Enti locali

Non è un Paese per i non indispensabili allo sforzo produttivo

3 Novembre 2020

Il Toti dimezzato ha prodotto un bel casino. O meglio, il Toti “estrapolato”, estratto a freddo, scivoloso, decontestualizzato, vittima di cut-up, in formato social – fate un po’ voi –, a detta di Toti, non avrebbe restituito il Toti-Pensiero nella sua vastità, nella sua interezza. Non avrebbe restituito il Toti Totale. Il Toti Tot., abbreviando.

Citare Toti degnamente, d’altronde, non è impresa per tutti, né per Toti medesimo, in soggezione presso se stesso. Perché il Toti-Pensiero, in fondo, non è per tutti, anzi, è per nessuno. Il Toti-pensiero, semplicemente, non è. E se fosse, non sarebbe conoscibile. E se fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile. O almeno così, dovendo curare la comunicazione totiana, la metterebbe Gorgia, morto ultracentenario, pare, dopo lunga, lunghissima, improduttività finalizzata a intortare il prossimo.

Ma non si fraintenda. Per levatura politica e per credibilità, Toti non ha alcun bisogno di tali mezzucci o del supporto professionale di un esperto del passato per arrestare l’uragano marrone rovesciatoglisi addosso in queste ultime ore. Egli, infatti, per rimettere tutto in ordine e riconsegnarsi alla scalmanata trascurabilità dalla quale proviene, può tranquillamente confidare in coloro che crederanno alla totale autonomia di chi gli cura la comunicazione (e ci saranno) o, al limite, nella smemoratezza del futuro.

Si starà ripetendo: il controverso tweet del controverso social media manager sugli “anziani non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”, un giorno figurerà come frammento apocrifo nelle teste dei posteri, come materiale insufficiente per determinare la tornadica dottrina totiana. E che Toti possa eventualmente anche solo concepire degli eventuali posteri alle prese con le attuali criticità del totismo la dice davvero lunga sulla sua eventuale autostima.

Comunque sia, al di là delle smentite sulle quali il giudizio di chi scrive va a sospendersi per mancanza di voglia, il tweet dello pseudoToti rimane obiettivamente di grande interesse. Perché non spunta dal nulla. Anzi. Esso sintetizza alla perfezione una sensibilità diffusa, puntualmente emersa (più o meno sottovoce) nel dibattito pubblico durante la prima ondata pandemica, secondo cui gli anziani sarebbero da considerare come esseri umani di serie B. Sacrificabili sull’altare del benessere collettivo in quanto non solo improduttivi per sopraggiunti limiti d’età, ma addirittura controproducenti a causa del costoso sistema pensionistico dal quale dipendono.

A detta dei gerontofobi, il mercato e l’universo, coincidenti nella weltanschauung gerontofoba, se ne sbarazzerebbero volentieri, ritenendoli una zavorra. Al massimo, aggiungerebbero costoro, “se proprio vogliamo tenerceli, muriamoli vivi nelle proprie abitazioni in cui campano a spese dei contribuenti e torniamo a consumare e a produrre come si deve”.

In sintesi, in un momento di piena emergenza, gli araldi del liberismo radicale, che tanto somigliano al retropensiero maggioritario, anziché ridiscutere la fragilità di un modello economico globale iniquo e totalmente deregolamentato, magari facendone finalmente l’autopsia, preferiscono prendersela con gli errori intrinseci alla condizione umana, che prevede cose inaccettabili come l’invecchiamento.

Soldi, per fare soldi, per fare soldi, altre prospettive non ne conoscono. L’esistenza, per costoro, si racchiude in quel “di più” insopportabile e inoccupabile che di tanto in tanto affiora nel bel mezzo del continuum produzione-consumo. Il mercato deve dirigere tutto. Il mercato ha sempre ragione. Che, poi, spesso possa premiare iniziative o prodotti poco meritevoli o dalla dubbia qualità, che crei disuguaglianze strutturali, che non disdegni il gerontocidio programmatico in caso di necessità e che in pochi abbiano realmente i mezzi per competere ai nastri di partenza, sono argomentazioni di scarso rilievo: la libertà è partecipare agli utili, o morire provandoci.

Nulla, ma davvero nulla, scalfisce gli araldi del “non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Nemmeno la loro ipocrisia di fondo nel valutare solo teoricamente il fattore “anzianità” all’interno di un motore economico fondato, nella narrazione rituale, sul giovanilismo arrembante, sulla “scuola come essenziale luogo di business”. Restano impassibili quando, sul piano pratico, la realtà gli confeziona smentite su misura e sonori calci nelle palle. Perché, di fatto, sul piano pratico esiste una vera e propria Silver Economy grazie alla quale, tra le altre cose, milioni di giovani precari possono annaspare senza soccombere finanziariamente, e far girare l’economia o investire, in virtù di elargizioni provenienti dalle pensioni genitoriali o, in alcuni casi, dal lavoro genitoriale ipergarantito.

Se non ci fosse la Silver Economy, l’insostenibilità dell’attuale modello economico e la pochezza del pensiero monodimensionale che ne consegue verrebbero definitivamente a galla, mettendo in crisi irreversibile l’immaginario collettivo, depurandolo, chissà, dal disordine simbolico, dalla fuffa propagandistica, dal conformismo e dalla bestialità che lo attanagliano. Lo pseudoToti non lo dimentichi, gli anziani potrebbero essere l’ultima arma rimastagli per tenere in piedi le sue illusioni.

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