Enti locali
Il bacillo politico della sanità lombarda
Il business rappresentato dalla sanità è sempre stato al centro degli interessi dell’imprenditoria e della politica. Non poteva essere diversamente, considerata la grossa mole di profitti che può derivarne. Nessuno mai ha pensato con seria preoccupazione al disagio sociale e al clima di disperazione che potevano scaturire da una superficiale gestione dell’intero sistema che gestisce la salute pubblica, in special modo in situazioni di emergenza dovute a pandemie, non del tutto inattese. Va da sé che nella privatizzazione del Servizio Sanitario Nazionale vi sia un criterio, legalmente perseguibile, volto a ottimizzare il guadagno della sfera privata, che affianca quella pubblica senza integrarla, ma superandola addirittura nella gestione, non raggiungendo nessun risultato a conforto della pubblica utilità. Affermare che c’è chi specula sulla salute dei cittadini non è dottrina, o teoria, ma pura verità, supportata da processi penali, sentenze passate in giudicato e condanne eclatanti, poi non scontate. Roberto Formigoni, per esempio, si è fatto appena cinque mesi dei cinque anni di galera comminatigli per corruzione. Ma, questo, è un altro discorso, che qui non affronto.
Succede, così, che la Lombardia, la cui sanità costituisce una percentuale altissima del suo bilancio, diventi il luogo prediletto, dove mediante una legge regionale (n.31 dell’11/7/1997), il privato irrompe nel Servizio Sanitario Regionale, per essere, paradossalmente, supportato e foraggiato dal pubblico. E, quel che risulta ancora più incredibile, riserva per sé i settori più remunerativi, quali i reparti di alta specializzazione in cardiologia, o le Residenze Socio Assistenziali, lasciando al pubblico la gerenza dei settori meno redditizi, quali i servizi di pronto soccorso e il comparto psichiatrico. In questo assurdo quadro, il pubblico si vedrà tagliare migliaia di posti letto, che passano alle strutture private accreditate.
Ha libero campo, dunque, l’organizzazione dell’intramoenia, ossia l’esercizio della professione privata da parte dei medici dipendenti delle strutture pubbliche, che cresce a dismisura e diventa il modo più semplice per ovviare, pagando, alle liste d’attesa, in vistoso aumento proprio sotto la gestione Formigoni. In nome dell’eccellenza, che della bontà ha poco, o niente, la Lombardia decide, pertanto, di distribuire una consistente parte delle risorse economiche destinate alla sanità, seguendo criteri eminentemente soggettivi, che, guarda un po’, fanno la fortuna di diverse strutture private.
Si aggiunga che la privatizzazione della sanità lombarda, proseguita da Maroni, riuscirà a raggiungere livelli talmente insostenibili che, Attilio Fontana, attuale presidente leghista della Lombardia, dichiarò, appena insediato, che avrebbe apportato qualche cambiamento per rispondere alle esigenze di milioni di persone, costrette a ricorrere alla sanità a pagamento per far fronte alle interminabili liste di attesa. Ma, a quanto pare, ai buoni propositi, proclamati in pompa magna, non ha fatto seguito alcun atto concreto, permettendo alla privatizzazione di procedere spedita e indisturbata.
Ora, dopo questa sufficiente, ma non completa ed esauriente premessa, ci si chiede: chi, a Milano e nell’intera regione, è venuto a mancare nell’emergenza causata dal covid-19, l’apparato sanitario pubblico, o quello privato? E, ancora: si pensa davvero che la Sanità Lombarda sia stata colpita da una sorta di calamità naturale? E se, invece, l’avesse creata?
Forse, data la prolungata inidoneità del governo regionale, non sarebbe sbagliato commissariare la Lombardia. Anche per un fatto meramente filosofico ed estetico, oltre che politico: non c’è peggiore indecenza di quella che ha la pretesa di passare per eccellenza.
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