Autorità indipendenti

Senza un concorso pulito l’Agenzia delle Entrate morirà (già ora è agonizzante)

11 Luglio 2015

La battaglia intorno all’Agenzia delle Entrate è il perfetto paradigma italiano. Tutto nasce da una sentenza della Consulta, la 37/2015, che ha stoppato gli incarichi dirigenziali dei funzionari senza concorso. Questione basica ma radicale, il centro della democrazia in qualunque organizzazione sociale. Conseguenza della sentenza è che 800 dirigenti in posizione apicale non hanno più potuto svolgere le stesse mansioni, per cui molte amministrazioni sono monche di una guida, di un indirizzo e quando è capitato di forzare la mano, attraverso deleghe di firma per alcuni dirigenti “decapitati”, è intervenuta la Commissione Tributaria della Lombardia cassando gli atti sottoscritti da un funzionario revocato e allertando Corte dei Conti e Procura. Insomma un vero e proprio pasticcio. Per ovviare il quale si cerca di tamponare con la buona volontà dei sottoposti, che anche in tempi moderni è certamente una buona attitudine ma che non ha alcuna parentela con il livello minimo di un Paese civile. Lo snodo principale sarà un grande concorso, un Concorsone, i cui vincitori saranno conosciuti entra fine anno 2016. Ma fino a quel momento, chi governerà la baracca (o il baraccone)?

Molti anni fa, in una piccola azienda di cerniere lampo del centro Italia accadde un fatto meraviglioso. Costretto alle corde da una serie di scioperi durissimi, il titolare dell’azienda prese una decisione a dir poco rivoluzionaria (per l’epoca ma lo sarebbe anche oggi). Chiamò la Ykk, straordinaria azienda Japan di cerniere lampo e chiese una «Squadra di salvataggio», un drappello di persone di vario livello aziendale in grado non solo di portare avanti il lavoro che si era fermato, ma anche di dare nuovo fermento all’azienda. Il miracolo accadde, gli uomini dell’Ykk rivoltarono l’azienda come un calzino – ritmo e produttività schizzarono – dopo di che, fatto il lavoro, e dimostrato quello che c’era da dimostrare, tornarono serenamente un patria. Ecco, la nostra modesta proposta sarebbe esattamente questa, sino alla fine del 2016, quando avremo i migliori scelti per concorso, perchè non farci prestare ottimi dirigenti dai Paesi più attrezzati, del resto siamo o non siamo nell’Europa degli scambi?

In attesa che questo sogno si avveri, rimaniamo in pieno casino. Per restare al concorso che dovrebbe restituire solidità all’impianto interno delle Agenzie fiscali, si stanno scontrando pesantemente due correnti di pensiero, che in questi giorni si sono date battaglia dalle colonne del Sole24Ore. Da una parte – purissima conservazione – si dice: beh, però sia chiaro, in questo concorso devono avere un peso, un valore, un qualcosa insomma che faccia punteggio, i titoli già acquisiti e le esperienze già acquisite. In soldoni (“Capisci a me”, direbbe il contadino Di Pietro): quegli ottocento ex dirigenti, oggi funzionari, si ripresentano al concorso e grazie a questo meccanismo si «ripappano» i posti disponibili.

Abbiamo una certa esperienza di concorsi in Italia. Ci siamo stancati da tempo dei concorsi che calzano a pennello come un vestito di sartoria, non parliamo poi dei concorsi truccati, che meriterebbero semplicemente il gabbio. Qui siamo in presenza di uno dei concorsi più delicati della storia italiana, un concorso che dovrebbe rimodellare tecnicamente, ma anche culturalmente, il nuovo modo di intendere il rapporto con il cittadino. E ci si viene a dire che i funzionari si portano appresso i loro titoli acquisiti? Si parte pari, ragazzi, e vince chi è più bravo. E se saranno più bravi loro, giù il cappello agli ottocento dell’Agenzia delle Entrate, saremo orgogliosi della loro competenza.

Strano che a mantenere alto il vessillo della conservazione siano persone che invece dovrebbero avere il polso di questa Italia, della nostra storia, di ciò che è attualmente la società italiana. Come Stefano Simontacchi, avvocato esperto di diritto tributario, il quale sul Sole24Ore descrive mondi che non appartengono alla realtà. Ci racconta che le colpe di una situazione ingovernabile sono nostre o anche nostre, bontà sua, di noi cittadini: «Il contesto deteriorato in cui si è sviluppata la materia fiscale nel nostro Paese- scrive Simontacchi – è da attribuirsi a un concorso di colpa: dei cittadini e delle imprese – per il basso livello di adempimento – dei governi – per la sistematica assenza di un disegno strategico di ampio respiro e dell’Amministrazione finanziaria (di cui l’Agenzia delle Entrate è parte) per un approccio talvolta “aggressivo” e poco collaborativo». Talvolta aggressivo e poco collaborativo? Ma Simontacchi scenda dal pero, dove ha vissuto tutti questi anni, sicuramente ha fatto esperienza all’estero, dev’essere rientrato da poco, si è fatto raccontare quattro cose dagli amici e ce le piazza così, senza fare un plisset, sul giornale più autorevole?

Dall’altra parte c’è un uomo solo al governo, nel senso che è generalmente minoritario nelle sue battaglie, il sottosegretario Zanetti. È per un concorso pienamente trasparente, senza uso di titoli, dove ci si presenta a mani nude e vince chi è più preparato. Ovvio che il concorso dovrà essere necessariamente ad altissimo livello, il meglio che si possa immaginare, roba che potrebbero invidiarci all’estero. Roba così insomma. Scrive Zanetti sul Sole: «I processi di selezione di chi dirige quegli accessi, verifiche e ispezioni, devono essere cristallini e impersonali, non opachi e rimessi alla discrezionalità delle dirigenze apicali di turno».

Naturalmente Zanetti perderà. Noi seguiremo la cosa.

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