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Distretti industriali, fatturato in crescita per le imprese. La meccanica innova

12 Marzo 2019

«Il rischio del protezionismo, la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, la Brexit e le elezioni europee sono tutti potenziali disturbi dell’attuale tendenza: il rallentamento dell’economia mondiale. E il fondo non sembra ancora essere toccato. La ripresa, però, nel secondo semestre dell’anno, sono convinto che ci sarà», afferma Gregorio De Felice, capo-economista di Intesa Sanpaolo, in occasione della presentazione dell’undicesimo Rapporto annuale sull’economia e finanza dei distretti industriali 2018, insieme a Fabrizio Guelpa, responsabile della ricerca Industry e Banking della banca.

I problemi che condizionano l’economia del nostro paese, oltre a quelli “politici”, sono strutturali: bassa concorrenza nei servizi, burocrazia, incertezza cronica, deficit infrastrutturale. Eppure, il nostro tessuto manifatturiero è vitale, anche se esposto alla concorrenza internazionale più di altri settori. Grazie alle strette relazioni sui territori e nelle filiere, il “modello Italia” ha retto la concorrenza dei paesi emergenti mantenendo il saldo del manifatturiero in positivo. Le parole d’ordine sono internazionalizzazione e innovazione (quest’ultima, nota dolente per troppe imprese italiane dentro e fuori i distretti ma non per il settore della meccanica, innovativo e vincente).

I distretti industriali oggi sono ancora protagonisti nella realtà manifatturiera italiana, tanto che nel  biennio 2017 -2018 hanno registrato un fatturato in crescita del 7,7%.  Tra il 2008 e il 2017, invece, sono cresciuti di 5 punti percentuali rispetto alle aree non distrettuali.

«Quello dei distretti industriali», commenta De Felice, «lo definirei capitalismo di territorio, di filiera». Le piccole e medie imprese qui hanno la capacità di interagire e trovare esternalità positive nel territorio. «Questa è la leva da cui ripartire», puntando a rafforzare la produttività del nostro Paese.

Lo studio realizzato dal Centro Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo ha analizzato i bilanci aziendali degli anni 2008-17 di quasi ventimila imprese appartenenti a 156 distretti industriali e di oltre sessantaduemila imprese non distrettuali attive negli stessi settori di specializzazione. Il rapporto conferma il valore e la competitività dei distretti come veri e propri punti di forza dell’industria italiana. La produttività del lavoro, peraltro, nel 2017 è salita a 56 mila euro per addetto, praticamente il 10% in più rispetto alle aree non distrettuali specializzate negli stessi settori.

Il ruolo delle filiere di prossimità come fattore competitivo nei distretti è confermato anche quest’anno. I fornitori sono vicini ai committenti rispetto a quanto avviene altrove (100 km vs 118 km). Nei distretti orafi, per esempio, parliamo di soli 56 chilometri. Le imprese più piccole, inoltre, percepiscono i vantaggi localizzativi dei distretti in modo più forte, ma anche per le aziende più grandi il legame con il territorio è importantissimo, tendendo conto del fatto che si tratta comunque di imprese a conduzione familiare, o comunque che avevano quell’origine.

«Le imprese più piccole sono un pò chiuse. Dialogano su un territorio di 80km. Se crescono le dimensioni cresce anche la capacità di dialogare al di fuori. I territori distrettuali sono relativamente chiusi perché lavorano molto al proprio interno», commenta Guelpa. Pensiamo per esempio al caso dell’alimentare, che è il principe di questo concetto con il chilometro zero. Una maggiore apertura di governance, però, può sicuramente aiutare a crescere. Gli amministratori delegati delle imprese distrettuali sono ancora oggi legati al territorio. La diversità culturale in aziende come queste creerebbe valore.

I distretti, comunque, sono rinnovati dalla crescente presenza di capitali esteri nelle società. Oltre il 63% sono investitori francesi e il 44% tedeschi.

Le aree di eccellenza distrettuale sono molte, anche se nella classifica dei venti distretti migliori prevalgono quelle del Nord-Est (10) e del Nord-Ovest (6), rispetto al Centro e al Mezzogiorno che sono presenti con due distretti ciascuno. La Metalmeccanica (12) e l’Agroalimentare (4) continuano a prevalere.  I distretti industriali bergamaschi della gomma del Sebino (che aveva già vinto nel 2014) e quello della pelletteria e calzature di Firenze battono le macchine per imballaggio di Bologna e la meccatronica di Trento. La classifica dei 20 distretti migliori, su performance di crescita e redditività, vede al terzo posto i dolci di Alba e Cuneo. Al decimo posto il prosecco di Conegliano-Valdobbiadene, al dodicesimo posto l’occhialeria di Belluno (in prima posizione lo scorso anno) ed al sedicesimo posto l’alimentare di Avellino.

Il tema da affrontare per il futuro e per il presente? Quello del capitale umano. Mancano operai specializzati e addetti con competenze legate alle tecnologie 4.0 (nel 78% dei casi contro il 71% al di fuori dei distretti). Il problema è quello delle competenze e un terzo delle imprese sono percepite con competenze digitali basse. È difficile trovare personale adeguatamente formato. Soltanto all’interno della meccanica si concretizza la capacità di innovare delle imprese, che sono avanzate in tutte le classi dimensionali, sia dentro che fuori i distretti.

«Diverse imprese creano corporate academy al loro interno. L’impresa piccola, però, non ha i mezzi per quel tipo di investimento», commenta De Felice. «Di fatto», chiude Guelpa, «nel rimodellamento del piano industria 4.0 il budget per l’incentivazione è stato complessivamente ridimensionato. Alcune cose vanno a vantaggio dell’innovazione, altre no. Il grosso problema poi è quanto c’è la possibilità di crescere e quanta volontà c’è da parte delle aziende di investire. In questo momento il mood è piuttosto negativo».

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Nell’immagine di copertina: Matteo Fabiani, Responsabile Media and Public Association Relations, Fabrizio Guelpa, Responsabile della Ricerca Industry e Banking, Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo

 

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