Appalti

Contro la corruzione non basta una legge

17 Marzo 2015

Gli scandali per corruzione sono un format di successo. Come un talent show tornano sugli schermi mediatici con cadenza periodica, giusto con qualche piccola variazione. Spesso cambiano i nomi, altre volte sono gli stessi (tipo il “Compagno G”, al secolo Primo Greganti). Ora il ruolo di protagonista tocca a Ercole Incalza, plenipotenziario dirigente del Ministero delle Infrastrutture. Il processo è di là a venire e in quella sede saranno appurate le verità giudiziarie. Ma resta l’evidenza di qualcosa (eufemismo) che non va.

Intanto qualche elemento viene fuori e, come prevede il format, la politica inizia a raccontare che sono pronte delle “leggi anti-corruzione”, che renderanno più dure le pene e così via. A essere cattivi basterebbe annotare che il disegno di legge a firma di Pietro Grasso è fermo al Senato da più di 700 giorni. Il secondo “compleanno” è stato festeggiato proprio in concomitanza dell’arresto di Incalza. Che amara coincidenza. Tanto basta per dire che della corruzione ci si ricorda solo quando lo impone la cronaca giudiziaria. Adesso ben venga la discussione e l’approvazione di una normativa più stringente, ma l’esperienza insegna che una legge non fa la legalità, al di là del suo contenuto. I furfanti di professione, infatti, stanno già studiando gli escamotage per aggirarla. E chissà che non li abbiano individuati.

Tale annotazione, però, non vuole essere un resa nei confronti della piaga della corruzione, quel male incalcolabile per il sistema (non solo economico) italiano. Il ragionamento viaggia lungo un’altra direttrice, addirittura più complessa di una legge da approvare in Parlamento con una maggioranza eterogenea: la battaglia a favore della legalità va condotta sul piano della trasparenza delle figure professionali a cui si affidando gli incarichi. Lo scandalo delle ultime ore è un esempio terribilmente perfetto.

Ercole Incalza incarna la mitologica figura del super boiardo che, come scrive Michele Fusco, mette in scena «un pupo e un puparo nella più classica delle scenografie teatrali». Senza abbandonarsi a endorsement, è opportuno ricordare che nella sua esperienza in quel Ministero, Antonio Di Pietro mise da parte “l’Ercole delle Infrastrutture”, avendo annusato l’aria. Poi l’ex leader dell’Italia dei valori ha combinato altri pastrocchi, ma in quell’occasione è bastato poco per comprendere un fatto limpido: quando una figura ha acquisito troppo potere, ha bisogno di essere arginata. Altrimente tracima.

Purtroppo la politica tende a cedere alla burocrazia per convenienza o anche solo per pigrizia (perché inimicarsi la struttura con cui bisogna lavorare?), quando non per connivenza. Poi, certo, va a finire che il ministro finisca triturato dal consolidato sistema di potere burocratico, senza quasi accorgersene (eccetto il caso di connivenza, si intende). Ed è in fondo uno dei problemi principali, risolvibile solo con un approccio nuovo al rapporto con gli apparati ministeriali. Proprio per questo, temo, che il format corruzione tornerà presto su questi schermi, anche dopo le “leggi speciali” che annuncerà Renzi in qualche tweet.

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