Enti locali
Amministrative 2016: uno spunto contro il rischio di semplificazione
Quando a scuola un compito in classe andava male la scusa “Nessuno ha preso più di 6 e mezzo” a casa mia non funzionava. Non funzionava nemmeno, di fronte a una nota, il caro vecchio “Ma è stata colpa di X, che mi disturbava…”. Penso che i partiti (e in particolare il PD) farebbero bene a tenere a mente questa “buona pratica”: se le cose vanno male c’è una buona probabilità che sia colpa tua. Se poi non fosse colpa tua, migliorarsi non fa comunque mai male.
Fatta questa premessa squisitamente autobiografica, mi concedo qualche considerazione a caldo su questo primo turno. Tutte le maggiori città vanno al ballottaggio, affluenza in calo ovunque: primo dato. Meno gente è andata a votare e certo non è stata solo colpa del lungo weekend di ponte. Il clima di disaffezione al voto è consolidato, così come consolidata è la convinzione che “tanto le cose non cambieranno” e che “in fondo son tutti uguali”. A fronte di ciò, non più di qualche settimana fa, qualcuno si appellava al non voto e al diritto di diserzione delle urne come messaggio politico. Messaggio ricevuto verrebbe da dire ora, se l’approccio fosse responsabile. Fra un voto non convinto e un non voto in molti hanno optato per il non voto. Perché se votare è importante, l’assenza di una proposta che rappresenti, non solo da un punto di vista programmatico, ma anche identitario è un problema sul quale ci si deve interrogare.
Non stupisce quindi che a Milano i punti di distacco fra i due principali candidati siano così scarsi. La maggioranza delle persone non ha colto grandi differenze. Un centro sinistra attestato più sul centro e un centro destra attestato più sul centro fanno un grande centro nel quale la preferenza degli elettori si gioca sul simbolo di partito o, semmai, sulle candidature di lista. Certo per l’elettore diligente esistevano le differenze di programma, ma – ancora una volta – non attribuiamo alla cattiva condotta del votante disattento questo appiattimento di prospettive: la distanza non era evidente. L’elettorato ha semplicemente riportato un dato insito nella proposta.
Stupisce ancor meno il dato di Roma. La stanchezza della città era palpabile, le vicende legate alle dimissioni di Marino – rapportate poi alle reazioni del partito di maggioranza – avevano creato un clima nel quale, anche una buona candidatura, avrebbe fatto fatica. E così è stato. Non poteva bastare una campagna “diversa”, come quella condotta da Giachetti, soprattutto a fronte di quella che, da molti, è stata percepita come una proposta nuova, pulita e onesta. Ancora una volta non si è trattato di programmi, perché – comunque la si veda – quello della Raggi risulta quantomeno approssimativo rispetto agli altri candidati, ma di un senso identitario, che la “militanza” grillina ha saputo muovere. Senso di appartenenza e militanza che il PD non riesce più creare da un pezzo, mentre, se si guarda al dato di Napoli, non tutto è fermo nel panorama della sinistra. Importante notare i dati delle liste civiche in supporto dei candidati: se i grillini rappresentano la risposta alla crisi dei partiti tradizionali a livello nazionale, il civismo è il collante – trasversale – di molte realtà locali.
Il buon vento amministrativo, bisogna dirlo, fa ancora molto, soprattutto al di fuori delle grandi città, dove il voto per il sindaco va via via trasformandosi sempre di più in un voto politico. Il dato di Cagliari lo registra ma, a differenza di quanto, ad esempio, è avvenuto a Bologna con Merola, Zedda ha raccolto intorno alla sua candidatura il sostegno dei partiti della sinistra, ancora fortemente strutturati Sel (7,66), Rifondazione, Partito comunista… A Bologna le cose sono andate diversamente: fuori dalla coalizione di Merola la lista dei Verdi e Pcl, ma senza alte attestazioni di voto. I due dati parlano se affiancati: dove la sinistra tiene e dove il centro sinistra riesce a trovare la quadra per una coalizione ampia su quel versante si crea un clima favorevole.
Altro dato interessante: l’alto gradimento delle candidature femminili. “Alla faccia” di chi da tempo sostiene che la “gente” non è propensa a votare un candidato sindaco donna, due volti femminili, come quello della Raggi e dell’Appendino a Torino si sono affermati all’insegna del rinnovamento della “faccia pulita”. Forse anche su questo i partiti, ancora fermi alle famose quote rosa, dovrebbero fare una (non piccola) riflessione.
Ultimo, ma non ultimo, il discorso preferenze, spesso sottovalutate nei grandi “piani” elettorali.
Ecco, sarebbe buona norma non farlo mai. Perché spesso sono le preferenze che dirimono le questioni sul piano amministrativo, le relazioni, i rapporti viso a viso fra candidato ed elettore. Attenzione, perché se non correttamente considerati, questi voti non sono patrimonio garantito e acquisito per i ballottaggi. Giusta la preoccupazione per le alleanze e gli apparentamenti, giusta la preoccupazione per la comunicazione e il tour de force di piazza dei quindici giorni di fuoco, ma tenete un po’ di spazio anche per la ri-motivazione dei vostri candidati.
Nonostante tutto…parliamo sempre di amministrative.
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