A Roma la Raggi può perdere? Assolutamente sì, ma solo se…
I grillini oggi festeggiano loro candidata che nella tarda serata di ieri si è presentata in conferenza stampa enfatizzando (con l’ormai celebre recitazione da attrice […]
Se vi fosse anche un solo motivo per andare a votare il prossimo 5 giugno per il prossimo sindaco di Roma, di sicuro a fornirlo non sarà stato il faccia a faccia su Sky di ieri sera, dove i cinque principali candidati si sono sottoposti alle domande di Gianluca Semprini, beccandosi fra loro, in uno scontro senza vinti e vincitori. Ancora una volta, infatti, il confronto appiattisce le differenze e più che i programmi, tutti simili fra loro nelle enunciazioni di massima, fra buche e rinegoziazione del debito, a fare la differenza potrebbero essere le dichiarazioni dei redditi. Da una parte infatti ci sono tre parlamentari, Stefano Fassina, Roberto Giachetti e Giorgia Meloni, con i loro stipendi generosi a cui, per ora, nessuno di loro ha voluto rinunciare. Dall’altra, una ragazza, Virginia Raggi, che dichiara circa 20 mila euro all’anno. Staccato, e anche di molto, un multimilionario, Alfio Marchini, che gira in Ferrari e ha già speso di tasca propria per queste elezioni circa 600 mila euro.
Viriginia Raggi, la favorita, è l’obiettivo principale delle stoccate dei suoi avversari, da cui non sempre esce in maniera convincente, soprattutto quando si scende nel campo della trasparenza del Movimento 5 Stelle. “Vogliamo riportare onestà, coerenza e trasparenza nelle istituzioni e questo spaventa tutti”, replica lei più volte, attaccando il Pd e i partiti di Mafia Capitale, l’imprenditore Alfio Marchini “che non si è mai visto in Campidoglio in 3 anni” e Giorgia Meloni “che si vergogna del suo passato fascista”. Sulla mobilità rilancia il progetto della funivia, “c’è in tutte le capitali europee” e, insieme a Fassina, è l’unica ad esprimere contrarietà alle Olimpiadi, “pensiamo prima all’ordinario”. Il suo appello finale è il più studiato, “i partiti si sono mangiati Roma”, ma la chiusura è degna di una telenovela sudamericana. “O si cambia tutto o tutto rimane come è stato”, dice, mentre la telecamera si sofferma sulla smorfia di sofferenza che si disegna sul suo volto.
Roberto Giachetti è il più nervoso dei cinque, forse anche penalizzato dalla posizione centrale, tra Giorgia Meloni e Stefano Fassina che ne mette in evidenza le continue smorfie. L’ex radicale ed ex verde punta tutto sulla sua “storia personale”, per poi rivendicare, a nome del suo partito la chiusura della discarica di Malagrotta, senza citare l’ex sindaco Ignazio Marino. Garantisce autonomia da Renzi, “come sul referendum quando ho detto che avrei votato” e recita le stesse formule che lo hanno accompagnato per tutta la campagna elettorale. Olimpiadi, task force sulle buche, e città videosorvegliata, secondo un progetto molto simile a quello dell’ex sindaco Gianni Alemanno, che prevedeva l’integrazione fra le telecamere pubbliche e quelle private. La fantasia non è il suo forte e per sottolineare il delicato tema dell’illuminazione pubblica usa lo stesso esempio utilizzato nel confronto fra i candidati delle primarie, quello di un complesso di case in via Roseto degli Abruzzi, nella periferia est di Roma, al buio da mesi. Per essere il predestinato, nominato dal premier Matteo Renzi in persona, è decisamente ancora poco.
Fra semafori intelligenti e sensori sotto l’asfalto, l’imprenditore Alfio Marchini è forse il più a disagio di fronte alle telecamere. Con una punta di orgoglio accenna al suo stato patrimoniale, “lo scorso anno ho guadagnato un milione di euro”, anche se dichiara di essersi liberato da ogni conflitto di interessi: “Ho deciso di cedere anche le attività immobiliare ai figli”. Dagli altri si differenzia soprattutto sui rifiuti. “Bisogna congelare la raccolta differenziata, che ora ha costi troppo elevati, finché non ci saremo dotati degli impianti per il trattamento”. In più di una occasione attacca la Raggi sulla trasparenza “avete il 60% di amministratori indagati” e quasi sbalza dalla sedia quando si ritrova a commentare la morte di Sara di Pietrantonio. “Ovvio che mi sarei fermato a soccorrerla”. In pieno stile berlusconiano chiude con la promessa di “abbassare le tasse”, ma detto senza scudetti o Champions League in bacheca non ha la stessa credibilità.
Al contrario degli altri candidati, Giorgia Meloni nei salotti televisivi è di casa da più tempo e questo le permette di far dimenticare le tante incognite sul progetto politico che la sostiene, rispondendo colpo su colpo alle provocazioni. Alla Raggi che le chiede spiegazioni sul perchè non si sia dimessa parlamentare, la risposta è fulminea: “Si dimetteranno invece i parlamentari M5s venuti a commissariarla con lo staff? Perché Di Battista non si è dimesso?”. Almeno sul programma, il repertorio a destra è garantito, “Se sei clandestino vai rimpatriato e se sei cittadino italiano ti comporti come gli altri”, sulla sicurezza, invece, in assenza di idee innovative, rilancia la classica “redistribuzione dei presidi di polizia”, mentre sulla mobilità le idee sono confuse: sarà difficile far arrivare la metro B a Ponte di Nona, ossia in un quartiere completamente fuori tracciato dal percorso della linea. Dei cinque è la meno convinta, in alcuni casi sembra capitata per caso. Per dirla alla romana, l’impressione è quella dello “svacco” dettato da cause di forza maggiore.
Senza alcuna possibilità di vincere, Stefano Fassina riesce ad essere a suo agio solo quando la discussione verte sui conti pubblici, il suo campo. Mentre tutti si affannano ad attaccare la Raggi, la sua è una competizione quasi solitaria contro il Pd, non solo quello nazionale di Matteo Renzi, ma anche quello regionale di Nicola Zingaretti, che pure governa anche grazie al sostegno del suo stesso partito. A Roberto Giachetti chiede spiegazioni sulla fine dell’ex sindaco Ignazio Marino, mentre dalla Raggi pretende di non essere accomunato agli altri.”Pretendo rispetto, non siamo tutti uguali”. A differenza degli altri parlamentari garantisce il suo impegno in consiglio comunale anche in caso di sconfitta. Ma allora perchè, almeno lui, non si è dimesso subito?
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