Enti locali

Parma a cinque stelle. Pizzarotti e i consigli di cittadini volontari

16 Marzo 2015

I cittadini di Parma hanno trovato in questi giorni nelle loro cassette della posta una busta inviata dal Comune: all’interno una brochure che recita Il quartiere che vorrei. Tante nuove opportunità per partecipare alla vita della città introdotte dal nuovo statuto. Si avvia così la seconda fase di riorganizzazione della partecipazione attiva voluta e promossa dall’amministrazione Pizzarotti per far fronte alle evidenti lacune causate dall’abolizione dei consigli di quartiere.

Tredici “consigli dei cittadini volontari” – corrispondenti ai tredici quartieri della città – numericamente distribuiti in percentuale ai residenti delle diverse zone. Nessun legame o riferimento ai partiti politici, nessuna forma di partecipazione “mediata” da organizzazioni o soggetti terzi: le liste per l’elezione dei “cittadini volontari” saranno realizzate in parte attraverso un’estrazione a sorte (15 persone per ogni quartiere), in parte attraverso autocandidature che andranno presentate corredate da un minimo di 25 e un massimo di 50 firme di residenti nel quartiere. L’elettorato passivo sarà formato dai cittadini che abbiano compiuto almeno 16 anni e dai cittadini extracomunitari residenti a Parma da almeno tre anni, mentre per quanto riguarda l’elettorato attivo potranno votare anche gli stranieri residenti in città da almeno un anno. Il voto rappresenta poi un’ulteriore novità nel panorama nazionale: si voterà per un’intera settimana recandosi in uno dei centri comunali segnati sulla brochure, oppure on line registrandosi tramite carta d’identità. Due preferenze, per l’alternanza di genere.

Non risulta molto chiara, almeno stando al volantino informativo, la funzione di questi consigli che, secondo il nuovo statuto comunale, dovrebbero supportare l’amministrazione nella segnalazione di problemi e criticità delle zone, fornire un supporto di idee e stimoli per la progettualità riguardante i quartieri e che invece, parere di alcuni, rischiano di diventare un semplice strumento per giustificare e sostenere con la volontà popolare le scelte effettuate. Prescindendo dalle perplessità riguardanti la forma di selezione dei candidati – dalla disparità di trattamento fra candidati sorteggiati, che non devono presentare alcuna firma in sostegno della loro candidatura, e autocandidati, passando per la diversificazione, in merito all’elettorato attivo e passivo, di cittadini extracomunitari aventi completi diritti e solo diritti parziali – e i leciti dubbi sulle modalità di un voto protratto per un’intera settimana e realizzato attraverso strumenti non certificati, emergono una serie di questioni che sembrano, ancora una volta, trasformare Parma in un laboratorio politico di valenza nazionale.

Oltre al precedente creato da queste modalità di selezione dei consiglieri infatti, la città – prima a vivere l’esperienza di un’amministrazione a cinque stelle – sarebbe capofila nel tentativo di applicazione pratica di una nuova visione politica o, per meglio dire, apolitica. Al criterio della rappresentanza elettiva, basata sulla mediazione di una pluralità di partiti, si sostituisce il metro della rappresentanza partecipata su base esclusivamente territoriale e priva di un indirizzo programmatico di fondo. Il singolo cittadino, inserito in una mono-lista apparentemente unitaria, funge idealmente da tramite fra l’amministrazione e la popolazione, ma questo processo sembra non tener conto di un’ambiguità insita: l’amministrazione è elettiva e rappresenta (o dovrebbe rappresentare) una linea programmatica espressa durante la campagna elettorale e nel percorso politico precedente e successivo le elezioni. La giunta, costituita dal sindaco eletto in dialogo con la maggioranza del consiglio, dovrebbe portare avanti un progetto e una visione attraverso la quale impostare gli interventi territoriali nei diversi quartieri. Amministrazione come visione di lungo raggio e non come semplice gestione di bilancio e risposta “a chiamata” a problemi circoscritti a singole zone o gruppi di cittadini.

Come si pongono i consigli rispetto a questo “sistema”? È possibile pensare a una completa apoliticità di un organismo istituito dal Comune, che vive in rapporto all’amministrazione (che ricordiamoci, ha sempre un colore, anche nei casi civici)? E se fosse effettivamente possibile, che significato assumono le istanze di questi organismi rispetto alle decisioni dell’amministrazione? E rispetto al Consiglio comunale? In estrema sintesi: amministrazione come atto politico e d’indirizzo o come assemblea di condominio?

Ai tempi dei consigli di quartiere esisteva uno strumento, detto bilancio partecipato, attraverso il quale i progetti proposti dal comune nelle diverse zone di Parma venivano sottoposti alla valutazione dei consiglieri di quartiere. Si trattava di pareri consultivi, ma il processo aveva chiari contorni: il Comune, in base a una visione di prospettiva, elaborava delle proposte, che venivano successivamente presentate nei consigli e discusse, per poi essere realizzate, sempre tenuto conto del parere espresso, sotto la responsabilità dell’amministrazione. Ad oggi sembra che questo progetto sottenda un procedimento inverso: il Comune chiede ai consiglieri volontari di sottoporre proposte e problemi, dimenticando forse che si tratta di responsabilità in capo all’amministrazione in primis e ai consiglieri comunali eletti che, in una realtà medio/piccola come quella parmigiana, possono tranquillamente ricoprire questo ruolo di “cerniera” fra cittadino ed istituzioni, con un preciso mandato elettivo stabilito per legge.
Questa procedura, se correttamente realizzata, corre il rischio – voluto o non voluto non è sede per giudicarlo – di esautorare i rappresentati legittimi e democraticamente eletti, ponendo le loro istanze sullo stesso piano (almeno teorico) di quelle dei cittadini volontari. Un cortocircuito fra istituzioni che, nella labile definizione dei contorni del consigli di cittadini volontari, sembra sovrapporre i piani. Forse Federico Pizzarotti e la sua giunta dimenticano che, dal momento in cui sono stati eletti, sono diventati classe politica nella città di Parma e rappresentanti di istituzioni con precise funzioni e precisi compiti, definiti dalla legge. Trasformare modalità di partecipazione sperimentali (potenzialmente efficaci nel dibattito interno a un partito o ad un’associazione) in organismi istituzionali del Comune significa mettere in discussione il panorama amministrativo stesso e creare un precedente nazionale. La retorica della partecipazione, vero e proprio cavallo di battaglia nelle numerose apparizioni televisive del sindaco, sconfina in questo caso in una modifica strutturale al sistema Comune. La dichiarata democraticità del sorteggio (che ricorda da lontano la gestione della polis greca, dimenticando però più di 2000 anni di storia politica) sembra più un’imposizione della partecipazione “dall’alto”, in un contesto in cui la vera partecipazione attiva non trova nella politica il suo principale sbocco. Le persone partecipano alla vita associativa, partecipano al dibattito amministrativo quando si tratta di individuare rappresentanti e istanze problematiche da segnalare loro, ma il desiderio di partecipazione in prima persona, che implica un faticoso lavoro e un consistente sacrificio (soprattutto se, come in questo caso, svolto a titolo gratuito) sembra quasi debba essere imposta.

Forse a Parma stiamo vivendo in prima persona un tentativo di ridefinizione del racconto Cinque Stelle. Preso atto che per amministrare non bastano i forum e le consultazioni on line, non basta un generico richiamo alla cittadinanza attiva (in un epoca – fra l’altro – di forte prevalere del privato sul pubblico nella vita quotidiana e nelle aspirazioni dei singoli) e che – soprattutto – la narrazione delle difficoltà di un’amministrazione “nuova” e lontana dalle dinamiche partitiche, schiacciata da un debito pregresso, non basta più a placare gli animi di cittadini scontenti della buca sotto casa, del parco pubblico inagibile e delle strade sporche e mal sicure, forse Pizzarotti ha deciso di far raccontare a qualcun altro la sua visione. O di farla inventare. Non resta che aspettare.

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