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La Liguria e il rompicapo del PD
La Liguria e il rompicapo del PD
Marco Bucci e il centrodestra hanno vinto chiaramente le elezioni regionali in Liguria, con un distacco piccolo ma non risicato. Al candidato del centrosinistra Andrea Orlando mancano circa 8.500 voti per cantare vittoria. In tanti hanno parlato di un fallimento totale del centrosinistra che ha sbagliato un rigore a porta vuota a causa dei conflitti interni. Però, un’analisi più approfondita ci mostra una realtà più complessa.
Regionali vs Europee
Alcuni parlavano di un vantaggio di circa il 10% tra centrosinistra e centrodestra nelle recenti elezioni europee. Si tratta di una notizia scorretta, perché la differenza del 10% comprende l’intera opposizione al governo di Giorgia Meloni, da Italia Viva a Cateno De Luca. In realtà, alle elezioni europee, i principali partiti di centrodestra (FdI, Lega e FI) hanno ottenuto circa 280.000 voti, tanti quanti quelli di centrosinistra (PD, AVS e M5S), ai quali si sarebbero dovuti sommare i 20.000 voti di Azione.
Marco Bucci ha espanso di circa 10.000 voti il consenso dei suoi partiti alle europee, attingendo probabilmente dai centristi di Italia Viva e +Europa. Il successo di Bucci appare personale, con FdI che dimezza i voti a vantaggio delle due liste civiche a supporto del sindaco di Genova. Al contrario, Andrea Orlando paga la scarsa competitività degli alleati del PD.
Infatti, il PD conferma i voti di giugno, mentre gli alleati arretrano. Azione e AVS perdono circa 14.000 voti ciascuno e il M5S ne brucia circa 38.000. Azione può aver scontato un’alleanza con la sinistra che viene percepita innaturale dai suoi elettori. Tanti di loro hanno preferito il non voto o il supporto a un uomo ritenuto pratico e moderato come Marco Bucci.
AVS potrebbe aver pagato un rafforzamento del PD verso sinistra, grazie alla candidatura di Andrea Orlando. Il M5S rappresenta il caso più interessante, visto che il partito era stato accontentato dalla composizione delle alleanze, ottenendo l’allontanamento di Matteo Renzi dalla coalizione.
I travagli del M5S
Giuseppe Conte ha ragione a dire che l’inclusione di Italia Viva non avrebbe garantito la vittoria di Orlando. Al tempo stesso, PD e M5S avranno molto da riflettere. Da una parte, l’insistenza di Elly Schlein verso l’alleanza con il M5S e AVS premia elettoralmente il PD, perché motiva gli elettori storici, dando loro una prospettiva di sinistra e una possibilità di vittoria.
Sfortunatamente, quello che favorisce il PD, manda il M5S in stato confusionale. Giuseppe Conte sa bene che il suo elettorato mai digerirebbe la presenza di Italia Viva in coalizione, visto che considera Matteo Renzi la causa di tutti i mali. Inoltre, Beppe Grillo e Il Fatto Quotidiano vorrebbero garantire la purezza del Movimento, quasi sperando in un dominio infinito della destra.
Il lavoro di Giuseppe Conte per costruire un’alternativa di governo si scontra con il fulcro del vecchio M5S. Lo scontro si è palesato con la rottura con il fondatore avvenuta alla fine della campagna elettorale, facendo ulteriormente crollare i consensi.
I risultati dicono a Schlein di guardare a sinistra, rispettando con pazienza il travaglio degli alleati. Anche perché non esistono altre possibilità di sconfiggere il centrodestra, visto che un’alleanza centrista continua ad avere meno voti complessivi e porterebbe il PD a percentuali sotto il 20%.
Il rompicapo del PD
Il centrosinistra è di fronte a un puzzle i cui pezzi non riescono a quadrare. Il campo larghissimo rimane un’utopia in termini di voti reali, con gli elettori di Azione e Italia Viva che si guardano in cagnesco con quelli del M5S. Serve quindi non tanto un’alleanza ampia quanto funzionale a recuperare i voti che confluiscono nell’astensionismo, ormai dilagante.
La sfida principale è quella di recuperare i voti delle aree interne del paese, nei piccoli centri e nelle campagne, dove è presente una media borghesia impoverita. Chiaramente, il tentativo di Schlein e di Orlando di visitare a tappeto il territorio per ora non riesce a convincere questi luoghi. Il dato di Imperia ci insegna che, in casi sempre più sparuti, continuano a dominare capibastone come Claudio Scajola.
Probabilmente, ci vuole ben altro per convincere tali luoghi, in termini di presenza sul territorio. Inoltre, servirebbe un candidato diverso. Considero Andrea Orlando una delle rare menti lucide della politica italiana, ma è stato al governo per anni senza pubblicizzare alcun risultato di rilievo, ad eccezione della norma sul caporalato (ormai molti anni fa). Appare come un grigio burocrate che fatica a creare entusiasmo.
Malgrado questa impressione, avallata anche da un piccolo voto disgiunto a suo sfavore, non si può certo additare Orlando come responsabile di una catastrofe. Anche perché il centrosinistra ha vissuto una sconfitta e non una catastrofe.
E il centrodestra?
Al netto delle espressioni giornalistiche, dobbiamo ricordare che Giovanni Toti era considerato un ottimo amministratore, tanto che nel 2020 era stato confermato presidente con 90.000 voti in più rispetto a Bucci quest’anno. Le inchieste da cui è stato travolto e il patteggiamento hanno ovviamente influito sui risultati, ma gli elettori del centrodestra hanno sempre dimostrato una certa attitudine a perdonare tali comportamenti. Altrimenti, non avremmo avuto vent’anni di berlusconismo.
Il centrodestra può quindi festeggiare, ma sarebbe consigliabile una certa cautela. Il partito di governo ha dimezzato i voti in pochi mesi e nelle città principali continua a faticare, tanto che lo stesso Bucci risulta sconfitto nettamente nella sua Genova. Ricordo che proprio le regionali del 2015, vinte dal PD, evidenziarono i primi segnali di incrinamento del consenso di Matteo Renzi, dopo le trionfali elezioni europee del 2014. I risultati dei prossimi mesi ci diranno se anche Giorgia Meloni potrebbe andare incontro al medesimo destino.
Foto dalla pagina Facebook di Andrea Orlando
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