Enti locali

Le elezioni umbre nel segno del bipolarismo

28 Ottobre 2019

Uscito dalla porta con le elezioni europee, il bipolarismo sembra essere rientrato dalla finestra con quelle umbre. Il passaggio dal proporzionale proprio della scorsa tornata all’odierno maggioritario pare aver ristretto il campo a due opzioni. Il divario tra i due contendenti principali non sembra essere scaturito tanto da una debacle dei giallorossi, quanto dall’annichilimento di tutti gli altri.

Non c’è spazio per il centro cattolico, fulcro di poteri tradizionali, schiacciato dai due contendenti. Non c’è spazio per la sinistra, campo in cui il partito Comunista perde voti rispetto a maggio, Potere al Popolo! rimane irrilevante e il fronte sovranista, se declinato in salsa socialista, non pare rappresentare nessuno. Non c’è spazio per l’estrema destra che ha deciso di appaltare gli ideali alla Lega. Non c’è spazio per l’antipolitica pura, dove il movimentista e il sessuologo raccolgono più o meno i voti dei parenti di chi ha trovato un posto nelle loro liste.

La destra è nettamente la coalizione vincitrice, con un risultato storico in una Regione che fu rossa. Se le dinamiche locali pesano, l’annichilimento delle forze minori lascia trasparire la voglia di opporsi ai giallorossi. Uno schiaffo alla coalizione romana, ritenuta irricevibile dalla maggioranza degli umbri. Ne beneficia soprattutto Giorgia Meloni, che è parsa recentemente più pragmatica di un volubile Salvini, comunque in grado di replicare il risultato straordinario delle europee. Cala ancora Forza Italia, che avrà sempre meno interesse a fare da stampella al fronte sovranista di destra.

Il M5S tracolla e affonda le speranze della coalizione governativa. Ormai visto come agglomerato di persone che navigano a vista, il M5S sembra aver già compiuto i suoi massimi obiettivi come la riduzione del numero dei parlamentari e dei privilegi della casta. A seguito di tali riforme, appare superfluo a sé stesso e al paese. Adesso rischia di implodere se non costruisce una vera struttura politica, in grado di rimpiazzare la forma aziendale disegnata da Casaleggio Jr.

La stabilità del PD sembrerebbe indicare un elettorato ormai compatto, che ha imparato a digerire le scelte locali e nazionali, idealmente contrastanti alla destra salviniana, genesi di tutti i mali. Un partito quindi ancora radicato in luoghi e strati sociali che si assottigliano sempre di più, mentre non riesce ad intercettare quel mondo che rimane al di fuori. Il problema sembra quello di sempre, ovvero la mancanza di una costruzione ideale forte, di parole nette a favore dei poveri e delle persone a rischio di povertà, di un progetto internazionale che non sia costituito solo di frasi fatte sull’importanza dell’Europa, di una connotazione netta a sinistra. Finché non ci sarà niente di tutto questo, il PD potrebbe rimanere un partito che funziona solo grazie alle sue categorie tradizionali, importanti e imprescindibili, ma che rischiano di scomparire nel corso del tempo.

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