Enti locali

L’Aquila: dalle primarie una spinta verso la “città universitaria”?

9 Aprile 2017

Tra i Comuni chiamati al voto nella prossima tornata di elezioni amministrative, quella dell’11 e 25 giugno 2017, c’è anche la città dell’Aquila amministrata dal 2007 da una giunta di centrosinistra guidata dal Sindaco Massimo Cialente. Il rinnovo dell’amministrazione comunale del capoluogo abruzzese arriva a poco più di 8 anni dal sisma che ha colpito la città il 6 aprile del 2009 e che ne ha inevitabilmente cambiato la storia.

  • L’Aquila e l’Università degli Studi dell’Aquila

Uno degli aspetti più peculiari della vicenda aquilana, pre e post sisma, è il rapporto della città con la sua università, l’Università degli Studi dell’Aquila: un rapporto storico, complesso, spesso conflittuale, ma necessario ad entrambe. Certo non scontato, ma necessario sì.

Lo studio L’Aquila 2030”. Una strategia di sviluppo economico uno strumento per pensare un ausilio ai processi decisionali, uno studio promosso dall’allora Ministro della coesione territoriale Fabrizio Barca, e coordinato dal prof. Antonio Calafati, così descriveva l’importanza dell’Università per la città dell’Aquila:

L’Università di L’Aquila costituisce uno dei sotto-sistemi di generazione di reddito primario più importanti della città. Con una popolazione di circa 72.000 abitanti e con circa 23.000 iscritti alle Facoltà della sua Università, L’Aquila si qualifica come “città universitaria”.

Sulla base di questa ed altre analisi, il documento di Barca-Calafati proponeva “l’espansione del settore “insegnamento universitario e ricerca” quale “elemento cardine di una strategia di sviluppo economico di lungo periodo per L’Aquila”. E ancora:

Il ruolo positivo che una università svolge rispetto al funzionamento dell’economia di una città è un dato generale. Ciò che è invece specifico, come nel caso di L’Aquila, è l’importanza molto elevata che essa può avere nella composizione della base economica e il contributo che può dare all’attivazione di processi di innovazione e investimento locali. Per una città delle dimensioni di L’Aquila, una università di medie dimensioni può concorrere in misura determinante alla formazione dell’occupazione e del reddito.

Secondo il documento Barca-Calafati, inoltre, una

città universitaria, contribuendo in misura determinante a creare un ambiente urbano, è una straordinaria opportunità di radicamento per i giovani residenti locali. La presenza di studenti universitari residenti propone, infatti, modelli di comportamento, possibilità di interazione, disponibilità di beni/ servizi coerenti con gli stili di vita e le aspettative delle classi di età giovanili. Da questo punto di vista, gli studenti universitari residenti sono un fattore critico di modernizzazione della società aquilana e di costruzione/consolidamento di un milieu giovanile che alimenta la “lealtà territoriale” degli individui nella classe di età 18-35 anni – la classe che in una città svolge un ruolo decisivo nel generare innovazione e investimento (e che tutte le città cercano di attrarre). Tra 5-10 anni, compiuta la ricostruzione, le attuali classi giovanili saranno le classi di giovani adulti della città che, a quel punto, dovranno svolgere il ruolo di guida sociale, economica e politica della città. Le forme e l’intensità del “processo di socializzazione” di queste classi di età sono, nel lungo periodo, decisive nell’orientare lo sviluppo economico della città.

Stando a queste analisi e proposte, dunque, la città dell’Aquila, nel processo di ricostruzione potrebbe trarre enormi benefici puntando ad essere una  “Città universitaria” e del resto in questi anni gli studenti ne hanno fatto una battaglia specifica intuendo che anche l’ateneo ha bisogno di una città in grado di offrire servizi e strutture adeguate: mobilità alla residenzialità, passando per l’offerta culturale e le prospettive occupazionali del dopo studio.

Occorre dire, tuttavia, che la carenza dei servizi, in una città che non ha deciso fino in fondo di puntare sul suo ateneo come elemento strategico, non è caratteristica solo del dopo-sisma. Anche prima del 2009, infatti, gli studenti e lo stesso ateneo avevano più volte sollecitato la città e gli altri enti di governo del territorio (Regione in primis ) a fare un passo in avanti nel senso della “città universitaria”, ricevendo risposte frammentarie e parziali.

Nel 2005, ad esempio, l’Unione degli Universitari L’Aquila scriveva nel documento “Contributo scritto dell’Unione degli Universitari sullo sviluppo del territorio aquilano”:

Lo sviluppo di un città e del suo territorio dipende dalle scelte sulla gestione e l’investimento rispetto alle risorse (economiche, naturali, culturali, cognitive) presenti. Per la città e per il territorio indubbiamente l’Università rappresenta un’opportunità di sviluppo.

E ancora sull’”impatto economico” degli studenti sul tessuto cittadino:

Gli iscritti all’Ateneo aquilano sono 20.000, di cui circa la metà fuori sede. Una massa critica enorme se confrontata con la popolazione della città. Questa presenza ha effetti diretti sulle “tasche” degli aquilani. Migliaia sono le case in affitto, con migliaia di famiglie che da questo ne ricavano un ulteriore reddito. Tutti gli esercizi commerciali risentono positivamente della presenza degli universitari, con alcuni totalmente dipendenti da questi (ristorazione veloce, locali notturni) e altri parzialmente dipendenti (cartolerie, librerie, palestre). I servizi pubblici sono sostenuti dalla presenza dagli studenti universitari. I trasporti in particolare ne sono un esempio, anche se il servizio non risulta adeguato alle esigenze dell’utenza. Gli Enti Locali quindi, finora sempre dimostratasi poco sensibili, dovrebbero farsi carico di interventi che  migliorino la qualità della vita degli studenti, anche considerando i benefici che deriverebbero per il territorio dall’essere ancora più “attrattivo” per gli studenti “fuorisede”.

Negli anni seguenti ci sono state campagne e mobilitazioni continue e specifiche sui temi del “caro-affitti” e degli affitti in nero, del trasporto urbano, della gestione della “movida universitaria” vissuta male da una parte del centro storico cittadino. 

Certo, non sono mancati tentativi importanti da parte degli Enti Locali per offrire soluzioni al problema del mercato degli affitti. Nel 2008, ad esempio, l’Azienda per il Diritto agli Studi Universitari (Adsu) sperimentò la residenzialità diffusa attraverso l’affitto di alloggi privati poi inseriti nell’offerta abitativa nel quadro delle borse di studio con l’obiettivo da un lato di aumentare l’offerta residenziale e dall’altro di calmierare i prezzi del mercato immobiliare.

Con il sisma del 2009 alle criticità già esistenti, e dal terremoto amplificate, si sono aggiunti nuovi problemi.

La radicale trasformazione dell’assetto urbanistico della città, con le nuove dislocazioni di diversi poli universitari, con la carenza di residenzialità pubblica e privata e il conseguente aumento del costo dei canoni di locazione e l’aggravarsi delle carenze del sistema di trasporto urbano, se da un lato ha reso la vita dell’Università più difficile dall’altro ha fatto emergere con chiarezza che l’obiettivo della “Città universitaria” è e resta strategico per L’Aquila e e l’Ateneo stesso.

Gli slogan e le piattaforme studentesche, intitolate “L’Aquila città militare o città dei saperi?” e “L’Aquila monumento studentesco” durante le mobilitazioni tra il 2009 e il 2012, sintetizzano la spinta degli studenti verso un modello integrato fra città e ateneo e che ha avuto come punti critici le richieste di una mobilità efficiente da e per i poli universitari e la difesa della Casa dello Studente situata presso l’ex caserma Campomizi.

Il raggiungimento dell’obbiettivo del’Aquila “Città Universitaria”, tuttavia, non può essere raggiunto solo attraverso la “spinta” degli Enti Locali. Secondo il documento Barca-Calafati, infatti,

Porsi questo obiettivo in un contesto di una strategia di sviluppo significa, innanzitutto, avere la consapevolezza che non può essere l’esito diretto di un intervento del decisore locale. Il suo conseguimento dipende dal comportamento di un attore sociale, l’Università di L’Aquila, che ha autonomia strategica e una propria funzione di preferenza. Modificare la funzione obiettivo dell’Università – o vincolarne il campo di scelta – non è un obiettivo che può essere perseguito con gli strumenti di governo della città. Richiede un progetto congiunto città-Governo (Ministero dell’Istruzione, Ministro per la Coesione Territoriale). Il che costituisce una prima fondamentale questione di governance da affrontare se si decide di porsi l’obiettivo sopra descritto.

Ed è quest’ultimo aspetto, il comportamento dell’Università, che si è aggiunto alle criticità già presenti sul fronte Enti Locali e territorio. Le scelte dell’ateneo, infatti, negli ultimi anni si sono progressivamente allontanate dall’obiettivo del documento Barca di 30mila studenti, attraverso una sistematica riduzione dell’offerta formativa e l’introduzione di numeri programmati a numerosi corsi di studio che prima erano grandi attrattori di studenti fuori-sede come il corso di Psicologia, ad esempio. Il combinato disposto tra le difficoltà del sistema servizi/residenzialità e della riduzione dell’offerta formativa ha prodotto un calo costante degli iscritti che oggi si attestato poco sopra i 18mila studenti.

Un calo che rischia, oggi, di vanificare tutti gli sforzi fatti nell’immediato dopo-sisma, dall’ateneo e dal Miur, per mantenere all’Università dell’Aquila un numero importante di studenti e garantire al contempo la qualità della didattica.

  • Il ruolo e il “peso degli” studenti e la loro partecipazione alle primarie cittadine

Il tema di come e in che modo far “pesare” e contare le esigenze degli studenti e spingere la città e l’Università a scegliere il modello della “Città Universitaria” è aperto da anni. In particolare gli studenti-fuori sede sono di fatto “invisibili” rispetto ai processi di governo del territorio e dei servizi ai quali contribuiscono in modo diretto e indiretto: dal commercio, al mercato immobiliare fino al pagamento di una quota importante della TASI per chi ha un contratto di affitto regolare (quota fissata al massimo al 30%  sui locatari).

In che modo è possibile integrare dei cittadini “invisibili”nei processi decisionali di comunità locali come le città che ospitano degli atenei e che spesso vedono un rapporto molto alto tra studenti fuori-sede e residenti?

La mancanza di un peso reale degli studenti, al di là delle proteste e delle mobilitazioni che possono mettere in campo, è certamente alla base della difficoltà e della ritrosia degli Enti Locali a prendere in seria considerazione i problemi legati alla vita universitaria nell’ottica di integrarli in una visione di sviluppo comune tra città-ateneo-territorio. Il Comune dell’Aquila non ha fatto fin’ora grandi passi in avanti in questa direzione nonostante alcune iniziative come l’istituzione della Consulta dei Giovani con la presenza di rappresentanti degli studenti dell’Università e la ripresa di incontri con le organizzazioni universitarie.

In quest’ottica le primarie per la scelta del candidato Sindaco della coalizione di centrosinistra (Vivendo L’Aquila – Coalizione Civico progressista), che si svolgono oggi  e domani (8-9 aprile), offrono uno spunto di riflessione e un’occasione importante per gli studenti universitari per incidere, almeno in parte, nel processi politici cittadini.

Per la prima volta nelle primarie cittadine, come è già accaduto a Parma alcuni mesi fa, potranno votare non solo i residenti, i 16enni e i cittadini stranieri con regolare permesso di soggiorno ma anche gli studenti fuori-sede iscritti all’Università che hanno un regolare contratto di affitto.  

Secondo Luca D’Innocenzo, portavoce di Territorio Collettivo – uno dei soggetti componenti la coalizione di centrosinistra e che ha proposto l’estensione del voto ai fuori-sede – la scelta «nasce con l’obiettivo di “sbloccare” il dibattito sulla città universitaria» e di «coinvolgere gli studenti che hanno un impatto importante e positivo sul contesto cittadino oltre che essere anche dei contribuenti fiscali come nel caso del pagamento della quota Tasi». Secondo D’Innocenzo far votare i fuori-sede, seppur solo alle primarie, «dovrebbe permettere l’irrompere delle esigenze reali degli studenti che si intrecciano inevitabilmente ai problemi della ricostruzione della città».

Certamente in questa scelta si possono ravvisare anche delle contraddizioni a partire dal fatto che lo stesso centrosinistra che oggi prova a coinvolgere gli studenti nella scelta del suo candidato Sindaco è quello che ha amministrato la città negli ultimi 10 anni e che ha dunque una sua “quota di responsabilità” sulla questione dei servizi universitari in città.

Tuttavia l’apertura delle primarie agli studenti rappresenta un’indiscussa novità, un segno di discontinuità e un occasione per rendere “visibili” quei “cittadini invisibili” che sono i fuori-sede che ha contribuito a migliorare il confronto sul tema  città-università come nel caso delle domande poste dall’Udu ai 3 candidati Sindaci del centrosinistra che hanno dovuto rispondere sui singoli temi posti dagli studenti.

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