario, limitando fortemente l’efficienza del servizio». Anche in questo caso, sottolinea Migliorini, le aspettative e le richieste di Save obbediscono a una logica aziendale, in una logica di governo pubblico si sarebbe dovuto agire diversamente con una visione di insieme».
In copertina: veduta aerea dell’aeroporto di Venezia – Marco Polo
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