Enti locali

Il 2020 chiude venti anni di controversie su derivati e probabilità

30 Dicembre 2020

Il 2020 ha fatto anche cose buone, verrebbe da dire: una sentenza sui derivati degli Enti Pubblici. E’ una sentenza emessa dalla Cassazione a Sezioni Riunite, che per i giuristi pare essere il verbo, l’organo che pronuncia l’ultima parola su temi di discussione di questioni di massima “novità e controvertibilità”. E stavolta anche il matematico, passata la naturale paura iniziale del linguaggio giuridico, si sorprende di una lettura commestibile e condivisibile. L’ansia di sentire le stonature tra il ridicolo e l’oltraggioso sui temi del valore e della probabilità, che spesso i tecnici (non i consulenti di parte o di ufficio, bensì quelli che questi temi insegnano nelle aule universitarie)  hanno spesso trovato nelle carte di una sentenza, stavolta non si presenta, e l’argomentazione è fluida e lineare a tal punto che uno si chiede: possibile che ci siano voluti venti anni?

Venti anni di storia dei derivati degli Enti Pubblici che la Sentenza ripercorre e che ci riporta concetti che sono attuali anche oggi, anche se oggi il baricentro della nostra attenzione è attratto dal virus. Sono attuali la crescita del debito e la questione della probabilità e del rischio, almeno per chi si occupa da tecnico degli impatti del virus. La storia infatti comincia con un provvedimento di legge del 2001 (finanziaria del 2002) nella quale si consentiva per la prima volta agli Enti Locali di emettere titoli sul mercato,  “al fine di contenere il costo dell’indebitamento e di monitorare gli andamenti di finanza pubblica”.

Leggere del 2001 venti anni dopo fa uno strano effetto. Da lontano si notano similitudini che allora sarebbero sembrate oltraggiose. Nel dicembre di quell’anno, infatti, in Italia si faceva una legge finanziaria in cui si decideva che il “Ministero dell’economia e delle finanze coordina l’accesso al mercato dei capitali delle province, dei comuni…” e negli altri Enti Locali.  Nello stesso mese, negli Stati Uniti scoppiava il caso Enron, dopo aver scoperto che gran parte del debito di Enron (e molti stipendi da vice-presidente) erano nascosti su partecipate locali. Debito privato che andava in default su un lato dell’Atlantico e debito pubblico che cresceva, accompagnato dagli enti locali, dall’altro.

E poi c’è lo spiraglio in cui sono comparsi i contratti derivati, suggeriti espressamente nella stessa norma. Il punto è che un Ente Locale poteva emettere titoli con rimborso in un’unica soluzione alla scadenza (come i BTP,  quelli che emette lo Stato centrale) solo predisponendo accantonamenti per il rimborso. L’idea è che sindaci e governatori avrebbero l’incentivo di lasciare il peso debito ai propri successori, cosa che invece i capi di stato e i ministri delle finanze non farebbero.  Il condizionale è un modo prezioso. Poiché gli investitori sul mercato sono abituati a prodotti con rimborso del capitale alla fine, la norma del 2001 consentiva l’emissione richiedendo la costituzione “di un fondo di ammortamento del debito, o previa conclusione di swap per l’ammortamento del debito”.  Fu questo spiraglio a aprire la porta ai derivati, proposti dalle banche non solo per realizzare l’ammortamento del debito richiesto dalla legge, ma anche per permettere alle banche di gestire il proprio debito “scommettendo” sull’andamento futuro dei tassi di interesse.

Il primo decennio del secolo vide così la comparsa dei BOC (Buoni Ordinari del Tesoro). Ne ricordiamo alcuni di dimensioni ragguardevoli: il titolo da 1,6 miliardi del Comune di Milano con scadenza 2035 e il Colosseum Bond del Comune di Roma, per 1,4 miliardi e scadenza 2048, formalmente oggi a carico della Gestione Commissariale del Debito del Comune di Roma.  BOCconi amari, a volte, che hanno chiamato in causa più volte l’autorità giudiziaria in tutte le sue forme, proprio per l’uso dei derivati che li accompagnava: giustizia civile, amministrativa e in qualche caso anche penale (ricordiamo i casi più famosi di Milano e Prato).  A questa ondata di litigi giudiziari il potere legislativo ha risposto con progressive restrizioni all’uso dei derivati da parte degli Enti Pubblici, con interventi nel 2003, nel 2008, fino alla proibizione completa nel 2013.

Accanto alla litigiosità giudiziaria quella stagione vide grandi polemiche che hanno coinvolto giuristi, politici, esperti di finanza e matematici, tribù che spesso stentavano a capire i linguaggi delle altre. E il sedimento di questi dibattiti e di queste liti è l’altro concetto che è di grande attualità proprio nelle vicende di oggi. La questione della trasparenza dei rischi e della probabilità. Il concetto di probabilità, e quello di scommessa, ha affiancato la nascita delle teorie di investimento finanziario fino dagli anni 50. Ogni anno accolgo i miei studenti presentando la probabilità come un monte impervio e scivoloso su cui si può salire da diverse vie, tracciate da scalatori di discipline diverse. Ci sono le vie della matematica, quelle seguite da statistici ed econometrici, quelle delle scienze attuariali e della biometria. E poi oggi c’è una nuova strada, quella dei giuristi, che ha il nome di “dottrina dell’alea razionale”. Su questa via la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite ha messo una bandiera di  riconoscimento e garanzia.

Nel tema specifico dei derivati, sebbene questi non possano più essere sottoscritti dagli Enti Locali, la Sentenza ha espresso un principio rivoluzionario, che è valido per chi può ancora sottoscriverli, e che forse ha un valore più generale in ambiti sociali. Accettare la scommessa presente in un derivato richiede che ne sia chiaro il costo e che ne siano chiari i termini di rischio, cioè le probabilità di scenari di successo e insuccesso. Sono gli scenari probabilistici sui quali abbiamo discusso per anni, scrivendo lettere, raccogliendo firme. Oggi questa sentenza riconosce “l’utilità sociale delle scommesse razionali, intese come specie evoluta delle antiche scommesse di pura abilità”.  E’ il riconoscimento della capacità e della responsabilità degli individui di poter prendere i rischi, una volta che di questi rischi siano coscienti. Che sia un principio applicabile anche al di là della finanza, e per rischi più estremi di quelli di un derivato? Vengono in mente le restrizioni di questi giorni, ma questa è una storia più complessa, cui potremo dedicare il dibattito ora che quello sulle “scommesse razionali” in ambito finanziario è concluso.

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