Enti locali

La centralità ritrovata del PD e le prossime sfide

28 Gennaio 2020

Il risultato delle elezioni dell’Emilia-Romagna e, in misura minore, della Calabria, ci consegna un PD vitale e centrale nell’arco politico italiano così come non era prevedibile prima dell’estate scorsa. Grazie a pochi meriti propri, molti demeriti altrui e qualche aiuto esterno, il partito che vorrebbe essere il punto di riferimento della sinistra italiana è uscito in breve tempo dall’angolo in cui si era cacciato, malgrado sia ancora lontano dal competere con il centrodestra a livello nazionale.

L’alleanza con il M5S sembra avergli dato nuova linfa grazie al continuo confronto con un populismo dal basso che rispecchia le necessità delle classi più umili. La rodata struttura politica consente al PD di lavorare per indirizzare queste esigenze, anziché meramente assecondarle, e quindi di formulare proposte che potrebbero rivelarsi utili al paese. Tale percezione sembra essere confermata dalle analisi dei flussi elettorali che scorgono un allontanamento dal M5S verso Stefano Bonaccini.

Difatti, troppi commentatori hanno derubricato il M5S a forza populista affine esclusivamente alla Lega salviniana, entrambe avverse all’Unione Europea. Tolto il paraocchi di Bruxelles, il M5S ha espresso sin dalle origini numerose istanze di sinistra, malgrado declinate con populismo e giustizialismo becero. Il PD ha invece stentato a rappresentare le stesse istanze sin dalla fondazione. La spinta delle sardine e la ridicola campagna elettorale di Matteo Salvini hanno trascinato molti elettori pentastellati verso Bonaccini e contribuito in maniera decisiva all’arrocco contro il leader leghista.

Oltre al governo, le elezioni consolidano l’idea abbozzata da Nicola Zingaretti di superare l’autoreferenzialità del PD, ascoltando le classi popolari anziché i grandi editorialisti. Ma la storia elettorale continua e tra pochi mesi si vota in sei regioni, il cui risultato appare pressoché scontato. Puglia e Toscana tendono al centrosinistra, Liguria e Veneto al centrodestra, insieme a Campania e Marche, pronte a cambiare casacca.

Liguria e Toscana appaiono le uniche due regioni in cui potrebbe verificarsi una sfida diretta di proporzioni nazionali tra Lega e PD. In Liguria, un tempo una delle regioni più a sinistra del panorama nazionale, un’affermazione del PD pare al momento impossibile. Una classe dirigente coraggiosa avrebbe il dovere di presentare un nome importante per tentare la spallata contro Giovanni Toti, reinventatosi trait d’union tra Forza Italia e Lega. Un’eventuale vittoria a Genova rappresenterebbe infatti un elisir di lunga vita per il governo.

Al contrario, Salvini potrebbe provare ad espugnare la Toscana, regione simile all’Emilia Romagna, ma storicamente più divisa. Bonaccini ha snocciolato fiero i dati del buon governo di fronte ad una popolazione in buona parte consapevole della propria storia. Il candidato PD in Toscana, Eugenio Giani, potrà presentare dati comunque solidi ma meno palpabili dalla popolazione. La sanità Toscana, fiore all’occhiello della regione, è spesso percepita come esclusiva, perché poche eccellenze si sommano a realtà decisamente meno attrezzate. L’agricoltura fatica a generare profitti e si intravede la piaga del caporalato, mentre l’industria alterna esperienze prestigiose al decadimento.

Una realtà complessa e sfaccettata, segnata da un campanilismo antico, che potrebbe tramutarsi in terreno di caccia leghista. Al tempo stesso, tante città toscane, dalle istintivamente anarchiche Carrara e Livorno alle orgogliose Arezzo e Siena, appaiono storicamente refrattarie all’idea dell’uomo forte, specialmente se calato dal nord. Con una campagna elettorale come quella emiliana, Salvini rischia di non entrare neanche in partita.

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