Enti locali
Il Movimento 5 Stelle sta bene, la legge elettorale no
Ieri ci sono state le elezioni comunali. Come previsto quasi nessuno (se non Leoluca Orlando a Palermo, dove peraltro ci sono regole diverse che permettono di vincere al primo turno anche senza il 50%) ha vinto al primo turno. Ci sarà il ballottaggio a Genova, a Verona, a Padova, a Parma, a Catanzaro, a Taranto, a Lecce e in molte altre importanti città. In quasi nessuna di queste città il Movimento 5 Stelle sarà al ballottaggio e questo è bastato a molti per dire che il partito di Grillo è in caduta libera, che paga l’effetto Raggi o il comportamento tenuto nella discussione sulla legge elettorale.
Questo rischia di essere un gigantesco abbaglio.
L’elettorato del Movimento 5 Stelle, infatti, è molto strano. Di base, almeno nei macronumeri, è molto più disattento rispetto a quello dei partiti tradizionali e di conseguenza si mobilita solo quando le campagne elettorale hanno una forte esposizione mediatica, come avviene di solito per le elezioni politiche e come è avvenuto l’anno scorso quando (visto che si votava a Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna) le comunali hanno avuto un’eco paragonabile a quella delle politiche. Di quelle di ieri se n’è parlato pochissimo e infatti l’affluenza è stata molto molto bassa.
E quindi no, non si può dire che il M5S sia in crisi di consenso. Si può dire però, semmai, che ha un punto debole che per una forza politica che vuole provare a governare è gravissimo, ovvero che non ha praticamente radicamento territoriale. Nei comuni, specie quelli più piccoli, non riesce, cioè, ad esprimere candidati forti e credibili. Tutto il suo consenso è basato sulla mobilitazione nazionale, sulla forza carismatica di Beppe Grillo, sul seguito mediatico e socialmediatico di quei tre o quattro leader che sono emersi durante questa legislatura. E’ sufficiente questo per superare in consensi un partito come il Pd e, in misura minore, Forza Italia e Lega Nord che sul territorio hanno radicamento e personale politico da schierare? Sì, potrebbe.
E quindi prendere questo flop elettorale come sintomo della caduta di consensi del Movimento 5 Stelle, o peggio ancora come un ridefinirsi del dualismo classico degli ultimi 25 anni con il centrosinistra da una parte e il centrodestra dall’altra, potrebbe essere un errore tremendo che gli altri partiti farebbero bene a non commettere in vista delle politiche.
A proposito di elezioni politiche. L’altra settimana dicevamo che, probabilmente, si sarebbero tenute in ottobre, ma dicevamo anche di andarci cauti perché il diavolo, anche nelle leggi elettorali, si nasconde nei dettagli. E infatti al primo dettaglio quello che sembrava un accordo granitico fra le quattro forze principali del parlamento (Pd, Forza Italia, M5s e Lega) è andato in frantumi.
Il dettaglio in questione è stato un emendamento che assicurava al Trentino Alto Adige di votare secondo regole diverse del resto d’Italia. E’ una consuetudine sempre rispettata e tutelata anche da trattati internazionali che, sostanzialmente, impone all’Italia di lasciare alla minoranza linguistica tedesca amplissimi margini di auto-organizzazione. In Alto Adige, da sempre, c’è un partito egemone come la Sudtiroler Volkspartei. Che, per inciso, è il partito più antico della politica italiana, oltre che un alleato di governo del Pd.
Ma questo c’entra fino a un certo punto: al primo voto un po’ delicato tutto l’impianto del proporzionale alla tedesca è crollato. Il Pd, che questa legge l’aveva presentata pur dicendo che non era la sua preferita l’ha ritirata. Domani si sarebbe dovuta approvare alla Camera in prima lettura. E invece la legge elettorale è tornata in commissione e non si sa se e quando riemergerà.
E quindi che succede adesso?
Il Pd accusa il Movimento 5 Stelle di aver tradito un patto, il M5s risponde che se il Pd volesse la legge la si potrebbe ancora fare. La Lega dice di voler andare a votare il prima possibile una parte della sinistra (tipo Bersani) che alla base del naufragio della legge elettorale c’è proprio la fregola di andare a votare il prima possibile.
L’accordo trovato su questo modello, che ricordava vaghissimamente il sistema tedesco, era fragilissimo e dopo lo scambio di accuse degli ultimi giorni (c’è stato anche un casino in aula alla Camera con un voto che doveva essere segreto e che è apparso sul tabellone dei voti come palese) sarà piuttosto difficile riannodare le fila del discorso. Difficilmente si uscirà da una logica proporzionale con tutto quello che ne consegue, torneranno in discussione questioni che sembravano sepolte come le preferenze e la possibilità per i partiti che prendono meno del 5% di entrare in parlamento. Probabilmente si ripartirà dal sistema uscito dalla Corte costituzionale, ovvero l’Italicum mutilato dal ballottaggio. Probabilmente nelle prossime settimane lo capiremo meglio.
E rimane sullo sfondo anche l’ipotesi di un intervento ‘light’ da parte del governo che con un decreto (che in materia elettorale sarebbe meglio non fare, lasciando decidere il parlamento) potrebbe dare una piccola aggiustata alle regole che sono vigenti e che sono, di fatto, state scritte non dal Parlamento, ma dalla Corte costituzionale.
L’unica cosa abbastanza probabile è che è a questo punto molto molto difficile che prima dell’estate una nuova legge elettorale sia approvata in un ramo del parlamento. Se arrivasse agosto, che è dietro l’angolo, senza novità da questo punto di vista, la campagna elettorale si allungherà e la legislatura arriverà alla sua fine naturale. Il governo Gentiloni farebbe, entro la fine dell’anno, la legge di stabilità, con le elezioni in calendario verosimilmente verso marzo. Sempre che l’agitazione che è aumentata esponenzialmente in queste settimane non faccia saltare tutto per aria.
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