Beni comuni
Rigenerazione urbana. Proposte per la riconversione ambientale del territorio
Un tema di enorme importanza, vissuto anche nella recente campagna elettorale con le tante evocate periferie, è la rigenerazione urbana nelle grandi città italiane e nei loro contesti metropolitani. Gli ultimi trent’anni di politiche urbanistiche hanno portato da una parte alla fine di una visione ideologica dell’abitare – con la costruzione di enormi quartieri popolari per rispondere all’esigenza diffusa di case, vedi Tor Bella Monaca a Roma, lo Zen a Palermo,o Scampia a Napoli – dall’altra all’esplosione ancora più rilevante del risvolto speculativo della rendita fondiaria, legalizzando inoltre con ben 3 condoni edilizi anche pratiche illegali come l’abusivismo di massa (il primo appunto nel lontano 1985). Le città hanno sofferto questo saccheggio e non sono state più in grado di esercitare le proprie competenze e funzioni in un contesto urbanistico tanto diffuso, tanto ampio e tanto disomogeneo. I servizi, anche i più basilari, è stato impossibile portarli in queste nuove realtà, creando così la strisciante e prolungata crisi sociale esplosa ultimamente proprio con il voto sulle amministrative di Giugno.
L’urbanistica vissuta come rapporto di potere tra sistema pubblico e attori privati, mediato e paludato esclusivamente dai tecnici del settore, ha prodotto lo smarrimento politico riguardo il futuro delle città. Si è lasciato il racconto e lo sviluppo delle città in mano solo agli esperti, mentre era necessario allargare il dibattito pubblico all’intera cittadinanza, ascoltando i suoi reali bisogni e le sue proposte.
La Grande Crisi del 2008 che ancora oggi colpisce l’Italia ha interrotto questo 30ennio di saccheggio urbanistico, ma non riesce ancora produrre un nuovo e reale progetto alternativo sul futuro delle città. Certo temi come la rigenerazione urbana e le smart city si stanno rivelando strumenti utili per per riconsiderare gli assetti metropolitani, il valore degli spazi ed il loro uso adeguato, una convinzione condivisa e diffusa della sostenibilità ambientale delle operazioni urbanistiche che vadano verso il consumo zero del suolo. Ma il potere politico – oberato dall’impossibilità economica e di bilancio per attuare nuove soluzioni e scelte – non riesce ad essere il regista di questo nuovo sentimento, lo subisce per lo più o lo vive come piccolo cabotaggio e non come una differente prospettiva delle città.
Roma ne è un esempio: adottato nel 2008 il nuovo PRG come grande compromesso tra la rendita fondiaria, cioè gli appetiti dei cosiddetti palazzinari e la salvaguardia ancora possibile del contesto ambientale della Capitale – l’ Agro Romano con le sue propaggini estese fin dentro l’hinterland metropolitano più distante dal centro consolidato – attaccato dalla speculazione edilizia e dall’abusivismo. Era stato ideato per tentare di ricucire così un territorio ormai ferito a morte, la cui estensione impossibile dei servizi avrebbe portato – come è successo poi d’altronde con l’arrivo della bufera finanziaria post-Lehman Brothers – al fallimento del bilancio economico della città.
La Capitale non ha potuto discutere collettivamente del proprio destino come città, ha subito solo la trattativa tra i più svariati interessi, più o meno legittimi. La politica ha lasciato alla tecnica e all’economia di prendere al suo posto le decisioni più importanti. Solo quindi riassumendo un primato ora perso, chiamando le competenze a redigere ed attuare un piano pubblico e condiviso – non a sostituirsi ad esso – la città potrà conoscere una svolta sul proprio destino urbanistico.
Questo sito ha già ospitato delle analisi a riguardo, per esempio dell’ex assessore della giunta Marino Giovanni Caudo: http://www.glistatigenerali.com/governo_partiti-politici_roma/caudo-governare-roma-senza-caltagirone-si-puo-e-se-ti-cacciano-devi-riprovare/
Anche l’assessore indicato da Roberto Giachetti se avesse vinto l’lezioni amministrative, Lorenza Boroncelli, aveva espresso ampiamente le sue nuove idee per la città: http://www.artribune.com/2016/06/elezioni-amministrative-2016-roma-intervista-lorenza-baroncelli/
Da Virginia Raggi ed il Movimento 5 Stelle si aspettano delle proposte ed azioni rivoluzionarie su questo tema prospettico, anche se la scelta di nominare come assessore all’Urbanistica un uomo come Paolo Berdini ricade in quella dimensione di subalternità della politica rispetto la tecnica e ad una visione antica dello sviluppo delle città.
– Esempio di una proposta per un primato dell’urbanistica politica
In questo link è visualizzabile tramite una mappa georeferenziata un’idea di sviluppo urbanistico basata sulla rigenerazione urbana e la riconversione ambientale rispetto proprio un quadrante dell’area metropolitana di Roma – il sud-orientale – che riguarda le aree vaste dei Castelli Romani e del litorale meridionale della Capitale: https://www.google.com/maps/d/edit?mid=13Pnuay8wMj3H0v8rM-G6Q7-wALk
L’idea di fondo è quella di spingere le istituzioni e gli attori economici a cambiare completamente approccio in materia urbanistica, andando a riqualificare e potenziare gli asset insiti in ogni territorio (in questo caso la salubrità di stili di vita più agresti e rurali e la valorizzazione di un prodotto tipico com il vino D.O.C, D.O.C.G e I.G.P dei Castelli Romani), grazie ad un’alleanza tra fondi pubblici e privati, e quindi alla sostenibilità economica degli interventi da realizzare. Questo significa abbattere molta edificazione costruita negli ultimi trent’anni (che è anche quella di peggior qualità estetica e funzionale), annientare l’abusivismo in special modo nelle aree a più stretto vincolo di salvaguardia ambientale come gli Enti Parco, permettere la ri-progettazione urbanistica di molte città e frazioni soprattutto quelle di più recente espansione (molto presenti nella campagna tra l’Agro Romano e l’Agro Pontino) ed individuare aree quali centralità o rigenerazioni urbane massicce di quartieri della città di Roma intra ed extra G.R.A, dove insediare gli abitanti delle zone interessate dalla riconversione ambientale promuovendo così uno sviluppo verticale del costruito invece che il consumo orizzontale del suolo.
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