Enti locali

Unioni civili: perché è inaccettabile l’obiezione di coscienza dei Sindaci

27 Febbraio 2016

Ancora non è stata approvata definitivamente la legge sulle unioni civili che c’è già qualche Sindaco che si dichiara obiettore.

Vorrei riflettere a caldo sul perché questa posizione sarà, comunque, inaccettabile.

L’obiezione di coscienza, dal servizio militare alla legge sull’aborto, ha un significato profondo nella cultura giuridica democratica. Pone sempre seri problemi: si pensi al fatto che in Italia ci sono ospedali in cui i casi di obiezione sono così numerosi da compromettere il diritto delle donne che lo richiedono all’interruzione di gravidanza. Se poi si riflette sul fatto che ogni Stato, per definire i propri confini nazionali, si è via via identificato con quel popolo (nazione, appunto) pronto a combattere per difendere la propria autonomia da altri Stati, si capisce come l’obiezione al servizio militare abbia scosso e messo in tensione la stessa idea di Stato-nazione.  Pone problemi, quindi, ma proprio il suo riconoscimento nei sistemi giuridici costituisce un segno di quella civiltà democratica che riconosce l’individuo come una barriera invalicabile dallo Stato quando in gioco ci sono convinzioni profonde. Il diritto all’obiezione di coscienza va dunque usato e trattato con molta cautela.

Proprio in quanto limite alla richiesta dello Stato di prestare obbedienza alle sue leggi, l’obiezione di coscienza, per essere legittima, dev’essere prevista in modo specifico da leggi. È vero che prima di vedere riconosciuto dall’ordinamento il diritto all’obiezione (pensiamo ancora al caso del servizio militare) si sono in molti casi consumati anni di lotte, atti di disobbedienza e repressioni istituzionali. Il diritto all’obiezione, come altri diritti individuali, è spesso l’esito di una tensione che ridefinisce il rapporto tra individuo e potere.  Ma, proprio per questo motivo, il diritto all’obiezione di coscienza è un’opzione esercitabile solo dai singoli individui quando, nel corso della loro vita personale o professionale, si trovano a dover applicare una legge che contrasta con convinzioni profonde che costituiscono dei principi fondamentali della propria identità. Non è un diritto generico, ma un diritto riconosciuto solo in ambiti specifici (spesso riguardanti la vita o la morte, com’è per l’aborto e per la guerra) in cui lo Stato ritiene di doversi fermare di fronte alla coscienza (religiosa o laica) del singolo. Del singolo in quanto tale, non del singolo nei suoi ruoli istituzionali. Per esempio, un medico può esercitare il diritto all’obiezione di coscienza nei casi di interruzione volontaria della gravidanza, ma un direttore di ospedale, anche se medico, non può rifiutarsi di organizzare i servizi sanitari in modo tale da rendere possibile l’esercizio del diritto di interrompere la gravidanza.

In queste poche righe si possono trovare le ragioni per ritenere inaccettabile il fatto che dei Sindaci possano appellarsi in futuro all’obiezione di coscienza per non celebrare nel proprio Comune le unioni civili.

Prima di tutto perché sarebbe un controsenso che un rappresentante delle istituzioni – eletto dai cittadini proprio per svolgere il ruolo di rappresentare la comunità e di ufficiale di governo (quale un Sindaco è: presta anche un giuramento) – si dichiarasse obiettore: non è obbligato a essere Sindaco e fare il Sindaco non è una condizione esistenziale (come, in un certo senso, lo è l’essere cittadino) o lavorativa (come quella di medico o infermiere). Se non condivide una legge che è tenuto ad applicare e sente che contrasta con sue convinzioni profonde a tal punto che applicarla determinerebbe una lacerazione profonda nella sua coscienza individuale, un Sindaco può sempre dimettersi dalla carica di rappresentante istituzionale. Oppure può, in quanto singolo, non celebrare i matrimoni (pardon: le unioni civili) ma, in quanto rappresentante delle istituzioni, fare in modo che nel suo Comune ci sia chi lo faccia al posto suo: può, insomma delegare ad altri quella funzione. Ciò che proprio non può fare è impedire che nel suo Comune si possano svolgere le unioni civili, anche solo attraverso comportamenti omissivi (per esempio non delegando o creando ostacoli organizzativi all’applicazione della legge). Tra l’altro, se lo facesse, sono convinto che si configurerebbe il reato di abuso d’ufficio.

Per farla breve: ritengo che il diritto all’obiezione di coscienza, in qualsiasi ambito, non possa essere mai riconosciuto a un Sindaco in quanto Sindaco, proprio perché non agisce come singolo: accettando quella carica pubblica, si è impegnato a rappresentare una comunità e ad applicarne le leggi. Se non condivide una legge può contrastarla sul piano politico (in quanto sindaco ne ha gli strumenti), ma deve necessariamente fare in modo che venga applicata. Magari non in prima persona, attraverso lo strumento della delega, ma pur sempre fare il possibile perché venga applicata. Non c’è alternativa. O forse sì: se il conflitto tra sé come singolo e sé come Sindaco diventa insanabile, può decidere di dimettersi da quella carica pubblica, e la sua coscienza sarà salvaguardata.

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