Ambiente

In migliaia a Potenza contro le trivelle, ma nessuno se ne accorge

5 Dicembre 2014

Giovedì 4 dicembre la Basilicata è stato il vero centro d’Italia. Più di Roma e delle sue losche trame, più di Ragusa e delle sue atroci vicende. Poi che non se ne sia accorto nessuno, è protocollo.

Nel senso, il lucano è abituato a sentirsi escluso dal centro del mondo: la sua è una condizione connaturata, e non ne fa neanche un motivo di rancore. Sempre più abituato ad accogliere che ad essere accolto. Certo è che nel momento in cui un capoluogo di una –seppur piccola- regione si riempie di gente che manifesta per chiedere alla Regione di impugnare il decreto Sblocca Italia davanti alla Corte Costituzionale  per “manifesta incostituzionalità”, un po’ di attenzione si dovrebbe pretendere, al netto delle personali e collettive posizioni sull’ormai annosa faccenda petrolio.

I molti manifestanti -per la Questura sull’ordine dei 3000 e per gli organizzatori 10000, fate voi la media- che hanno riempito le vie di Potenza non hanno trovato spazio sulla stampa nazionale (Corriere, Repubblica, La Stampa). Eppure la manifestazione è stata ampiamente annunciata nei giorni precedenti, organizzata per protestare contro quell’articolo 38 del decreto “Sblocca Italia” che appunto prevede la perforazione avanzata del territorio regionale e che prevedibilmente regalerà ai lucani per l’anno nuovo molte altre trivelle in più. Il corteo era eterogeneamente composto da studenti ai quali si sono affiancate associazioni per la tutela del territorio da altre regioni, oltre a comitati pubblici interregionali come “Mo’ Basta” e come “No Triv” –quest’ultimo di chiarissima ispirazione.

Obiettivo –riuscito- del corteo è stato quello di bloccare seppur temporaneamente il Consiglio Regionale riunito a discutere e a votare sulle prospettive di una regione e di un’intera area del sud Italia, sospeso tra la decisione di impugnare il decreto Sblocca Italia davanti alla Corte Costituzionale oppure quella di andare avanti col progetto del Governo visto che, come disse Renzi qualche tempo fa, l’esecutivo non si farà fermare da «quattro comitatini».

Appurato che i comitatini non sono tanto -ini e che la protesta sta raggiungendo livelli di allarme preoccupanti, la cosa che appunto si fatica davvero a capire è come faccia a non risultare una notizia il fatto che, ad esempio, agricoltori con trattori minaccino di sfondare i cancelli davanti al palazzo di una regione italiana, che migliaia di persone cerchino di fermare una votazione –poi comunque approvata, a fine serata, con le dimissioni da Sel del consigliere regionale Giannino Romaniello – volta a rincarare la dose in trivellazioni su una popolazione già ampiamente esasperata.

Qualcuno ad esempio ricorderà la grande maratona di Scanzano Jonico che nel 2003, sotto il Governo Berlusconi, si opponeva alla discarica di rifiuti tossici designata dal Consiglio dei Ministri proprio in quell’area, avanzando una lotta durata anni e poi risultata efficace, anche se non si sa fino a che punto. Qualcuno ad esempio ricorderà l’eco che la vicenda fece a livello nazionale, portando alla ribalta un paesino di solito menzionato solo in qualche racconto delle vacanze estive agli amici: tutta Italia con Scanzano, in un grande tourbillon di sostegno in cui i rappresentanti Ds locali e nazionali (prima della metamorfosi in Pd) si fecero promotori degli “interessi dei cittadini”.

Perché se «sui territori di localizzazione degli impianti di produzione di energia nucleare e dei siti di stoccaggio delle scorie le risposte del governo Berlusconi sono evasive ed elusive», come dichiarò in tempi non sospetti (2010) il deputato Pd Salvatore Margiotta, altrettanto elusivo è risolvere questa nuova questione –che prevede altri siti di stoccaggio- dichiarando che «il metodo scelto da Marcello Pittella, di interlocuzione forte e responsabile con il Governo nazionale e di intesa istituzionale, ha dato i primi frutti» e «continuerà a darne» come disse sempre Margiotta, nel frattempo diventato Senatore, lo scorso 12 settembre.

Questo è un progetto ventennale di perforazione e stoccaggio che attraversa fasi, crisi e governi. D’altronde  Enrico Letta, il predecessore di Renzi, definì la Basilicata come “la Grecia d’Italia”, sbagliando completamente il paragone e dimostrando di non aver compreso conformità, caratteristiche e peculiarità della regione in questione, ed essere forse mal informato dai suoi compagni di partito in Regione.

Molti aspetti s’intrecciano in questo romanzo, in passato mi sono occupato personalmente di dati e di numeri, di barili estratti e di analisi sulle falde acquifere, di discorsi sulle royalty e sui famigerati buoni benzina elargiti come scarna ricompensa, di dichiarazioni raccolte dagli abitanti. Oggi però non vogliamo entrare nello specifico perché un racconto tecnico coprirebbe comunque gli atteggiamenti e le parole di una classe politica completamente indifferente alle richieste di una larga fetta dei suoi cittadini e prima ancora, completamente indifferente alle richieste di chiarezza che travalicano ogni possibile posizione. In fondo a guardarla bene anche questa è «una storia bellissima» del sud, di quelle che –a detta sua- al Premier piacciono. È la storia di un sud che non si piega, che si unisce e che chiede spiegazioni, trattative, al di là di discutibili servizi RAI regionali (famoso il caso del servizio “manipolato” dalla collega lucana Cinzia Grenci, poco meno di un mese fa) e al di là di una non-informazione che diventa disinformazione.

Ed ecco quindi che Potenza diventa il lato oscuro della forza di Matera, come se la meravigliosa provincia -assurta meritatamente a neo capitale della Cultura- sorgesse nel deserto, o sott’acqua come Atlantide. Come in una sorta di contrappasso, a Matera -nonostante il grande contributo alla causa dato dalla città, anche ieri- vanno le spasmodiche attenzioni che invece spariscono su Potenza perché si sa, quando si parla di cultura è un piacere, quando invece si parla di politica e di tutti i problemi ad essa annessi, diventa spesso un impiccio.

Un impiccio come un capoluogo pieno di manifestanti ma ancor prima di cittadini, un Consiglio Regionale sospeso fino a tarda sera con molta tensione. Impicci come la questione d’approvvigionamento energetico di un paese, la questione ambientale e quella sanitaria, lo sviluppo della Lucania stessa, a cui aggiungiamo la difficoltà sempre più grande  per un Partito Democratico ormai invischiato – e la cronaca illuminata di questi giorni sta a raccontarcelo-  in paludi sempre più pericolose.

Insomma, seguendo i crismi soliti, il fatto lucano non sussiste. Non esiste il problema, non esiste la protesta, oltre ai “quattro comitatini” non esiste altra gente, non esiste la presenza del governo, non esiste la Basilicata. Ma a questo eravamo già abituati.

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