Enti locali

Elezioni. I flussi degli istituti ‘Frecciabianca’ e ‘Regionale Veloce’

25 Giugno 2016

Quando ero ragazzetto, si votava con il proporzionale. A urne chiuse, conteggiate le schede, i segretari di partito sfilavano davanti alle tivvù. Salivano sul ‘trespolo’ e, trionfanti, festeggiavano la vittoria. Tutti. Indistintamente: quelli che avevano vinto davvero e pure gli altri. Perché, ‘sì forse stavolta s’è preso qualcosa in meno ma rispetto alle precedenti politiche-regionali-europee-comunali siamo in ascesa e, via, tutto sommato, siamo soddisfatti’. Altri tempi, quando anche un uno-virgola-qualchecosa poteva essere buona merce di scambio in una ottica di governo pentapartitico.

Oggi il ‘mantra’ post elezioni, è ‘dobbiamo leggere bene i flussi’. Chi vince, li vuole leggere – con malcelata soddisfazione – per poter dire, ‘ci siamo presi i voti anche di quelli là’ . Chi perde li vuole leggere – con malcelata malinconia – per poter dire ‘guardate che quelli là sono ondivaghi e basta un niente perché tornino da noi’. Nell’enfasi da ‘dobbiamo leggere bene i flussi’, a veri protagonisti si ergono gli istituti di ricerca che, quei dati, li analizzano. Il bolognese Istituto Cattaneo, ad esempio, i cui numeri sono attesi da tutti – per completezza e profondità – con trepidazione quasi oracolare.

Soggiogato pure io dall’enfasi dei flussi e seduto su un treno per tre buone orette quotidiane sulla linea Rimini-Bologna, ho appuntato sul taccuino, fra lunedì mattina e mercoledì sera, le riflessioni dei viaggiatori – chiacchieranti tra loro o al telefono a voce altissima – come fossero analisti dei celebri istituti ‘Frecciabianca’ e ‘Regionale Veloce’.
Il primo dato da evidenziare – come direbbero quelli che parlano bene – è che gli elettori-viaggianti manifestano una certa avversione-delusione nei confronti della politica. Molti, tra quelli che discorrono, hanno disertato l’appuntamento con la cabina elettorale perché ‘tanto cambia poco’, ‘perché devono capire che ci hanno stancato’, ‘perché non saranno tutti uguali ma, però…’.
Tra quelli, invece, che a votare sono andati, la scelta è caduta, per i giovani, indiscutibilmente sul Movimento 5 Stelle, per quelli più grandi un po’ sul movimento promosso da Beppe Grillo, un pochino sul Pd e qualcosa sulla Lega Nord.

Trasversale e comune a tutti il giudizio sul presidente del Consiglio. Davvero poco entusiasmante, e ben poco lusinghiero visti i toni dei commenti. ‘Ha voluto personalizzare il voto, adesso si sveglia: al referendum ci sarà da ridere…’, ‘Certo che sei dai del gufo e del rosicone a chi non la pensa come te…’, ‘Ma ve le ricordate le slides con i gufetti….’, ‘Ah di, fai pure gli accordi con Verdini…”.

Parole in libertà, raccolte da un campione e da un bacino ristretti ma che possono far pensare: dopotutto sul treno passa una umanità varia, composita, in cui vengono rappresentate tutte le fasce sociali del Paese. Fatte da persone che non ameranno particolarmente la politica, o quel che è diventata, ma che, come cantava De Gregori, alla fine ‘sanno benissimo cosa fare’. E contano un po’ più delle strategie alla ‘House of Cards’.
Ché tutte quelle macchinazioni raffinate, quei sotterfugi brillanti, non sempre piacciono. Almeno sul treno dove, a sbirciare i laptop accesi, sembra ‘tirare’ un pochetto di più ‘Game of Thrones’.
Origliando i bla-bla-bla da scompartimento e appuntando le parole e le frasi più ricorrenti, sul voto paiono avere influito pure quel ‘ciaone’ improvvido twittato da un renziano la sera del referendum sulle piattaforme petrolifere – piaciuto davvero poco e vissuto come spocchioso -, gli strascichi delle vicende bancarie, di Banca Etruria su tutte, e le uscite del ministro Boschi. È garbato davvero poco, a star a sentire, quel ‘se vince l’Appendino, Torino perde 250 milioni stanziati dal governo per creare il Parco della Salute’ perché, alla fine, sentenziano nello scompartimento ‘son soldi delle nostre tasse non suoi’. E poi, sentenziano ancora, ‘sembra avere il tono della minaccia’.

Cose così, pensieri diretti. Facili da comprendere. E, forse, pure da ascoltare. Anche per un politico che su un treno – senza alcuna patente di infallibilità – potrebbe imparare tante cose del proprio Paese. Non è stato forse lo stesso premier a dire che la realtà è fuori dai talk-show, dalla Rete, dai social media? Via, una bella tratta ferroviaria, una mattina ogni tanto, e non è detto che dagli istituti ‘Frecciabianca’ e ‘Regionale Veloce’ qualche buona dritta non arrivi.

Intanto distillo le ultime gocce dal taccuino: c’è annotata diverse volte, la frasetta ‘Enrico stai sereno’. Stagionata, ormai, e divenuta, nell’immaginario collettivo, cifra del comportamento e dell’agire di Renzi. Che, forse, serenissimo non sta.

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