Enti locali

Ciò che Salvini non ha capito del debito di Roma: e noi paghiamo

24 Aprile 2019

Il piano di ristrutturazione del debito di Roma Capitale è stato fatto da tecnici, ed io sono stato uno di loro. Ho ancora nel mio computer i numeri, e i conti. Anche dopo che il mio incarico era scaduto, prima di salire su a Londra per un periodo di studio, ho accettato volentieri di partecipare a un’ultima riunione: una gita a Roma a spese mie, solo per vedere gli sviluppi del progetto, per assicurarmi che il lavoro svolto fosse servito, e che si intravedesse la soluzione. E rifiutando la cortese offerta di ulteriore collaborazione. Perché a noi tecnici piace sapere che il lavoro sia fatto a regola d’arte e che a regola d’arte venga proseguito. Noi non siamo stati eletti da nessuno, siamo gente che lavora. Il mio rimanere informato e a disposizione ha la stessa motivazione che spingeva mia madre a informarsi se i capi da sfilata che produceva avevano avuto successo o no. Anche lei era una tecnica, non l’aveva eletta nessuno.

Per questo  quando un politico passa per sbadataggine con la ruspa su se stesso, e questo non sarebbe grave, ma anche sul resto della comunità senza conoscere minimamente quello su cui sta passando, anche un tecnico, nel suo piccolo, si incazza. E si incazza anche con chi il ruspante ha provocato, attribuendo alla politica i meriti di un lavoro di tecnici. Per questo, dopo i bacioni di rito, cerco qui di spiegare a tutti i non politici, che poi è la gente che lavora e paga le tasse, insomma sono i tecnici, cosa è davvero quello che viene definito “Salva Roma”, e la particolarità del tafazzismo della politica: la flagellazione delle parti basse è esattamente la stessa, ma i testicoli sono di tutti.

Non vi tedio con la storia del debito di Roma, voi siete tecnici di altri mestieri, e tedierebbe me se voi vi dilungaste sul vostro. Vi illustro solo il problema su cui abbiamo lavorato per due anni. Il debito di Roma viene pagato con 500 milioni l’anno, 300 su tutti i cittadini di Italia, e 200 messi dai romani. L’ultima scadenza del debito di Roma è nel 2048. I 500 milioni fino al 2048 sono più che sufficienti a pagare il debito e gli interessi. Il problema però è che i pagamenti sono disposti male, sono concentrati nei primi anni in misura superiore ai 500 milioni.  Per questo la gestione commissariale al momento attuale rischia di trovarsi in crisi di liquidità (senza soldi in cassa) nel 2022.

La prima gestione commissariale aveva pensato di risolvere il problema facendosi anticipare i 500 milioni futuri per spostare in avanti la crisi di liquidità. Il problema di questa strategia era che l’anticipo dei 500 milioni futuri costava a sua volta interessi e rimborsi e di fatto aumentava il debito. Per questo, a proposito, la Gestione Commissariale di Roma non ha più a disposizione 500 milioni, ma la somma è ridotta a circa 320 l’anno fino al 2040. Si chiama “schema Ponzi”: emetti debito per pagare gli interessi, e il debito rischia di esplodere.

Cosa è stato fatto dalle gestioni commissariali successive?  Abbiamo documentato che l’ulteriore utilizzo di questi prestiti sui 500 milioni futuri avrebbe solo spostato in avanti la crisi di liquidità e alla fine avrebbe anche portato a far sì che i 500 milioni futuri non fossero più sufficienti. E abbiamo quindi stabilito un principio: cambiare i flussi di pagamenti a parità di valore. La prima rinegoziazione è stata già fatta,.

Ed eccoci al “Salva Roma”. Un terzo del debito di Roma è costituito da un “boccone”. E’ un grosso titolo BOC (Buono Ordinario Comunale) per un capitale di 1.4 miliardi (circa un terzo del capitale di debito di Roma, se non si contano gli interessi). Il “boccone” amaro costa 75 milioni l’anno di interessi, ed è uno dei massimi responsabili della futura crisi di liquidità. Il trasferimento di questi pagamenti al Tesoro, che era l’argomento principale dell’intervento legislativo, era ancora a parità di costo, e quindi non rappresentava alcuna forma di salvataggio o aggravio ulteriore per noi che paghiamo le tasse.

Infine, il passaggio risolveva un problema tecnico. Sebbene la Gestione Commissariale, creata dal partito con cui probabilmente Salvini tornerà a governare, e con cui già governa le Regioni, risponda alla Presidenza del Consiglio, e quindi rappresenti la garanzia pubblica (quello fu il vero “Salva Roma” di Berlusconi), il titolo non è considerato dalla Banca Centrale un titolo assimilato ai titoli di stato. Una cosa che paga lo stato, ma che non è dello stato: un unicum in Europa costruito dai nostri governanti passati (e futuri). Il fatto che questo titolo di stato di fatto ma comunale di diritto tornasse allo stato, senza alcun costo ulteriore per la collettività aveva il fine di: i) agevolare altre iniziative di ristrutturazione del debito con le banche; ii) risolvere il problema di liquidità futuro; iii) lasciare aperta l’opportunità che una parte dei 500 milioni che paghiamo ogni anno ci venisse risparmiata.

Su tutto questo è intervenuta la ruspa in pieno ciclo elettorale. La crisi di liquidità del 22 (quello prossimo) è ancora lì che aspetta. In un paese a rovescio, in cui i tecnici perdono tempo a lavorare per il bene pubblico, o per riparare il terreno devastato dalle ruspe, e in cui i politici, invece di rispettare il bene pubblico (che è chiedere ancora meno che di farlo), scorrazzano baldanzosi su nuove ruspe. E questo politico in particolare sappia che non è venuto in mente a nessun tecnico di spalmare il debito di Roma in ottanta anni, con l’argomentazione geniale che tanto era stato fatto da altri.

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