Enti locali
La fine del Veneto tax-free (e di chi ancora ci credeva)
Per coprire i buchi lasciati dal governo nazionale, la Regione aumenta le tasse per le imprese. I mal di pancia si sprecano e gli alleati della Lega provano ad approfittarsene. Per Zaia settimana di passione anche sul fronte dell’autonomia.
Il bilancio regionale approvato giovedì 12 dicembre segna la fine del Veneto Tax-Free propagandato da Luca Zaia nei suoi tre mandati da presidente. Il Consiglio regionale ha approvato un aumento dell’Irap, l’imposta regionale sulle imprese che vale in tutto 79 milioni di euro. Poca cosa, certo, stiamo parlando di meno di 200 euro all’anno in media per le oltre 400 mila aziende con sede nel Veneto. Ma è soprattutto il valore simbolico della misura a segnare il crepuscolo di un modo di governare ormai insostenibile. Poteva essere l’occasione per rivedere l’anomalo modello veneto il cui patto sociale è grosso modo: non ti chiedo nulla, non mi chiedi nulla per provare a programmare e immaginare delle politiche per favorire la transizione digitale delle imprese e magari aiutare le fasce di lavoratori e famiglie più fragili. E invece l’aumento dell’Irap resta una maldigerita medicina per coprire un buco di bilancio. Infatti le tensioni son subito venute a galla, dentro la maggioranza di governo con Forza Italia che non ha votato l’aumento e tra le categorie economiche, indispettite soprattutto dalle finalità del provvedimento. Otto associazioni di categoria – Confcommercio, Confesercenti, Confindustria, Cna, Confartigianato, Casartigiani, Legacoop, Confapi e Ance – si sono schierate contro questa misura, definendola inopportuna e dannosa. L’aumento dell’Irap viene percepito come un intervento volto a ‘tappare un buco’ causato dal taglio di 22 milioni di euro deciso dal governo Meloni, piuttosto che come uno strumento per sostenere investimenti o lo sviluppo economico. «Non è una tassa per la crescita, ma solo una soluzione emergenziale», denunciano le categorie. L’assessore regionale Francesco Calzavara ha rassicurato che le aliquote per il 2025 sono già state definite e inserite in bilancio, ma il problema persiste per il 2026, quando si renderanno necessari ulteriori 60 milioni di euro per coprire il disavanzo.
Quanto alla posizione di Forza Italia, il no all’Irap è quasi certamente strumentale. Forza Italia in Veneto è guidata da Flavio Tosi, ex leghista ed ex assessore regionale alla sanità. Rivale di Zaia, Tosi non fa mistero di voler correre da presidente della Regione l’anno prossimo, ma si intravede con sufficiente chiarezza la volontà primaria di far cadere il rivale. Per chi ama gli intrighi di palazzo, Silvia Madiotto sul Corriere del Veneto ricostruisce con precisione le schermaglie tra Lega e Forza Italia.
Messo sulla difensiva, Zaia si è barcamenato affermando che l’aumento è del tutto sostenibile per le imprese e che il Veneto rimane la Regione con minore tassazione, confondendo ad arte l’imposizione fiscale nei confronti delle imprese con quella dei cittadini. Come noto, dal 2010 la Regione ha rinunciato all’applicazione dell’aliquota Irpef di sua competenza, ma l’argomento può trarre in inganno l’utente medio, non certo gli addetti ai lavori, in particolare gli imprenditori. Se da un lato i singoli cittadini hanno risparmiato 60-80 euro l’anno, per le aziende l’aumento è incrementale, ovvero si somma a tutti gli altri obblighi fiscali e, come sottolineato dalle categorie economiche, avrà inevitabilmente riflessi sull’occupazione. Comprimere le possibilità di investimento delle imprese non è mai una buona idea, lo è ancora meno chiedere soldi per tappare i buchi senza una visione di sviluppo industriale, tra l’altro in un contesto di crescente incertezza e di chiaro rallentamento dell’economia. Quanto all’aliquota Irpef, cioè sui redditi dei cittadini, dalle opposizioni fanno notare che il Veneto tax-free è solo una fantasia nella testa di chi ci crede: dalla sanità ai trasporti, dalle cure per gli anziani alle spese universitarie, le famiglie devono mettere mano al portafoglio per fare fronte alla carenza di risorse regionali in ambito sociale. Solo per la sanità, nel 2021 i veneti hanno speso 756 euro pro capite per assicurarsi cure ricorrendo al settore privato, di gran lunga il dato più alto in Italia.
Restano però agli atti le dichiarazioni al miele nei confronti della manovra del governo Meloni. Non più tardi di settembre Zaia incensava come ‘visionaria’ e ‘di grande prospettiva’ la legge di bilancio 2025 proposta dall’esecutivo nazionale. Sì, il riferimento era all’ipotesi di aumento del fondo sanitario regionale, poi tramontata, ma insomma, ci siamo capiti. Fosse stato un governo di centrosinistra a tagliare le risorse alle Regioni e ai Comuni come quello attuale (in tutto 7 miliardi e 780 milioni nei prossimi 5 anni) avremmo visto i pullman griffati Alberto da Giussano partire per Roma con biglietto di assedio di sola andata.
Per il presidente è stata una settimana complicata anche sul fronte dell’autonomia, il suo specchietto per le allodole preferito. Dopo che la legge Calderoli è stata di fatto smontata dalla Consulta (alle Regioni si assegnano le funzioni e non le materie e per alcune di queste – il commercio con l’estero, la tutela dell’ambiente, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, i porti e aeroporti civili, le grandi reti di trasporto e di navigazione, le professioni in particolare quelle ordinistiche, l’ordinamento della comunicazione, le norme generali dell’istruzione – non si discute nemmeno e rimangono in capo allo stato), in settimana è arrivata la sentenza della Corte di Cassazione che ha ammesso il referendum per l’abrogazione della legge. Come succede ogni volta in cui la realtà e i media non si allineano con i suoi desiderata al presidente veneto è saltata la mosca al naso e ha invitato a disertare il voto.
Segnalazioni
Fondazione Nordest: imprese diano opportunità ai giovani
Appello della Fondazione Nordest per creare nelle imprese occasioni di lavoro migliori e dare ai giovani l’opportunità di mostrare il loro valore. La Fondazione Nordest sta studiando i motivi per cui ogni anno più di 100.000 giovani italiani emigrano dal Nord Italia, per trovare lavoro all’estero. Ciò che serve al nostro Paese è un salto culturale.
Startup in calo e nessun incubatore certificato.
Per le startup il terreno non appare fertile a Vicenza, scrive Roberta Bassan sul Giornale di Vicenza riportando i dati della locale Camera di Commercio. Vicenza è la terza provincia in Veneto con 124 startup (erano 163 tre anni fa), dietro Padova 210 e Verona 192; Treviso ne annovera 127, Venezia 107, Rovigo 28, chiude Belluno con 15. Le città universitarie sono le più fertili. Ma Vicenza di fatto, con 13,4 startup ogni 10 mila imprese, perde la partita dell’innovazione sia rispetto al Veneto che ne ha una media di 17,3, sia in confronto con la media italiana di 21,6.
Crisi Benetton, Coin, Geox
Benetton Group negli ultimi 10 anni ha accumulato 1,6 miliardi di perdite, scrive Sara Bennewitz su Repubblica e, dopo aver iniettato 800 milioni di risorse negli ultimi cinque anni, ha avviato un massiccio piano di taglio dei costi che a medio termine porterà alla chiusura di un negozio su sette nel mondo, per un totale di circa 500 punti vendita; Coin e i suoi 35 grandi magazzini a cui si aggiunge la rete di 130 franchising, il 18 dicembre si incontrerà con i sindacati al Mimit, ma la situazione resta critica con 80 milioni di debiti e margini risicati, tant’è che il punto vendita di Piazza Cordusio a Milano, dopo anni di lavori, continua a rimanere chiuso. Geox, è reduce da anni di tagli e riduzione dei punti vendita, e ha annunciato che chiuderà le sue attività negli Usa e in Cina.
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