Enti locali
La Sicilia perenne tra mafia e antimafia
In Sicilia il pirandellismo estremo ed endemico – che non è solo una piega stilistica di un autore che al meglio ha interpretato artisticamente un flusso di vita, ma forse una struttura logica portante delle menti degli abitanti (la “corda pazza”) o forse della realtà stessa-, fa sì che il dibattito tra mafiosi e antimafiosi, mafiosi in sé e antimafiosi per sé, sia così inafferrabile da tangere ambiti kantiani: un dissidio infinito tra noumeno e fenomeno, tra essere intimamente una cosa e apparirne un’altra, tra l’essere per sé e l’essere per gli altri, tra un Io e non-Io scisso tra prassi mafiose e dichiarazioni antimafiose, tra vizi privatissimi e virtuismi publicissimi.
Come sempre in questo “rompicapo” (Sciascia dixit) che è la sicilianità sono quelli venuti da fuori (non i siciliani dunque che si credono gli unici interpreti del noumeno siculo) a dire le cose come stanno: Damiano Damiani, Pietro Germi, Giorgio Bocca o Vittorio Spinazzola. A questo studioso di Verga e del Verismo ( e di molto altro) ho rubato da tempo una frase che dice la verità in maniera imbarazzante. «In Sicilia più che altrove è arduo discriminare moti di umanità autentica e motivi di disumanità mascherata. Nello stato di crisi perenne in cui versano tutti i rapporti dell’io con gli altri e con se stesso, unica legge di comportamento universale è la doppiezza: mai confidare, neanche alla propria coscienza, ciò che si pensa, si fa e si vuole davvero. Così, le apparenze più grandiose celano le realtà più meschine; le proclamazioni di idealità più pure hanno un rovescio di filisteismo spregevole. La finzione è non solo necessità ma istinto e assieme arte di vita». Vittorio Spinazzola, Il romanzo antistorico, Editori Riuniti, Roma 1990, pag. 18.
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