Enti locali

Parole e azioni: i “cortocircuiti” di una giunta a cinque stelle

5 Aprile 2015

Fin dalla sua elezione il sindaco cinque stelle Federico Pizzarotti ha dimostrato qualche difficoltà nell’accettare il carattere politico che il nuovo ruolo di Primo cittadino comportava. Il suo linguaggio, le sue categorizzazioni – di diretta derivazione nazionale – avevano funzionato bene in campagna elettorale: critica alla politica dei partiti, affermazione di una democrazia partecipata e più direttamente vissuta dai cittadini, appello ai nuovi strumenti d’informazione, attenzione al dialogo con i singoli che – in fondo – mirava a svuotare di funzione i corpi intermedi. Il racconto ha fatto presa e il cittadino Pizzarotti si è trovato improvvisamente “al di là della barricata”. Le persone hanno incominciato a chiedere soluzioni ai loro problemi e, dopo alcuni mesi nei quali il refrain del “siamo nuovi, dobbiamo imparare” ha permesso l’assestamento della giunta, a pretendere quanto promesso in campagna elettorale.

Perché in politica capita che gli elettori chiedano conto della realizzazione dei programmi.

A questo punto la narrazione pizzarottiana si è complicata: l’epica del “nuovo e non compromesso governo comunale” non bastava più, occorreva governare e riconoscere che da semplici cittadini si era diventati amministratori. Intanto si assisteva alla rapida ascesa del Movimento a livello nazionale e, diretta conseguenza, alla sua politicizzazione, perché – altra “banalità democratica” – finché sei extraparlamentare puoi fregiarti di un titolo di purezza movimentista, ma quando siedi fra i banchi di Camera e Senato, con un tuo simbolo e un tuo leader di riferimento, diventi inevitabilmente partito nella forma e nella sostanza. Poco cambia se i banchi sono quelli del consiglio comunale della prima città a cinque stelle: sindaco, consiglieri e assessori sono figure politiche, perché politiche sono le scelte che guidano un’amministrazione che non si limiti a puntellare un bilancio, ma abbia una visione della città. Se dal punto di vista mediatico Pizzarotti ha imparato in fretta a gestire le telecamere dei maggiori talk show italiani, dal punto di vista della relazione con la cittadinanza le prime crepe hanno incominciato a mostrarsi già con il “caso inceneritore” quando il sindaco si è visto costretto ad ammettere che la promessa di chiusura della struttura, sulla quale aveva giocato gran parte della sua campagna, non era realizzabile perché incompatibile con gli impegni presi dall’amministrazione precedente e, di conseguenza, col bilancio comunale. Un dettaglio che un candidato sindaco, per quanto “fresco” alla politica e inesperto, avrebbe forse dovuto verificare prima di fare della “chiusura del forno” il suo lasciapassare per la carica di primo cittadino.

Il sindaco però ha sempre negato di essere un politico – primo cortocircuito fra comunicazione e realtà in questo racconto – utilizzando tale posizione come scusante per eventuali errori dettati dall’inesperienza. La città – aperta al nuovo e decisamente non prevenuta nei suoi confronti – ha aspettato e “chiuso un occhio” sui camini che non si sono mai spenti. Sono però passati due anni dall’epico incipit della storia e le cose sono cambiate: i semplici cittadini cinque stelle hanno amministrato in virtù del loro mandato, il sindaco si è speso sul piano locale e nazionale in virtù della sua carica.

Volenti o nolenti hanno vestito i panni politici, ma a questo non ha fatto seguito un cambiamento di registro nel racconto: quello che è cambiato è stato l’atteggiamento nei confronti dei “colleghi” semplici cittadini.

Venerdì scorso una delegazione di genitori ha partecipato alla commissione Scuola e servizi sociali del Comune. All’ordine del giorno i tagli e “adattamenti” previsti dall’amministrazione ai servizi educativi per l’infanzia e al sostegno per i ragazzi disabili. Dopo una breve relazione da parte degli assessori competenti il sindaco prende la parola ed incomincia un discorso che, secondo cortocircuito pizzarottiano, mette in contrasto stridente parole e argomenti, espressioni verbali ed atteggiamenti del primo cittadino. Ai genitori preoccupati e – lecitamente – infervorati per le sorti dell’educazione dei loro figli, il sindaco ha risposto con un appello all’informazione, all’analisi dei dati che, a suo avviso, sarebbero stati travisati da giornalisti che “non sanno mettere in fila le parole”. Non cerca di portare avanti un’informazione diretta ai cittadini, ma attacca quella scorretta realizzata da altri. “Rimbalza” la palla nel campo avversario, prassi non nuova alla politica. Non alza il tiro difendendo le sue scelte amministrative, ma colpisce – uno dopo l’altro – i giornali, gli amministratori delle giunte precedenti (il classico dei classici “Abbiamo trovato una situazione disastrosa”- più di due anni fa ormai – verrebbe da chiosare), la mancanza di stanziamenti nazionali, i politici dell’opposizione che, loro sì in veste politica, utilizzerebbero strumentalmente l’argomento in discussione per “manipolare” l’opinione pubblica.

Terzo cortocircuito: attaccare da politico e con metodi di consolidata politica un nemico che si vorrebbe “altro da sè”, ma che è semplicemente parte dello stesso sistema di cui il sindaco è vertice. Maggioranza e opposizione: il consiglio comunale è lo stesso. Ci sono ruoli da rispettare e responsabilità connesse alla carica ricoperta. Alla maggioranza spettano proposte e risposte, all’opposizione la supervisione e la critica costruttiva. Prassi democratica, ma qualcuno non è evidentemente convinto del ruolo e delle funzioni che gli competono. I cittadini intanto incalzano (loro sì a ragione con metodi non politici) la giunta per avere risposte e qui si verifica il quarto cortocircuito. Gli stessi semplici cittadini a cui si faceva appello nel programma aperto al dialogo del sindaco vengono esaminati e additati come esponenti dell’attivismo locale (quasi fosse una colpa), rappresentanti sindacali, animatori di comitati.

Il sindaco del movimento guarda il movimento dei genitori e lo giudica inadatto al dialogo.

I consiglieri di minoranza sono inadatti al dialogo in quanto rappresentanti di partito (e di elettori?), i genitori sono inadatti perché “rappresentano delle istanze”. Chi sono gli attori allora? A chi deve rendere conto il sindaco? Mentre i presenti cercano di capire con chi si dovrebbe a questo punto relazionare il primo cittadino per dare risposte alle domande che aleggiano in sala, Pizzarotti – per screditare l’opinione di una madre infervorata – riduce le sue osservazioni a mosse governate dal “suo partito di riferimento”. Come se il movimento cinque stelle non fosse un partito, non avesse istanze, non avesse un elettorato di riferimento. Forse lo stesso che ora siede in sala. Quinto cortocircuito. Per il sindaco i partiti non sono interlocutori validi perché impegnati unicamente in una campagna diffamatoria, i cittadini nemmeno in quanto manovrati/plagiati dai partiti, i corpi intermedi (sindacati, comitati, consigli d’istituto) nemmeno in quanto – anche loro – politicizzati. Di politica però si sta parlando, anzi, di scelte politiche che ricadono sulle decisioni amministrative e, a cascata, sulle spalle degli elettori, anche quelli del movimento. Gli stessi che avevano animato, attraverso la figura dei “privati cittadini” il racconto di Pizzarotti, e che ora non “funzionano” più, non sono interlocutori credibili. Il clima si fa sempre più teso e, a questo punto, arriva il sesto cortocircuito: il sindaco si alza e chiede ad alcuni cittadini di seguirlo fuori dall’aula per parlare, mentre all’interno prosegue il dibattito. Il sindaco parla fuori dalla sede deputata, come se volesse svestire i panni di primo cittadino e indossare quelli di semplice cittadino, gli stessi portati durante la campagna.

Ma sono passati due anni e mezzo, troppe comparse televisive, troppe sedute del consiglio comunale per tornare ad essere semplicemente Federico. Il racconto non funziona più e le persone richiedono risposte dal sindaco e non l’opinione di un concittadino. Chi sono gli interlocutori sul tema asili se non genitori ed educatori? Chi deve operare delle scelte se non il sindaco e la sua giunta? Chi sta rappresentando Pizzarotti oltre al suo personaggio? Nella confusione dei ruoli si rischia di perdere il senso complessivo della narrazione e la domanda di fondo: che fine stanno facendo i servizi educativi e di welfare a Parma? Chi è alla guida della città, in che direzione e con quali punti di riferimento sta navigando? Il sindaco non parla più, se non formalmente, la lingua del suo elettorato di riferimento e, allo stesso tempo, non può più parlare quella dei privati cittadini. Bloccato in una terra di mezzo fra politica e antipolitica, evidentemente tentato da una virata civica, Pizzarotti sa di dovere delle risposte alla popolazione. Il linguaggio con il quale le esprimerà avrà forse pari peso rispetto alle risposte stesse e i semplici cittadini aspettano, ormai con una certa impazienza, soluzioni alle loro problematiche complesse.

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