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Il crac prevedibile della Popolare di Bari
Alla notizia del commissariamento della Banca Popolare di Bari, decido di dare un’occhiata ai bilanci dell’istituto per capire se e come la Vigilanza della Banca d’Italia avrebbe potuto intervenire prima. Parto dal 2012 e poi vado avanti, un anno alla volta, osservando le diverse grandezze patrimoniali ed economiche e farmi un’idea circa il momento in cui la situazione è diventata insostenibile.
A partire dal 2012, le prime cose da segnarsi sul taccuino si trovano a pagina 290:
«A partire dal 22 gennaio, nell’ambito di un programma complesso di Vigilanza che ha interessato i principali gruppi bancari nazionali, è stato avviato un accertamento ispettivo da parte della Banca d’Italia avente ad oggetto la valutazione dell’adeguatezza delle rettifiche di valore sulle posizioni ristrutturate, incagliate e a sofferenza. Subito dopo la chiusura dell’aumento di capitale, lo stesso Nucleo Ispettivo ha esteso il proprio intervento ad una verifica su una serie di profili organizzativi ed operativi relativi all’offerta alla clientela di servizi di investimento. L’ispezione è tuttora in corso e non sono sin qui emersi specifici elementi di attenzione. Sono state quindi effettuate ulteriori valutazioni, coerenti con gli indirizzi auspicati dall’Organo di Vigilanza, a conclusione delle quali il Consiglio di Amministrazione ha deciso di elevare le rettifiche di valore di ulteriori 25,1 milioni di euro. Complessivamente, quindi, la voce rettifiche/riprese di valore nette per deterioramento di crediti ammonta a circa 100,1 milioni di euro».
La Banca d’Italia aveva dunque già acceso un faro sul comportamento della Popolare di Bari nel 2012 1) per l’offerta di servizi d’investimento, soprattutto in relazione all’allora appena avvenuto aumento di capitale, e 2) per insufficienza di rettifiche sui crediti deteriorati.
Da notare anche che l’utile era appena 5 milioni, grazie ad un provento derivante dalla cessione di attività finanziaria per 24 milioni di euro, il rendimento sul patrimonio al 1,3% e il patrimonio netto diviso per le attività al 4,3% (livello basso).
L’esercizio 2013, in apparenza, va meglio con un utile a 17 milioni di euro ma, ancora una volta, questo risultato è ottenuto con utile da cessione di attività finanziaria per 62 milioni. Senza questa voce, Bari finisce l’anno in perdita. Nonostante questi due anni difficili, a pagina 287 leggiamo che:
«A inizio marzo il Consiglio di Amministrazione di Banca Popolare di Bari ha proceduto ad approvare un nuovo piano pluriennale di rafforzamento patrimoniale per complessivi circa 500 milioni di euro, volto a sostenere i piani prospettici di sviluppo, a iniziare dall’acquisizione del Gruppo Tercas».
In più, il gruppo delibera l’emissione di un convertibile di 280 milioni di euro.
Quindi, la Banca d’Italia approva un aumento di capitale che quasi equivale al patrimonio esistente della Bari, una banca con una perdita ordinaria e delle domande intorno alla gestione del credito, e la autorizza ad acquisire e a fondersi con un gruppo in difficoltà.
Sembra che non solo la Banca d’Italia non ha imparato la lezione dell’era Fazio & Fiorani ma l’ha invece elevata a modello da seguire. A mio avviso, la Banca d’Italia prende una decisione politica per permettere questa fusione quando la lettura dei numeri dice che la Bari non è una banca che dovrebbe essere un polo aggregante non avendo la capacità di gestire la sua rete. Questo non è il comportamento di un arbitro imparziale ma di un direttore d’orchestra.
Il 2014 vede l’acquisizione di Tercas, un aumento delle sofferenze lorde dal 47% al 65% del patrimonio netto tangibile, e un utile netto di 25 milioni di euro dovuto all’utile della cessione delle attività finanziaria, in aumento a 69 milioni di euro.
Il 015 vede una perdita di 297 milioni di euro grazie a un beneficio fiscale di 177 milioni. La banca ha dovuto tagliare l’avviamento ma ha anche visto l’utile operativo scendere da 145 milioni di euro a 47 milioni. Gli accantonamenti sono saliti a 251 milioni da 103 milioni. Nonostante questo, la banca valutava altre operazioni, incluso il salvataggio della Banca Popolare delle Province Calabre. Il che non ha alcuna logica se non quella di aiutare la Banca d’Italia a coprire un episodio scomodo.
Il 2016 vede un miglioramento per l’utile operativo a 64 milioni di euro e un utile di 5 milioni di euro: indovinate un po’, sempre grazie a un beneficio fiscale, questa volta da 31 milioni di euro.
Il 2017 è, di nuovo, chiuso in utile grazie solo al beneficio fiscale.
Il 2018 registra invece una perdita di 420 milioni di euro che porta al commissariamento della banca: 250 milioni di accantonamenti è la voce più pesante.
Ma il danno vero è stato fatto 5 anni prima quando la Banca d’Italia ha dato il permesso per l’acquisto del Gruppo Tercas.
La Popolare di Bari non aveva i numeri per fare una acquisizione del genere come pure il Monte Paschi non aveva il patrimonio per comprare Antonveneta. E cioè nonostante la Banca d’Italia ha detto di sì, all’una e all’altra.
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Nella foto di copertina, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco
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