Enti locali

Siamo proprio sicuri che la Lombardia sia un modello virtuoso?

25 Maggio 2019

Le indagini della magistratura che nelle ultime settimane hanno sferzato la politica lombarda a colpi di arresti e di nomi eccellenti invischiati in dinamiche di corruttela hanno stizzito, e non poco, il leader della Lega Matteo Salvini. Sui territori di casa si sta giocando punti pesanti per la partita del governo nazionale e delle elezioni europee. La sua difesa non poteva farsi attendere: “Non scherziamo, la Lombardia è un modello in Italia, in Europa e nel mondo.” Quello del “Modello Lombardia” è un leit motiv caro non solo ai leghisti ma a tutto il centrodestra, che ne hanno fatto la propria bandiera anche nei periodi più bui della gestione Formigoni, fino alla sua caduta e anche oltre. Non sorprende, quindi, che lo stesso destino tocchi ora ad Attilio Fontana: il tema della legalità e del giustizialismo è un nervo scoperto di cui sono pronti ad approfittare gli alleati (o presunti tali) del Movimento 5 Stelle.

Che la Lombardia sia la locomotiva d’Italia è innegabile. I dati ISTAT più recenti parlano chiaro: nella regione vivono più di 10 milioni di abitanti, il 20% dell’intera popolazione italiana; sul suo territorio risiedono più di 800 mila imprese che garantiscono occupazione a più di 4 milioni di addetti, con una incidenza di circa il 25% sul totale nazionale; le statistiche su occupazione e disoccupazione sono tra le migliori del paese. Eppure non sono tutte rose e fiori. A sollevare il tappeto si intravedono cumuli di polvere nascosta. Partendo proprio dal mondo delle imprese. Tralasciando le vicende giudiziarie di Marco Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia, indagato per vicende corruttive insieme all’europarlamentare forzista Laura Comi, dai dati delle Camere di Commercio regionali si evince come il tasso di mortalità delle imprese sia superiore alla media nazionale. Il ricorso alla cassa integrazione (CIG) è in costante ascesa, raggiungendo un quarto della sommatoria nazionale. L’aiuto da parte dello Stato centrale diviene vitale per gli imprenditori lombardi, soprattutto per le imprese di medie e grandi dimensioni. Come rilevato dal 5° rapporto della CGIL Lombardia sulla contrattazione sociale territoriale, i finanziamenti pubblici e privati sono aumentati soprattutto nei riguardi delle imprese, manifatturiere e dei servizi, medio-grandi e finanziariamente consolidate. “Sostanzialmente”, si legge nel rapporto CGIL, “il credito e gli incentivi pubblici (industria 4.0) hanno favorito e sostenuto le imprese di maggiore dimensione, introducendo standard economico-finanziari più alti che le piccole imprese non possono traguardare.” Sono proprio loro le prime a cadere.

In Lombardia, poi, si può essere anche poveri col lavoro (come ha titolato recentemente il Corriere della Sera in alcuni suoi approfondimenti). Molti commentatori si sono sorpresi dell’alto tasso di richieste provenienti dalla ricca regione del nord per accedere alla misura del Reddito di Cittadinanza. Secondo i dati forniti dall’INPS la Lombardia è al quarto posto, dietro solo a Campania, Sicilia e Lazio. Si è molto vicini a toccare quota centomila domande. Eppure numerose statistiche forniscono un quadro chiaro della realtà. Il rapporto ISTAT 2019 sui Sustainable Development Goals (obiettivi per il 2030 promossi dalle Nazioni Unite nell’ambito dell’Agenda Globale per lo Sviluppo Sostenibile) presenta indici allarmanti: il 19,7% della popolazione vive in condizione di povertà o esclusione sociale, un ulteriore 13,6% è a rischio povertà. Questi dati sono confermati dal rapporto BES (Benessere Equo e Sostenibile) 2018 secondo i quali la Lombardia è afflitta da una grave diseguaglianza nella distribuzione del reddito, calcolata rapportando il reddito equivalente totale ricevuto dal 20% della popolazione con il più alto reddito e quello ricevuto dal 20% della popolazione con il più basso reddito. Un andamento confermato anche dal summenzionato rapporto della CGIL lombarda che individua quale principale colpevole le politiche di austerità degli ultimi anni, capaci di trasformare diritti acquisiti in bisogni. Come ricorda H.P. Minsky nel suo saggio “Combattere la povertà. Lavoro, non assistenza”: “La radice economica della nostra malattia è che, sebbene abbiamo avuto successo nel prevenire serie depressioni e nell’assicurare una crescita del PIL misurato, abbiamo fallito miseramente in quelle dimensioni della nostra economia che determinano la qualità della vita. […] La povertà si è diffusa in molti modi anche se il PIL è cresciuto. Soprattutto, oggi è posta in discussione la giustizia del sistema.” Giustizia del sistema e qualità della vita che vanno a braccetto col tema della qualità dell’ambiente nel quale si vive. Non è un mistero che la qualità dell’aria che si respira in Lombardia sia scadente: secondo le stime del rapporto ISTAT SDGs 2019 di cui sopra, i livelli medi annui di PM10 e biossido di azoto sono altissimi, più del doppio dei livelli medi registrati nella penisola. Questo si accompagna all’indice di salute mentale enucleato nel rapporto BES 2018 che, in riferimento alle quattro dimensioni principali della salute mentale (ansia, depressione, perdita di controllo comportamentale o emozionale, benessere psicologico), dipinge un quadro a tinte fosche per ciò che attiene il benessere psicologico della popolazione lombarda. La saggezza popolare non mente: non sono i soldi a garantire la felicità.

 

 

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