Partiti e politici
Tra Renzi e il Pd, noi siamo perchè scorra il sangue. (E vinca il migliore)
L’arte di rappezzare l’osceno è la bella politica che abbiamo sempre conosciuto. Il confine più estremo che si sposta ancora più in là, millimetro dopo millimetro, l’inimmaginabile che si fa studio di fattibilità, l’assolutamente impensabile che prende forma in un laboratorio di scienziati pazzi che lavorano al bene della Repubblica. Qualcuno all’esterno grida “questo no!, questo è orribile, inaccettabile, criminale.” Ma i processi di decomposizione-ricomposizione sono partiti e nessuno può fermarli. È un treno lanciato, la politica, e quando Roma si prende la sua rivincita sul mondo che la schifa, e in questi anni molto fu schifata la Città Eterna, allora riprende la sua mostruosità maestosa. Per esempio, in queste settimane nulla si sa di Milano, la virtuosa, e sembra strano visto che l’oscenità palese di certe operazioni dei palazzi romani dovrebbe spingere gli ottimati meneghini alla rivoluzione etica. Scendete in piazza con le vostre ramazze, milanesi del lella, o forse vi fa più comodo così visto che siete tutti sistemati?
E sino a qui l’ordito. Eppure c’è qualcosa che neppure la più fervida delle perversioni politiche potrà rappezzare, qualcosa che il grande orecchio di Roma avverte come una sfida dai tratti completamente umani, dunque molto defettibile, non riconducibile allo schema Ponzi di questo tempo gramo, il toro contro il suo torero, qualcosa che inevitabilmente finirà con spargimento di sangue, schizzi, lacerazioni, urla, dolori, la fine inevitabile di uno dei due protagonisti. E sugli spalti dell’arena, il pubblico pagante che scuote i nostri eroi, impenna i suoi entusiasmi, vuole la testa di Garcia. Dite che è troppo per rappresentare la sfida: «Matteo Renzi Vs Partito Democratico»? No, è appena poco più sotto la realtà.
Siamo a questo punto di una storia che non si potrà impapocchiare come gli accordi di queste ore. I protagonisti provano a tenerla in piedi con una narrazione neppure tanto sotterranea, che tenderebbe a rimandare lo scontro finale sino a vicendevoli convenienze. Ma i tempi delle convenienze non sono gli stessi, per cui Matteo Renzi e il Partito Democratico, qui rappresentato da Nicola Zingaretti e Paolo Gentiloni, si troveranno l’alba di una mattina per la risoluzione definitiva di un matrimonio mai nato. L’arma, essendo ospite vagamente indesiderato, la sceglierà l’ex segretario e potrebbe persino optare per le mani nude, a nocche scoperte, con cui, perdonate la franchezza, sino ad oggi ha cambiato i connotati dei due poveri teneroni. Ha spento la luce, poi ha acceso la luce, e tra un po’, quando gli parrà opportuno e profittevole, la rispegnerà nuovamente.
Dall’angolo del Pd, cui farebbe comodo uno come Angelo Dundee, devono aver pensato che per fare a botte bisogna essere in due e allora hanno cambiato strategia. Hanno cominciato a tacergli le cose, del resto – devono aver pensato – se quello se ne strasbatte altamente del Pd (non partecipa a nulla, non perde occasione per dire “del Pd non me ne occupo”, va all’estero come un’entità astratta), perché mai dovremmo tenerlo aggiornato delle ultime mosse? Così gli hanno organizzato lo scherzetto del Quirinale, con le famose tre condizioni ineludibili. Il nostro l’ha visibilmente sofferta, perché ci ha visto una cattiveria che non attribuiva ai due gaglioffi, ma che piuttosto riconosceva a sé stesso. Ma stare visibilmente sui coglioni a Paolo Gentiloni alla fine non porta niente di buono.
Questo governo di legislatura, per il Pd ha un vero sesto punto all’ordine del giorno: lasciare che un corpo privo di vita venga portato via dagli inservienti dell’arena. Se sarà il corpaccione del Partito democratico, significa che Matteo Renzi è riuscito a riprenderselo. In fondo è l’operazione per lui meno dispendiosa, in termini puramente economici e di strategia: eredita una storia, un certo numero di elettori, che così, anche un tanto al chilo, dovrebbero essere quattro-cinque volte quelli che raccatterebbe da solo. In più, la soddisfazione non trascurabile di tornare sul seggiolone del Nazareno, da cui rispiccare il volo per Palazzo Chigi (è noto che di lavorare al partito, a Matteo Renzi non interessa una cippa). L’altra ipotesi è che il Partito si liberi della sua Ansia. Matteo Renzi è l’ansia del Partito Democratico, ne disciplina gli umori, ne scandisce le debolezze, ne modella le perversioni. È un vero padrone e neppure occulto, perché i suoi atti sono liberi e belli e sfrontati, cosa gli vuoi dire? Si fregia d’esser semplice senatore e rispetto a quel “semplice”, complicare la vita a tutta una comunità. Roba da eccitarsi tornando a casa. Ma fu, è, vera gloria? Non è che un bel giorno, cari Zingaretti&Gentiloni, premiata ditta Pd, vi accorgerete che il vostro adorabile stalker non è altro che il bullo del quartiere e che fuori da quello, neppure lo riconoscono? Uscite dai vostri corpi e forse ritroverete un vago senso di realtà.
Poi ci sono gli amatori di cui occuparsi. Perché fino a oggi si è parlato lungamente, e spesso ne ha parlato lui stesso, degli odiatori di Matteo Renzi, che – è vulgata generale – certo non gli hanno giovato nella sua cavalcata politica. Stolidi, senza visione, invidiosi, concentrati nell’unico obiettivo di abbattere il mostro, come userebbe per un Salvini qualunque. Ma lui non era un Renzi qualunque, era quello del 40 e un cicinin, perdio. Gli amatori. Non gli hanno fatto meno danno. Lo hanno trascinato sin qui, chi in risciò, chi direttamente sul tronetto come alla festa del santo patrono. Si pensi soltanto a quelli dal pensiero “laterale”, quelli che non si accontentano della visione dominante, quelli che in democrazia allargano i polmoni portando aria nuova. Erano i foglianti una volta, e in quel tempo anche i ragazzi del “Riformista”. Cazzo che tempi. C’era Giuliano, e c’era un sacco di bella gente con la quale litigare. Ecco, guardateli adesso, giovani vecchi stanchi della vita, appresso a un rancoroso che passa la sua esistenza senza mai il dubbio di vivere la tragedia di un uomo ridicolo. Fanno le battaglie contro, chiamano gli intellettuali a firmare improbabili appelli che manco Paolo Flores, povero Giuliano che adesso ha persino paura del mostro, lui che ne avrebbe riso sfiorandosi un’ascella (poi però, abbandonato il rancore politico, è ancora capace di struggenti slanci giornalistici scrivendo di quel povero ragazzo morto nel bosco). Insomma, non c’è nemmeno più niente da leggere.
Noi vogliamo un corpo privo di vita sulla terra rossa dell’arena. Vogliamo esultare dagli spalti, facendo brillare le nostre bandierine. Fate voi la risoluzione, muore il toro, benissimo, muore il torero, ancora meglio. Ma vogliamo un corpo, che sia quello di Matteo Renzi o del Partito Democratico.
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