Enti locali

Tutti vincitori, con vista sul baratro

1 Giugno 2015

Si partiva da 5 regioni per il centrosinistra e 2 per il centrodestra. E si arrivati con lo stesso risultato. Il PD ha perso la Liguria e il centrodestra ha perso la Campania, mantenendo l’esito finale esattamente come 5 anni fa. E siccome si è confermato il risultato complessivo, abbiamo avuto il solito “balletto” unanime di vincitori post-voto.

Ha vinto il PD che sbandiera il 10 a 2 complessivo dell’ “Era Renziana”.

Ha vinto Salvini che è nettamente primo partito del centrodestra (ad eccezione di Campania e Puglia).

Ha vinto Berlusconi che ha piazzato – grazie ai voti della Lega – Toti come Presidente della Liguria e che promuove la logica, non proprio nuova peraltro, per cui “uniti si vince”.

Ha vinto il Movimento 5 Stelle che, praticamente senza Grillo in campo, ha mantenuto ovunque una buona andatura.

E, stando ai commenti dei protagonisti, hanno vinto anche Fratelli d’Italia, Area Popolare e la “sinistra-sinistra” di Civati & Co. Ognuno cavalcando “pezzi” di risultati utili alla propaganda: chi le Marche, chi la Liguria, chi la Puglia. Tutti “ombelichi” del mondo.

Insomma, come al solito, hanno vinto tutti.

Ma è andata davvero così?  Quando si votò per la prima volta per le Regioni l’affluenza media fu del 93%: praticamente, allora votavano tutti. Ieri ha votato un italiano su due (52,2%). In un trend di calo inarrestabile, evidente nel grafico sottostante, che prende in esame solo le 7 Regioni in cui si è votato ieri, ma che è confermato ovunque.

 

Schermata 2015-06-01 alle 17.40.41

Certo, il 93% non era “normale”, né probabilmente salutare. Era, per molti osservatori e analisti, un valore anomalo, indicatore di un paese troppo politicizzato, caratterizzato più da mobilitazione patologica che da partecipazione fisiologica.

E, d’altro canto, secondo alcuni il 52,2% di partecipazione attuale non dovrebbe preoccupare, perché in linea con le altre democrazie occidentali. Vero, forse. O forse no, perché dovremmo osservare il trend prima che il dato assoluto. E la tendenza è disastrosa, prima o poi va invertita in qualche modo. Siamo passati dall’iperpoliticizzazione alla depoliticizzazione in un periodo di tempo brevissimo. E non si vede luce in fondo al tunnel, anzi.

In questo buio ormai costante (i tassi di fiducia nei partiti, nel Parlamento e nella politica in generale sono i più bassi di sempre), la classe politica continua a giocare un ruolo fondamentale per il suo suicidio. E lo fa con altrettanta costanza, a partire proprio dai commenti post-voto. Se nessuno lamenta (e analizza) il calo di partecipazione e tutti si dichiarano vincitori, qual è l’impatto sulla credibilità dei politici e sulla fiducia degli elettori?

Uno su due non vota. E, tra quelli che votano, uno su due lo fa “protestando”: contro i “ladri” e i corrotti, contro l’Europa, contro gli stranieri, contro l’Euro.  Metà degli italiani è indifferente alla politica. E un quarto schiuma rabbia, non so quanto convinto di votare “per” e non “contro” qualcuno.

Per citare Hirschman: tanta “exit”, poca “voice” (ma in crescita) e poca “loyalty” (in netto calo).

Quanto possiamo durare così?

 

 

 

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