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Obbligazioni subordinate, così la Consob ha lasciato mano libera ai banchieri
Dopo l’ultimo disastro sul risparmio, che ha colpito i clienti di Banca Marche, Etruria, Cariferrara e Carichieti, puntuale arriva la richiesta di nuove e più severe gride. Il rischio è che ancora una volta si fornisca un alibi all’inerzia di chi doveva vigilare, e non l’ha fatto. Per lo meno non con la diligenza che è legittimo aspettarsi in una Repubblica che ha posto la tutela del risparmio nella sua Costituzione.
Era il 2001 quando oltre 400mila italiani persero ingenti somme a causa del crac dell’Argentina: li avevano riempiti di obbligazioni emesse dal governo di Buenos Aires. Seguirono i casi Cirio, Parmalat e altri minori, fra i quali i prodotti “My Way” di Mps. E ora siamo di nuovo punto e daccapo.
A ogni scandalo la normativa sul collocamento dei prodotti finanziari viene “migliorata”, ma la sua applicazione crea puntualmente delle voragini nel risparmio nazionale. Con la direttiva europea Mifid, si disse che sarebbe cambiato tutto. È solo aumentata la quantità di moduli da firmare.
Di fatto, la profilazione del cliente richiesta per verificare l’adeguatezza dei prodotti finanziari, è stata ridotta a un momento burocratico fine a se stesso. Le banche hanno continuato a piazzare a tappeto prodotti inadeguati rispetto ai bisogni del risparmiatore (“mis-selling”, vendita sbagliata) o remunerati in modo scorretto rispetto al rischio che incorporano (“mis-pricing”, errata valutazione del prezzo). L’assenza di un’informativa trasparente e comprensibile e di controlli efficaci completa il quadro.
L’annunciata commissione parlamentare d’inchiesta, sollecitata dalle opposizioni e poi avallata pure dal governo, punterà a chiarire quanto accaduto. Ma si sa, a saper maneggiare le gride sul risparmio nessuno è reo. E nessuno è innocente, aggiungono solerti i realisti più del re, per cui la colpa sarebbe di chi è stato così “incauto” da fare credito all’istituto di credito. La Banca d’Italia di Ignazio Visco, che vigila sulla sana e prudente gestione delle banche in questione, e la Consob presieduta da Giuseppe Vegas, che controlla la correttezza dei comportamenti degli intermediari, hanno già messo le mani avanti. Abbiamo fatto quel che potevamo fare, dice Visco. I risparmiatori sono stati informati dei rischi, dice Vegas, che sente di avere la coscienza a posto perché nei prospetti è stata inserita una frase sull’eventualità di perdite in caso di liquidazione o di procedure fallimentari.
Ma qualche dubbio forte comincia a serpeggiare. Dopo il commissario Ue ai servizi finanziari Jonathan Hill, che ha parlato di vendita inadeguata, anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan di fronte alla Commissione Bilancio della Camera, non esclude più che «le quattro banche abbiano venduto obbligazioni subordinate a persone che presentavano un profilo di rischio incompatibile con la natura di questi titoli di investimento, ma questo è quanto andrebbe accertato con l’analisi di ogni singola posizione». Ma di questo si occuperanno tribunali e procure, o un organismo arbitrale ad hoc.
L’analisi delle politiche “macro” del regolatore merita invece una riflessione proprio in vista dell’inchiesta parlamentare: è un caso che le scelte del regolatore siano sempre andate in direzione di una minore trasparenza verso l’investitore, e di una facilitazione delle esigenze dell’industria finanziaria, oppure è frutto di una scelta deliberata?
Prendiamo il caso dei prodotti finanziari illiquidi. Il 2 marzo 2009, quando ancora alla presidenza c’era Lamberto Cardia, la Consob approvò una Comunicazione in cui fissava delle regole di condotta che il distributore «deve seguire in sede di trattazione di prodotti finanziari illiquidi». Tra questi rientrano certamente le obbligazioni vendute dalle banche alle clientela. «In particolare – si legge – per illustrare il profilo di rischio di strutture complesse, è utile che l’intermediario produca al cliente anche le risultanze di analisi di scenario di rendimenti da condursi mediante simulazioni effettuate secondo metodologie oggettive (ossia rispettose del principio di neutralità al rischio)». Questa metodologia di uso internazionale, conosciuta come «scenari probabilistici di rendimento», applicata al famoso convertendo emesso nel 2009 dalla Banca popolare di Milano, aveva messo nero su bianco che al momento del collocamento il titolo aveva una probabilità del 68,4% di ottenere (in media) la restituzione di 59,6 euro per ogni 100 investiti.
Nel caso delle obbligazioni subordinate 2013/2018 di CariChieti (ISIN IT0004923659), gli scenari probabilistici avrebbero segnalato in ipotesi il rischio di perdere quasi il 50% del capitale con una probabilità del 37 per cento. Leggendo invece l’ipotetico prospetto dell’emissione subordinata di Banca Etruria 2013-2023 (ISIN IT0004966856), l’investitore avrebbe saputo in quel momento che aveva il 62,73% di probabilità di ottenere in media la restituzione di 47,85 euro per ogni 100 euro investiti (-7,11% all’anno); il 36% di portare a casa 157,66 euro (con un rendimento del 4,66% l’anno); e solo l’1,24% di avere un rendimento del 5,49% l’anno (valore medio 170,72). Grado di rischio: molto alto.
Abbiamo scritto ipotetico per due ragioni. La prima è che la Consob il 5 agosto 2009 – Vegas non era ancora presidente – decise che le obbligazioni subordinate sarebbero state esonerate dall’applicazione degli scenari probabilistici. Come? Validando l’interpretazione della Comunicazione del 2 marzo 2009 proposta dall’Abi, la lobby delle banche. La seconda ragione è che dal 2011, appena divenuto presidente, Vegas intraprende una politica tutta favorevole all’industria finanziaria e agli emittenti: la parola d’ordine è semplificare, alleggerire. Andando ben al di là di un orientamento emerso in sede europea, che però di fatto lasciava libere le autorità nazionali di seguire l’approccio ritenuto più consono alla tutela dell’investitore, Vegas fa piazza pulita di tutto e fa contenta l’industria finanziaria: via gli scenari probabilistici, via l’indicazione del rendimento medio atteso per l’investimento e della relativa probabilità.
Nel frattempo, partiva la grande corsa alla vendita delle obbligazioni subordinate da parte delle banche, che dopo essere state cullate a lungo dalla stessa Banca d’Italia nell’illusione di vivere nel sistema bancario più solido d’Europa, scoprivano l’urgenza di ricapitalizzarsi. Una comunicazione della Commissione Ue entrata in vigore ad agosto 2013 pone dei paletti sugli interventi di salvataggio delle banche, imponendo che, prima di mettere mano alle casse pubbliche (inclusi i fondi interbancari di garanzia, se soggetti a controllo pubblico), bisognerà intaccare patrimonio e obbligazioni subordinate. Non solo.
L’Autorità bancaria europea fa pure sapere che molte delle obbligazioni subordinate già emesse non possono essere più conteggiate nel patrimonio a meno di sostituirle con altre che prevedono esplicitamente clausole esplicite di “bail in” e opzioni di rimborso anticipato non inferiore a 5 anni. Il risultato è che emettere subordinati sarà più complesso e molto più caro. Il tema è scottante e viene affrontato a più riprese in sede Abi. Si temono «limitazioni della platea dei possibili sottoscrittori: in particolare secondo le norme del MIFID, se venisse confermata la maggiore rischiosità delle obbligazioni soggette a bail-in, queste potrebbero non risultare più adeguate per alcuni clienti retail, che in Italia rappresentano i maggiori sottoscrittori di titoli». Ovviamente, la questione interessa anche Bankitalia che vuole “sistemare” il proprio orticello, le banche, prima che emergano problemi.
La soluzione trovata mette Abi, Bankitalia e Consob d’accordo. Vegas e i suoi uffici non battono ciglio e lasciano campo libero al collocamento massivo presso le famiglie di obbligazioni subordinate, funzionali a irrobustire il patrimonio delle banche a poco prezzo. Lo fanno Banca Etruria e le altre tre fallite, ma anche le grandi banche. Ovviamente, il rischio è maggiore per gli istituti con livelli di patrimonializzazione già deboli. Ai sottoscrittori retail viene così messa sotto il naso l’esca di un rendimento poco più alto rispetto alle obbligazioni ordinarie (cosiddette senior) ma meno di quanto richiederebbe una corretta remunerazione del rischio assunto. E ancora meno di quanto sarebbe costato, anche in termini di potere, un vero e proprio aumento di capitale. Il 4-5% pagato dalle quattro banche salvate sui prestiti subordinati non poteva certo remunerare il rischio assunto dai risparmiatori, né sarebbe stato proponibile nel mare aperto del mercato, dove gli investitori professionali sono in grado di valutare i rischi e la loro adeguata remunerazione. Questo, però, i risparmiatori non potevano saperlo. Gran parte di loro non sapeva nemmeno di stare assumendo un rischio quasi-azionario.
La storia non finisce qui. Il 22 dicembre 2014, quando ormai il grosso del danno è fatto, la Consob pubblica una «Comunicazione sulla distribuzione dei prodotti finanziari complessi alla clientela retail», dove oltre a perseverare nel rifiuto della metodologia degli scenari probabilistici, «sconsiglia esplicitamente agli intermediari di offrire alla clientela retail i prodotti finanziari complessi indicati in un apposito elenco». Nell’elenco, che «ha carattere esemplificativo e non esaustivo», guarda caso mancano proprio, ancora, le obbligazioni subordinate. A sorpresa, sei mesi dopo – il 23 giugno 2015 – la Consob fornisce alcuni chiarimenti applicativi, in forma di domanda e risposte. Domanda: le obbligazioni subordinate sono prodotti complessi? Risposta: «La presenza della mera clausola di subordinazione non implica ex se la riconduzione delle obbligazioni in esame nell’alveo dei prodotti a complessità molto elevata di cui all’Elenco», dice Vegas, mentre per l’Autorità europea degli strumenti e dei mercati finanziari (ESMA) «le obbligazioni subordinate sono considerate strumenti complessi». Secondo l’Esma, infatti, il prospetto e/o la documentazione legale di questi titoli è difficile da comprendere» per l’investitore medio retail. Invece, la Consob di Vegas si limita a raccomandare solo «la massima attenzione alle fasi di distribuzione delle obbligazioni subordinate nei confronti della clientela al dettaglio», senza porre precisi obblighi.
A questo punto, cioè fuori tempo massimo, persino il governatore Visco può permettersi un pensiero per i risparmiatori. «Gli investitori – dichiara nelle Considerazioni finali sul 2014 – devono essere consapevoli dei rischi sottostanti il nuovo sistema di gestione delle crisi. La clientela, specie quella meno in grado di selezionare correttamente i rischi, andrà adeguatamente informata del fatto che, nel caso detenga strumenti diversi da depositi e titoli garantiti, potrebbe dover contribuire alla risoluzione di una banca. Nel nuovo contesto va valutata l’opportunità di iniziative volte a riservare l’acquisto degli strumenti più rischiosi a investitori professionali». Questo accadeva lo scorso 26 maggio 2015, all’ultima assemblea di Banca d’Italia. Appena pochi mesi fa. Ieri, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, il direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi ha avuto il coraggio di dichiarare che la richiesta è stata avanzata «in tempi non sospetti»: il 26 maggio 2015. Banca Etruria era stata commissariata solo tre mesi prima.
Una lunga stagione di decisioni regolatorie sempre pro-business e mai pro-investitore e un lassismo di fatto nei controlli sul campo continuano a scavare voragini nel risparmio nazionale.
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