Enti locali
Debito e derivati regionali: il Tesoro chiama le banche in conflitto d’interesse
Negli ultimi 15 anni le banche d’investimento hanno fatto lucrosi affari vendendo derivati speculativi a regioni, province e comuni. Caso vuole che oggi quattro di quelle stesse banche, e nello specifico Barclays, Bnp Paribas, Citi, Deutsche Bank, vengano prescelte dal Tesoro come intermediari nella ristrutturazione del debito delle regioni mentre queste ultime, contestualmente, saranno obbligate a procedere alla chiusura anticipata dei relativi derivati stipulati con le banche medesime. Che saranno dunque mandatari delle regioni su un tavolo (quello del riacquisto dei titoli sul mercato) e controparti negoziali sull’altro (la chiusura dei derivati).
Un decreto ministeriale del Tesoro, datato 10 luglio, ha determinato i debiti ammessi alla ristrutturazione: fra vecchi mutui accessi con il Tesoro e la Cdp, bond e relativi derivati, l’operazione ha un controvalore nominale complessivo di oltre 16 miliardi di euro. Circa 7,6 miliardi sono rappresentati da obbligazioni collocate sul mercato e a suo tempo emesse dalle regioni Abruzzo, Campania, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia e Sicilia. L’obiettivo dichiarato dell’intera operazione è di allungare le scadenze e abbassare la spesa per interesse, sostituendo i vecchi debiti (mutui e bond) con nuovi mutui trentennali emessi dal Tesoro con un tasso pari a quello del Btp di pari scadenza.
I derivati sono contratti il cui valore dipende dai prezzi di altre attività, quali azioni, indici finanziari, valute, tassi di interesse, materie prime (il cosiddetto “sottostante”). Quelli venduti agli enti locali dalla seconda metà degli anni ’90 sono varianti più o meno sofisticate della tipologia “interest rate swap”, che comporta lo scambio di flussi di cassa fra due soggetti. Uno paga un tasso fisso alla controparte, e questa il tasso variabile, entrambi applicati a un importo di riferimento detto “nozionale”. In sé lo swap è uno strumento utile che permette a un soggetto indebitato di predeterminare il costo del debito e neutralizzare il rischio di una variazione sfavorevole dei tassi di interesse. Nella realtà degli enti locali, però, i derivati sono stati utilizzati per ottenere facili anticipazioni di cassa, senza capirne le implicazioni finanziarie di medio-lungo termine.
L’obiettivo dichiarato dell’intera operazione è di allungare le scadenze e abbassare la spesa per interessi, liberando risorse per le regionie e sostituendo i vecchi debiti (mutui e bond) con nuovi mutui trentennali concessi dal Tesoro con un tasso pari a quello del Btp di pari scadenza. La rata annua complessiva pagata dalla regioni sui mutui esistenti si ridurrebbe di circa 185 milioni. L’eventuale valore positivo incassato con la chiusura dei derivati andrà portato in deduzione del debito da ristrutturare, mentre in caso di valore negativo la somma spesa per la chiusura sommata al prezzo di riacquisto dei titoli dovrà essere inferiore al nominale, così da non determinare un aumento del debito pubblico.
Gli intermediari sono stati individuati fra le banche specialiste in titoli di Stato, così come prevede una disposizione contenuta nel decreto competitività del 24 aprile 2014. Purtroppo, senza adeguato riguardo ai conflitti di interesse che si potrebbero osservare considerando globalmente i rapporti fra banche e regioni. Vero è, come fanno notare fonti vicine al Tesoro, che le banche in questa vicenda intervengono solo per coordinare l’operazione di riacquisto dei titoli sul mercato (il cosiddetto buy back). Né Bnp Paribas e la sua controllata Bnl sono controparti della Campania nelle operazioni interessate dalla ristrutturazione. Lo stesso dicasi di Barclays sui derivati collegati ai bond del Lazio che saranno oggetto di buy back. Ma se si allarga lo sguardo si vedrà, per esempio, che Deutsche Bank è stata controparte su altri contratti derivati sottoscritti da Molise, Lazio e Campania, che Bnp/Bnl è stata attiva con Sicilia e la Campania e Citi con il Lazio. Tutte e quattro, in compagnia di altre sette banche, sono state oggetto richieste di risarcimento proprio sui derivati dalla Regione Lazio, anche se Citi ha già raggiunto un accordo extragiudiziale. Insomma, l’assenza di conflitto sul singolo contratto interessato dalla ristrutturazione non implica l’assenza di conflitti tout court.
Sul fronte della scelta dei consulenti legali, le regioni sono andante vicine a un pasticciaccio. In un primo momento come consulente legale per il buy back era stato scelto lo studio Freshfields, noto in tutta la penisola per essere stato al fianco delle banche nei contenziosi sui derivati contro gli enti locali. Ma dopo un po’ di tentennamenti lo studio legale americano ha deciso di declinare il mandato, così sono subentrati i legali di Linklaters , mentre sulla chiusura dei derivati dovrebbero essere individuati altri consulenti legali.
Resta peraltro il nodo delle competenze tecniche necessarie per potersi sedere preparati a un tavolo negoziale su derivati. L’articolo 45 del citato decreto competività affida alle regioni la competenza sulla valutazione dei derivati, che però la effettuano «sotto la supervisione» del Tesoro, e in particolare della direzione del debito pubblico guidata da Maria Cannata. Tuttavia la decisione finale, sia sul riacquisto dei titoli sia sulla chiusura anticipata degli eventuali derivati, sarà assunta in autonomia delle regioni avvalendosi di consulenti. A sorpresa in questa operazione sono spuntate le finanzarie regionali nel ruolo di valutatori finanziari dei derivati come Finlombarda, che fornirà la propria assistenza nella valutazione dei derivati non solo alla controllante Regione Lombardia ma anche alle altre regioni, con l’eccezione del Lazio che si avvarrà di Sviluppo Lazio. E non si capisce quali competenze tecniche ed esperienza possano vantare le due finanziarie regionali in una materia così complessa come i derivati.
A fine 2013 i derivati stipulati da tutte le 20 regioni italiane avevano un valore di mercato negativo per 472 milioni di euro, secondo stime della Banca d’Italia. Significa che quella è la cifra che, in quel momento, avrebbero dovuto versare alle controparti italiane per chiudere i contratti. Il dato però riguarda solo le controparti bancarie italiane, mentre quelle estere non sono contabilizzate nella Centrale rischi di Banca d’Italia, mentre le principali esposizioni in derivati sono verso banche estere. Le perdite sono concentrate in una decina di regioni, essendo Abruzzo, Piemonte, Lombardia, Lazio, Puglia, Campania e Sicilia quelle maggior esposizione negativa. A luglio, invece, la Regione Liguria aveva chiuso i contratti in essere con Nomura, che avevano come sottostante un prestito obbligazionario da 420 milioni, incassando 191,2 milioni, mentre la Sicilia ha già effettuato la ristrutturazione di un mutuo da 2,4 miliardi.
Devi fare login per commentare
Login