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Viaggio al termine della notte: cosa vuol dire essere un whistleblower in Italia

4 Agosto 2015

L’introduzione di strumenti per la “segnalazione di illeciti” nel sistema bancario, come già sottolineato da Marco Liera, apre degli scenari molto interessanti nel contrasto alla corruzione, al riciclaggio e ad altri reati collegati: se esiste uno strumento in grado di mettere in difficoltà corrotti e corruttori è proprio il whistleblowing. Purtroppo però, dalla norma o dalle linee guida alla pratica la strada è molto lunga.

L’ostacolo maggiore è rappresentato dal contesto culturale in cui ci muoviamo: nel paese del motto “chi fa la spia non è figlio di Maria” non sarà semplice far passare il concetto che segnalare qualcosa o qualcuno, seppur nell’interesse pubblico, sia un gesto positivo. Se non bastasse la nostra cultura già di per sé poco incline alla segnalazione, a dissuadere il potenziale whistleblower ci si mette anche la paura di possibili ritorsioni.

Secondo l’ultima edizione del Barometro Globale della Corruzione l’Italia è tra Paesi europei quello meno incline alla segnalazione (solo il 56% si dichiara disponibile a soffiare nel fischietto, contro la media UE del 71%) e i due motivi principali sono proprio la paura (41%) e la sfiducia (41%).

Sul secondo punto, come ha già evidenziato Liera, è necessario che le istituzioni non solo accolgano le soffiate, ma che diano anche delle risposte – se non delle vere e proprie ricompense – a chi si espone segnalando. Sentirsi parte del gioco è fondamentale: decidere di diventare un whistleblower, con tutto ciò che comporta a livello professionale e personale, non è uno scherzo, servono quindi degli incentivi quantomeno “morali” che spingano chi è dubbioso ad agire nell’interesse della collettività. Negli Stati Uniti, cultura basata sulla logica costi/benefici più che sulla purezza del comportamento etico individuale, il Governo è ben disposto ad elargire fino al 30% delle somme recuperate grazie alla segnalazione. Si mette insomma il whistleblower nella posizione di avere una contropartita in cambio dell’accettazione del rischio. In estrema sintesi, un’istituzione disposta a ricompensarti per la soffiata, dà maggior fiducia di un’istituzione che nel silenzio e nel chiuso delle proprie stanze (forse) prende in considerazione la soffiata e (forse) si attiva per ripristinare la legalità.

L’altra questione, quella cioè legata alla paura di ritorsioni, è ancora più spinosa e difficile da sradicare, e il motivo è presto detto: tanto è difficile trovare esempi di whistleblower premiati per il loro coraggio, tanto è facile trovarne di bastonati e puniti dal sistema. A conferma di quanto detto e per rimanere in ambito bancario, è esemplare ciò che scriveva quattro anni fa il famoso whistleblower del Monte dei Paschi di Siena nella sua lettera in cui riferiva alla Consob tutte le magagne in seno all’istituto bancario toscano: “consapevole del rischio del mio gesto, non firmerò il documento allegato, ma sarò felice di aiutarvi nelle vostre indagini qualora vi vedrò arrivare nella sala operativa”.

Se in questo caso la furbizia e l’attenzione dovrebbero aver messo il mittente della segnalazione al riparo da ritorsioni (è solo una speranza, non conoscendo il nome di chi inviò quella lettera!), in altri casi è andata invece in altro modo. A Enrico Ceci ad esempio, reo di aver segnalato delle falle nel sistema informatico della banca per cui lavorava che permettevano di “ripulire” ingenti quantità di denaro, oggi disoccupato dopo essere stato licenziato e trascinato in tribunale.

Per contrastare il clima di paura e sfiducia che spinge i whistleblower al silenzio, bisogna fornire loro protezioni efficaci, strumenti di segnalazione sicuri e la certezza che lo sforzo (psicologico prima di tutto) troverà un riscontro effettivo nel destinatario. Per far sì che tutto ciò accada, onestamente, non ci vuole molto. Una legge per ampliare e rafforzare le tutele, oggi minime, a favore dei whistleblower è attualmente in discussione alla Camera dei Deputati e verrà portata in Aula con tutta probabilità già a settembre.

L’autorità anticorruzione di Cantone ha aperto dei canali specifici per i cittadini che vogliono inviare segnalazioni di illeciti e, come riportano i giornali (ad esempio il “caso di Como”) si stanno già vedendo i primi risultati. Transparency International Italia, l’associazione che dirigo, permette ai cittadini di inviare segnalazioni in maniera totalmente anonima, pur con un sistema che ci permette di ricevere solo “soffiate” ben circostanziate e dettagliate.

Pensate cosa ne sarebbe stato di Mafia Capitale se fosse stato disponibile un sistema di whistleblowing interno al Comune. Anzi, la domanda è: perché a Roma non è ancora disponibile un vero e proprio sistema di whistleblowing per i dipendenti?
Forse è il caso che dopo Banca d’Italia anche il comune di Roma ci pensi seriamente.

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