Partiti e politici
Quindi siamo tutti d’accordo, il prossimo leader della sinistra è Fedez?
Il dado sembra tratto. Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez, è il nuovo leader della sinistra. Sicuramente, da ieri e più che mai, è quantomeno uno dei nuovi intellettuali di riferimento. Il pensatore che dice in pubblico e chiaramente quello che i politici balbettanti non riescono a dire. Quello che le canta a Salvini e a Pillon. Quello che non ha timore di dire, addirittura dal palco del concertone del Primo Maggio, che chi si oppone al DDL Zan è un incivile. Quello che, in diretta Rai, spiega che la Rai, nella persona di una vicedirettrice di rete, gli ha chiesto di leggere i testi del suo intervento in anteprima, poi gli ha chiesto di non fare nomi (i nomi erano tutti leghisti), infine gli ha accordato una libertà, ha negato di aver mai cercato un controllo per poi vedersi rinfacciata, in pubblico, sui social network, la registrazione che mostrava che quel tentativo di controllo in realtà c’era stato.
Tutto bene? Tutto bene. Ma l’analisi logica è un’arte che abbiamo imparato da piccoli per usarla da grandi. Partiamo dal fondo. Dal finale, diremmo. In Rai, evidentemente qualcuno non conosce il mondo dei media di oggi. Il mondo di cui si vive, di cui si occupa. Pensare di poter “controllare” Fedez sul palco del concerto del Primo Maggio significa non sapere che il mondo è ormai infinitamente più grande del concerto, della Rai, di Roma, delle pressioni dei politici di riferimento, degli avversari rompicoglioni dei politici di riferimento, e così via, fino al tredicesimo grado di separazione. Il mondo di Fedez, ad esempio, è fatto di milioni e milioni di followers che lui gestisce sapientemente e ultra professionalmente ogni giorno sui vari canali social. Piattaforme di proprietà delle più importanti ricche e capitalizzate aziende del mondo. Che se la Rai fosse in vendita potrebbero comprarla al suo prezzo di mercato moltiplicato per quattro in dieci minuti. Non succede non solo perché non è in vendita, ma perché – soprattutto – i capitalisti capaci non comprano aziende che fanno ridere.
Detto questo, e proprio perché questo è verissimo, fa sorridere chi sottolinea con commozione il coraggio di Fedez nell’aver detto quel che ha detto. Sui social network – quelli di cui sopra – l’intellighenzia politica e giornalistica è tutta esaltata perché Fedez sì che sa cos’è la libertà di parola. Lui si che sa rischiare. Spesso queste lodi sperticate arrivano da voci che mai sono state, neanche per venti secondi, fuori dal coro unanime, qualunque coro unanime. Ma va bene, non sottilizziamo. Quello che lascia perplessi, di più, è l’incapacità di analisi dei fattori in campo e dei rapporti di forza. Cosa farà la Rai, non inviterà più Fedez perché ha pestato i piedi a qualche burocrate o a qualche politico? Se lo farà, si farà tanto male. Perché – a differenza del tempo in cui si poteva silenziare un comico per le sue battute sui socialisti – Fedez da solo potrà continuare a farsi seguire da qualche milione di persone. Come fa da anni, peraltro dicendo giustamente quel che pensa su qualunque tema ritenga interessante. Essendo influente a prescindere ormai da qualunque ospitata in tv.
Ci sarebbe poi da entrare nel merito della vicenda della Legge Zan. Chi ritiene che non si debba combattere l’omotransfobia è un mio avversario politico. Lo dico senza spazio per la discussione. Ma se leggiamo che importanti studiose femministe di questo paese, come Luisa Muraro, e che autorevoli militanti dei diritti civili, come Anna Paola Concia, pongono dei dubbi su alcuni passaggi specifici e sulla questione dell’identità di genere in particolare, perché non possiamo accettare una discussione, nel merito? Perché chiunque pone dei dubbi deve essere trattato come Pillon? Non è compito di Fedez, ovviamente, la discussione politica e culturale. Ma sarebbe compito di chi fa politica farsene carico, accettarla, anche convincere le parti in causa a confronto. Ad esempio convincere Alessandro Zan e i movimenti che sostengono la legge ad accettare un confronto. Magari, perfino, ad accettare l’ipotesi di un compromesso perché – sapevamo – la politica si farà così. Invece no. Chiunque discute è Pillon. Non è colpa di Fedez, ma il suo discorso va in quella direzione, e non a caso viene esaltato anche da chi non vuole discutere di nulla, o crede che non si debba discutere di niente. Naturalmente in nome della libertà di espressione.
Infine, e da ultimo. Ieri era la Festa dei lavoratori. Il lavoro è il campo di battaglia su cui si è formata ogni idea di progresso, o di regresso. È la terra di coltura di ogni futuro, è il fondamento di ogni sinistra. Il lavoro è il luogo primo in cui si misura la retorica del “siamo tutti uguali”: donne e uomini, omosessuali ed eterosessuali, neri, bianchi, eccetera. Al lavoro, alle donne e agli uomini che lavorano nel suo mondo, Fedez ha dedicato parole belle e sentite, chiedendo a “Mario” (Draghi, ndr) di ricordarsi che sono tanti, e non vedono futuro. Che i ristori per loro son stati pochi e tardivi, che la cultura non è un cazzeggio, ma vita, nutrimento, futuro appunto. Giustissimo. Ho il sospetto che di quel discorso, fondamentale, tanto più il primo maggio, nessuno si ricorderà più. Vincerà la seconda e preponderante parte, quella sui diritti individuali, perché più polarizzante, perché di là ci sono Salvini e Pillon, perché incredibilmente è ormai assodato, a sinistra, che di salario si possa parlare meno che di libertà. Chi scrive è da sempre convinto che di libertà, a sinistra, si sia sempre parlato poco. Trovarsi spiazzati dagli eccessi, no, non l’avevamo mai considerato un’opzione.
Direte: sì, ma chi lo paga questo salario? Dove li troviamo tutti i soldi che servono, proprio adesso, alla fine – speriamo – di una pandemia, e all’inizio di un nuovo mercato, aperto da una crisi mondiale? A sinistra si dovrebbe pensare, ad esempio, che nessun “recovery plan” è possibile se non si fanno pagare le tasse ai grandi produttori di ricchezza. Tanto più se oligopolisti in grado, per il loro core business, di orientare potenzialmente il pensiero di miliardi di umani. Pensiamo a Google, a Facebook, a Instagram (che è di Facebook). Ci sta pensando Biden, un moderato da sempre attento più ai diritti individuali che non a quelli sociali. Davvero non può pensarci la sinistra europea? Per coincidenza, sono anche la piattaforme che rendono obsoleta la Rai e – fortunatamente – libere e indipendenti le opinioni di Fedez. Il cerchio si chiude, e per una volta non è un male.
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