Enti locali
Appunti di un’elezione abruzzese
Le elezioni abruzzesi non sono andate come sperava il centrosinistra solo perché la millimetrica vittoria sarda aveva infuso troppo ottimismo. Queste elezioni hanno rappresentato un bagno di realismo che però non stravolge quanto emerso nell’isola. Aiutano proprio a chiarire meglio alcuni elementi ed evidenziare la grande differenza tra le regioni del centro e quelle del sud.
La dorsale appenninica
I risultati abruzzesi ci raccontano di un territorio contendibile lungo la costa e nelle città capoluogo. Eccetto alcuni paesi in cui fatica a emergere, come Montesilvano, la sinistra ha giocato alla pari con la destra nella parte più dinamica dell’Abruzzo. Al contrario, la provincia de L’Aquila è saldamente nelle mani della destra di governo.
Non è sempre stato così. Un tempo, L’Aquila aveva una certa tradizione di sinistra. Al momento del terremoto del 2009, Massimo Cialente guidava la città e Stefania Pezzopane la provincia, entrambi esponenti del PD. Poi, qualcosa si è rotto, mentre in città profondamente democristiane come Pescara e Chieti la sinistra si è andata affermando.
Un vento di destra spira su tutta la dorsale appenninica, colpita ripetutamente dai terremoti sin dal 1997. Città tradizionalmente comuniste come Terni o con un passato di centrosinistra come Macerata sono oggi governate dalla destra. Sembra che questa dorsale sia vittima di una sindrome dell’abbandono e si rivolta votando la destra, talvolta quella più brutale, con il volto di Stefano Bandecchi.
In questo senso, lo slogan razzista e populista “gli immigrati negli hotel e i terremotati nelle tende” può essere inteso come un grido di dolore di queste popolazioni, che oggi si traduce come una fuga dalla sinistra. Non era certo opportuno assecondare quello slogan, ma, si poteva fare di più per smentirlo, con una continua attenzione da parte dei governi a quelle aree, che è chiaramente mancata.
Il ruolo del M5S
Quelle aree erano un tempo centrali perché produttive, industrializzate e vicine alla capitale. Oltre ai terremoti, la crisi economica di Roma sembra averle travolte moltiplicando il senso dell’abbandono da parte delle istituzioni.
Al contrario, le aree interne della Sardegna sono ancora politicamente contendibili. Nella seconda repubblica queste aree depresse non hanno mai interessato la politica. L’unico partito che ha provato a rappresentarle, seppur con mille contraddizioni, è stato il M5S. Nel profondo sud, il M5S può oggi determinare la vittoria della sinistra, perché il reddito di cittadinanza e altre politiche populiste hanno rimesso al centro aree dimenticate dalla seconda repubblica.
Inoltre, il voto abruzzese attesta come il PD si rafforzi tramite l’alleanza con il M5S. Chiaramente, gli elettori PD vedono di buon occhio il compromesso con una forza che considerano di sinistra per tentare di strappare una regione alla destra.
Ma, se il campo largo vuole rivincere un’elezione, deve anche trovare il coraggio di candidare politici. I rettori sono ottimi candidati per le sconfitte onorevoli, perché appaiono benevoli e non attirano troppe attenzioni durante la campagna elettorale, visto che non hanno scheletri nell’armadio. Se, invece, si tratta di vincere, non sanno affrontare lo scontro diretto con l’avversario.
Qualche mese fa, Luciano D’Amico era quindi un buon candidato, quando la sinistra pensava che la destra facesse man bassa di Abruzzo e Sardegna. Non lo è stato più, quando si è capito che c’erano delle possibilità di vittoria e la destra ha iniziato a percorrere palmo a palmo l’Abruzzo con tutti i suoi leader.
Basilicata
Le prossime elezioni si terranno in Basilicata, una piccola regione. Sarebbe comunque importante per la sinistra strappare alla destra una regione amministrata a lungo dal PD e che soffre il progressivo allontanamento dall’Italia da parte della società Stellantis, che qui controlla uno dei suoi più importanti stabilimenti.
Per contenderla, PD e M5 devono allearsi proponendo un candidato politicamente forte. In questo caso, il candidato esiste e deve solo decidersi a scendere in campo. Chi meglio di Roberto Speranza, ministro della salute durante la pandemia, potrebbe sancire l’unione tra i giallorossi?
Sfortunatamente, Speranza vorrebbe continuare a lavorare in maniera defilata, muovendo le sue pedine, e mostrandosi solo quando c’è da ricoprire ruoli di prestigio che non danno eccessive responsabilità. Questo è il suo modo di concepire la politica, sin dai tempi della Sinistra Giovanile.
Ormai dovrebbe essere adulto e comprendere che è un privilegio provare a guidare la propria regione, invertendo la narrazione giornalistica che dipinge una destra non arginabile.
Foto dal profilo Facebook di Marco Marsilio
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