Enti locali
L’inganno (e poi la beffa) della customer satisfaction dei cittadini
Se una legge viene disattesa per vent’anni, la soluzione non è sanare il vulnus, ma abrogare la norma.
Succede nell’Italia del 2016. E succede su un tema così delicato come la misurazione della soddisfazione dei cittadini rispetto ai servizi erogati dai comuni, dai trasporti, agli asili nido, alla gestione dei rifiuti: aspetti che, dunque, riguardano e condizionano la qualità della vita di ciascuno di noi.
Ma riavvolgiamo il nastro di questa annosa vicenda.
L’origine della customer satisfaction
La misurazione della customer satisfaction per i servizi pubblici è diventata nei primi anni 90’ negli USA e nei principali Paese europei uno degli strumenti utili a migliorarne la qualità, ponendo l’utente al centro del processo di riorganizzazione dei servizi.
In Italia è stata introdotta nel 1994 dalla direttiva Ciampi-Cassese e disciplinata da norme successive che hanno obbligato i comuni ad acquisire periodicamente la valutazione degli utenti.
La direttiva emanata in materia nel 2004 dal presidente del Consiglio recita così:
Conoscere le aspettative e i bisogni del destinatario del servizio è una condizione indispensabile per costruire indicatori di misurazione e verifica della qualità, come rapporto tra prestazioni erogate e bisogni soddisfatti.
Le normative fanno riferimento a tutti i servizi erogati, quindi anche quelli tramite società partecipate, e dal 2013 obbligano a pubblicare l’esito della misurazione della customer satisfaction sui siti istituzionali dei Comuni o delle società erogatrici.
L’indagine di Radicali Italiani su venti anni di violazioni
Nel corso di questi vent’anni, tuttavia, entrambi gli obblighi sono stati disattesi dai Comuni Italiani, come emerge in maniera lampante dall’indagine condotta da Radicali Italiani sulle 40 città più popolose del Paese, analizzando i dati dell’aprile 2016: un lavoro che è stato anche oggetto di un’interrogazione parlamentare presentata dall’onorevole Adriana Galgano, nella quale si chiedeva conto al governo della non applicazione delle norme sulla rilevazione della valutazione della qualità dei servizi da parte degli utenti.
I Comuni, secondo la legge dovrebbero prevedere indagini su tutti i servizi erogati, non solo su quelli essenziali di interesse generale.
La mappa interattiva (in calce la legenda) della customer satisfaction che abbiamo costruito parla chiaro: la quasi totalità delle 40 città esaminate non si avvicina all’obiettivo.
Nel lavoro abbiamo considerato solo i servizi essenziali di interesse generale, tenendo conto di questi solo 4 Comuni su 40 hanno prodotto e pubblicato indagini sui 5 servizi: trasporti urbani, rifiuti, acqua, energia e asili nido.
Quando pubblicate le rilevazioni sono di accessibilità modesta, non si trovano facilmente nei siti (il lavoro non tiene conto e quindi non valuta altre variabili importanti quali quelle relative ai metodi di rilevazione, spesso scientificamente carenti).
Inoltre l’autonomia degli enti rilevatori rispetto ai Comuni erogatori non è garantita, essendo nella maggior parte dei casi l’amministrazione stessa a curare le indagini o a scegliere l’ente rilevatore senza gara.
Paradigmatico è il “servizio” che regala il Ministero per la pubblica amministrazione e la semplificazione con lo strumento “Bussola della trasparenza”. Tale rilevazione, che apparentemente fornisce un quadro eccezionalmente positivo del rispetto della normativa sulla trasparenza 33/2013 da parte dei Comuni, si basa in realtà esclusivamente sulla sola presenza nei siti istituzionali dei Comuni delle voci richieste dalla legge, voci collegate a pagine dei siti spesso vuote, prive di contenuti.
Demetrio Bacaro, vicepresidente del Comitato nazionale di Radicali Italiani che ha collaborato all’indagine, osserva che:
Molti amministratori locali – i politici – pongono resistenza a far valutare la loro azione. Qualunque meccanismo porti a una valutazione seria ed oggettiva delle politiche pubbliche, in particolar modo in Italia, rappresenta una minaccia al consenso, che si ottiene con proclami, annunci e promesse. La misurazione e la pubblicità del livello di qualità dei servizi, inoltre, dimostrerebbe la malagestione di molte società partecipate dai Comuni, vero fortino dei partiti e delle clientele. Il caso delle mancate misurazioni della customer satisfaction, della scarsa qualità scientifica di queste e della modesta pubblicità che viene data ai risultati, dimostra come spesso tali misure abbiano un valore puramente “esteriore” dell’attività pubblica, non vengono utilizzate come strumenti di governo, di conoscenza e per intervenire su lacune e disservizi che emergono dalle indagini.
La beffa dopo l’inganno: il governo cancella l’obbligo di pubblicazione delle indagini
Insomma, la gran parte dei comuni italiani, non ha misurato il grado di soddisfazione dei propri cittadini rispetto alla qualità dei servizi che eroga, come avrebbe dovuto fare dal 2012 secondo il Testo Unico degli Enti Locali, e se l’ha fatto, in molti casi, non ne ha pubblicato i risultati, come prevedeva il decreto legislativo 33 sulla trasparenza. Prevedeva, sì, perché nel maggio di quest’anno il governo (con decreto legislativo n.97 del 25 maggio 2016), vista l’ineffettività di queste leggi, invece di renderle efficaci prevedendo severe sanzioni o meccanismi di premialità, ha deciso di sopprimere l’obbligo di pubblicazione relegando la qualità percepita dei cittadini ad adempimento interno e “privato” dell’amministrazione, e vanificandone così l’obiettivo: migliorare i servizi sulla base delle valutazioni dei cittadini. Questa grave decisione sconfessa i proclami che da più parti si sentono, in Parlamento e nel governo, sulla partecipazione dei cittadini.
Quali strumenti ha a disposizione il cittadino perché siano rispettate le misure di trasparenza? Il decreto legislativo 33 del 2013 prevede l’”accesso civico”, peccato che questa facoltà del cittadino non sia tutelata da sanzioni per il Comune inadempiente, se non da vaghi riferimenti a eventuali sanzioni disciplinari per il responsabile della trasparenza. Dall’entrata in vigore della riforma Madia, finalmente, con la procedura del cosiddetto “accesso civico” è prevista la possibilità per il cittadino, nel caso di rifiuto dell’amministrazione regionale o dell’ente locale di mettere online i dati mancanti a seguito di una segnalazione, di rivolgersi al difensore civico regionale o comunale, mentre in precedenza avrebbe dovuto far ricorso al TAR con un esborso quasi sempre insostenibile. Peccato che a seguito della caduta dell’obbligo di pubblicazione, anche lo strumento dell’accesso civico diventa uno strumento perfettamente inutile per conoscere che ne pensa il cittadino sui servizi pubblici che utilizza.
Per monitorare la qualità dei servizi serve un Authority indipendente e criteri di valutazione scientici
Le indagini di customer satisfaction hanno una loro utilità solo se utilizzate per aiutare a determinare standard di qualità dei servizi che poi dovranno essere rispettati producendo efficienza, intervenendo sulle lacune evidenziate dai cittadini. La funzione di controllo sulla qualità dei servizi da parte dei cittadini è restata sulla carta, o perché i Comuni hanno ignorato gli obblighi o perché chi ha dato seguito alla legge non ha tradotto quanto evidenziato dalle indagini in un miglioramento della qualità dei servizi, e oggi appare irrimediabilmente compromessa dalla modifica legislativa.
Come Radicali chiediamo una rilevazione della soddisfazione dei cittadini sistematica e corrispondente in termini di metodo per ogni Comune e un’agenzia indipendente nazionale che misuri la qualità con criteri scientifici e, infine, che siano definiti, anche su base europea, standard di qualità da rispettare che permettano confronti su base internazionale.
Legenda della mappa interattiva:
ROSSO – una o nessuna indagine recente pubblicata – realizzate almeno a partire dal 2013 – sulla soddisfazione dei cittadini sui servizi essenziali
ARANCIONE – pubblicazione di indagini recenti – realizzate a partire dal 2013 – solo per alcuni servizi essenziali erogati
VERDE – indagini aggiornate – realizzate almeno a partire dal 2013 – sulla soddisfazione dei cittadini sulla totalità dei servizi essenziali erogati e pubblicate sul sito istituzionale del Comune, dell’ente rilevatore o delle società partecipate
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