Enti locali

Un’economia in crisi, una regione remota: ecco il laboratorio Umbria

22 Settembre 2019

Dubito che alcun commentatore abbia mai indicato l’Umbria, cenerentola tra le regioni rosse arroccata tra le montagne, come laboratorio politico in grado di anticipare tendenze nazionali. Stranamente, in questi giorni, pare essere lo scenario nazionale ad imporre all’Umbria nuove sperimentazioni politiche.

C’era un tempo in cui i cittadini umbri votavano compattamente il partito comunista e i suoi eredi. La crisi ha mutato profondamente un territorio considerato spesso periferico, tagliato fuori dalle più moderne vie di comunicazione e afflitto frequentemente da terremoti, mentre la sua fabbrica principale, l’acciaieria di Terni, perde rilevanza e rischia ciclicamente la chiusura. L’economia ristagna tanto che l’Umbria sta placidamente entrando nel club delle regioni “in transizione”, quelle che possono accedere a maggiori fondi strutturali perché il loro PIL è compreso tra il 75 e il 90% della media europea.

Il cambiamento è sancito dall’elezione di un sindaco leghista nella città operaia di Terni. Per ironia della sorte, quando nel 2004 la proprietà tedesca decise di cessare la produzione del lamierino magnetico nell’acciaieria della città di San Valentino, i sindacati si rivolsero al governo per impedire che si depauperasse la fabbrica cancellando un prodotto ad alto valore aggiunto. Fu proprio l’allora ministro leghista del welfare, Roberto Maroni, ad affermare che il governo non poteva intervenire perché portatore di un’ideologia liberale.

La presidente della giunta regionale uscente, Catiuscia Marini, è stata coinvolta in vicende giudiziarie legate alla sanità regionale. Il governatore espressione del PD si è dimessa per opportunità politica malgrado le indagini potrebbero essere più rivelatrici dello squallore dei tempi che di comportamenti di rilevanza penale. La nuova alleanza tra PD e M5S è piombata sulle elezioni che si svolgeranno alla fine di ottobre.

Appena Andrea Fora, ex presidente di Confcooperative, ha avuto l’ufficialità di essere il candidato del centrosinistra, Luigi Di Maio ha aperto ad un patto civico con i democratici. In modo da far saltare il nome di Fora, già in campo da mesi con il suo movimento civico, il Ministro degli esteri ha forzato la candidatura di Francesca Proietti, sindaco di Assisi, eletta tre anni fa con una lista civica e sostenuta anche dal PD, dopo vari abboccamenti grillini. Verificata la debolezza di Proietti, i due partiti parevano essersi accordati su Francesca Di Maolo, ma l’autorevole manager, presidente dell’istituto Serafico di Assisi, ha declinato l’offerta. I due partiti  sembrano ora aver scelto un altro imprenditore, Vincenzo Bianconi, e l’escluso Fora medita rivincita.

Nella sua idea di patto civico, il M5S vorrebbe, inoltre, che l’intera giunta regionale fosse espressione della società civile. I partiti dovrebbero abdicare e appaltare il governo a soggetti esterni. Fa piacere notare che il M5S inizia a considerarsi come un partito a tutti gli effetti, ma la girandola di nomi non pare certo né edificante né trasparente. L’Umbria dovrebbe affidarsi a una struttura manageriale espressione di partiti che sembrano vergognarsi di governare.

L’elezione diretta della figura del presidente sembra ingarbugliare la matassa, perché pone il gioco politico sulla base di dati ipotetici, che potrebbero non rappresentare le effettive intenzioni della cittadinanza. Spesso si argomenta che l’elezione diretta è più trasparente rispetto ai giochetti politici post-elettorali, ma lo spettacolo di questi giorni sembra confutare tale tesi. Non sarebbe più rappresentativo della volontà dei cittadini scegliere il presidente dopo la consultazione elettorale, in modo da tenere in considerazione il peso reale dei partiti e delle liste civiche?

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