Partiti e politici
“Pizzagate”: la politica Americana tra complotti (finti) e pedofilia (vera)
Questa è la storia di una leggenda metropolitana che come tutte le leggende metropolitane ha due caratteristiche essenziali: è tanto affascinante quanto campata per aria. Però, proprio come le leggende metropolitane, ha pure un fondo di verità, e quel fondo di verità è talmente orribile che proprio non si capisce come mai di questa storia nessuno ne abbia ancora parlato.
Tutto comincia il 28 agosto 2016, due mesi e mezzo prima delle elezioni che hanno cambiato la storia degli USA e del mondo intero. Quel giorno il New York Post scrive che il Democratico Anthony Weiner è sotto inchiesta per aver mandato alcuni messaggi erotici, corredati da foto pornografiche, a una donna di 28 anni, e che Weiner, nel gioco erotico, si sarebbe persino fotografato di fianco a suo figlio.
Quello di Weiner non è un nome qualunque: ex enfant prodige del partito Democratico, amatissimo dagli elettori new yorkesi, Weiner venne travolto da un primo scandalo a sfondo sessuale nel 2011 quando manda una foto di se stesso, in posa adamitica, a una sua follower su Twitter – la quale non perde tempo a girare la foto alla stampa. Perdonato dall’opinione pubblica, corre per la carica di sindaco del 2013 e secondo i sondaggi è addirittura in testa: ma poi ci ricasca e sotto l’alias di “Carlos Danger” manda altre foto di se stesso, completamente nudo, a una 22enne (il tutto è raccontato dal documentario “Weiner”, uno dei più grandi successi al Sundance Film Festival 2016).
Ma soprattutto Weiner è anche il marito della potentissima Huma Abedin, assistente/migliore amica/ombra di Hillary Clinton, di cui è stata chief of staff per la campagna 2008 e vice chair per quella del 2016. Proprio come Hillary, anche Huma ha accettato per anni le intemperanze del consorte senza fare un plissè, cosa che, nei meandri del web – quei vicoli bui dove girano tizi più psicolabili che i personaggi di un romanzo di Dostoevsky – ha contribuito a istituzionalizzare una delirante teoria. Se vi ricordate di True Detective – season 1 vi ricorderete anche come tutta la storia ruoti attorno a un torbido giro di pedofili satanisti appartenenti al mondo della politica nelle sue più alte cariche: quella storia fa il verso a una leggenda metropolitana popolarissima negli Stati Uniti, secondo cui ci sarebbe una trasversale rete di pedofili che comprende persone vicine alla Presidenza, politici di primissimo piano e Vescovi della Chiesa Cattolica.
Si sa come sono le leggende metropolitane, dai coccodrilli nella fogne di New York in poi. Ma gli Stati Uniti sono anche il Paese dove di pedofilia si parla poco, troppo poco a causa del proverbiale perbenismo americano che tutto nasconde: e così notizie come questa – 474 (quattrocentosettantaquattro) persone arrestate in California per “human traffick” – sono relegate alla cronaca locale, e ciò alimenta – come mostrato in True Detective – voci, teorie del complotto e tutto quel moto di rabbia e odio verso l’establishment corrotto e degenerato alla base del movimento pro-Trump.
Follie non supportate da alcun fatto concreto, neppure degne di essere menzionate sui giornali – con buona pace delle centinaia di migliaia di paranoici che sui forum ne sono assolutamente convinti. Tanto più che, dopo la notizia del New York Post, la Abedin si separa da Weiner.
Sembra finita. E invece no, perché il 21 settembre 2016 il Daily Mail scrive che Weiner ha mandato alcuni messaggi pornografici e una foto del suo pene a una ragazzina di 15 anni, a cui ha descritto anche, con dovizia di particolari, le sue fantasie sessuali. Weiner nega, sminuisce, ma poi vengono pubblicate le schermate dei messaggi: e dire che sono disgustosi è dire poco.
Immaginate però la reazione registrabile sul web, del corpaccione della società americana convinta che ci sia un gigantesco complotto atto a coprire una micidiale reti di pedofili che si annida fino alle più alte cariche dello Stato. A voglia a prendere le distanze da una persona evidentemente malata: nell’immaginario di una certa parte della popolazione per la Abedin, e di riflesso, per la Clinton, il colpo è durissimo.
Così si arriva al 7 ottobre 2016, il giorno in cui Wikileaks pubblica le email riservate di John Podesta.
Quello di Podesta sulla tavola periodica di Washington è un nome pesante come il Tungsteno: capo di Gabinetto di Bill Clinton, primo consigliere di Obama, chairman – ovvero Capo Supremo – della campagna di Hillary.
Il 7 ottobre, però, succede anche un’altra cosa, edè’ una cosa strana, la prima di una lunga serie: viene rilasciato il famoso video di Trump che dice “grab them by the pussy”, letteralmente “afferrale per la figa”, vantandosi di poter possedere una donna come e quando vuole grazie ai soldi e alla fama. Da quel momento, sui media americani mainstream – quelli “alla luce del sole” – non si parla d’altro (e se ne parla ancora oggi) che di Trump, del suo maschilismo, delle donne pronte e tutto pur di ribellarsi. Ma nei sotterranei del web, in quei vicoli dove si è convinti che l’uomo non sia mai andato sulla luna e che l’AIDS non esista, ci si domanda altro: visto che il video di Trump è vecchio di un decennio, come mai è spuntato fuori solo adesso? Ma certo – dicono giù in basso: per distogliere l’attenzione dalle email di Podesta.
Le settimane passano: lassù, i media fanno a gara a chi stigmatizza con più ferocia il maschilismo del candidato Repubblicano; laggiù, su oscuri forum e siti mai sentiti prima, si radunano le truppe di chi crede che l’F.B.I. stia, ancora una volta, cercando di proteggere la rete dei pedofili di cui fa parte Weiner e di cui, per osmosi, fanno parte anche altri nomi di spicco del partito Democratico.
Siamo a dieci giorni dalle elezioni. Esplode la notizia che il direttore dell’F.B.I. James Comey ha deciso di riaprire l’indagine sulle email della Clinton. È successo che indagando sui device in uso alla Abedin per il caso di Weiner siano saltate fuori altre comunicazioni Clinton/Abedin precedentemente non esaminate. La nuova indagine finirà in una bolla di sapone. Ma il nome di Weiner e dell’inchiesta sulle sue inclinazioni sessuali colpiscono le migliaia di adepti delle varie Chiese dei Complotti, che da giorni stanno leggendo per il fino le email di Podesta.
Ed è a questo punto che scoppia la supernova del “Pizzagate”.
Qualcuno si accorge che nelle email di Podesta sono presenti decine e decine di riferimenti ad alcune “Cheese Pizza”, pizze col formaggio, che appaiono completamente slegate dal contesto. Un oscuro account twitter scrive che “Cheese Pizza” starebbe per “Child Pornography”, e sarebbe un linguaggio criptato, usato dai pedofili per riferirsi ai minori. Ci troviamo davanti a qualcosa di completamente inventato, a una teoria costruita a posteriori sulla base di una coincidenza semantica – il fatto che Cheese Pizza stia per Child Pornography non trova infatti riscontro in nessun documento ufficiale. Ma in America ci sono migliaia e migliaia di persone che si domandano come mai i media crocifiggano Trump per il grab them by the pussy ma tacciano – con pochissime eccezioni – sul caso di Weiner. Così il “Pizzagate” si diffonde a macchia d’olio, arricchendosi di particolari.
Podesta, per esempio, è amico di James Alefantis, uomo d’affari di Washington molto chiacchierato: GQ lo ha inserito tra le 50 persone più potenti di D.C. eppure sulla carta Alefantis è solo un imprenditore nel campo della ristorazione. Tra le sue proprietà c’è anche la Comet Ping Pong Pizza, una pizzeria citata nelle email. Per i complottisti non ci sono dubbi: la Comet Ping Pong Pizza è il luogo dove i pedofili si danno appuntamento, cosa che spiega anche il potere di influenza di Alefantis. Non basta: qualcuno scopre che a pochi metri dalla Comet Pizza c’è un’altra pizzeria, chiamata Best of Pizza. Per un’incredibile coincidenza il logo della Best of Pizza è simile a un logo che un imprecisato rapporto dell’F.B.I. identifica come usato da una banda di pedofili sgominata a suo tempo.
Nella foto vedete a sinistra il logo “Boy Lover” e a destra quello della sfortunata pizzeria.
Non basta. Viene fuori che alla Comet Pizza è solita esibirsi una band chiamata Sex Stains – letteralmente “macchie di sesso”. E in uno dei video della band, manco a dirlo, appare un logo identico a quello “Boy Lover”.
Siamo nella classica situazione dove, in forza di un pregiudizio (“la storia DEVE essere vera”) si guarda la realtà con occhi diversi, e si legge ogni minimo dettaglio non come indipendente ma come diretta conseguenza del dettaglio precedente. Non si “vede per credere” insomma, si “crede per vedere”. Qualcuno, poi, si ricorda che Podesta era amico anche di Dennis Hastert, ex speaker della Camera, condannato a 15 mesi di galera per aver molestato un minore.
La rete – letteralmente – esplode, anche perché i media tradizionali, invece che contribuire a fare ordine, continuano a ignorare il tutto per non sporcarsi le mani con quella che a loro dire rimane una fake news. Ma quest’atteggiamento diventa benzina nelle mani di chi accusa i media di omertà e così si arriva al giorno delle elezioni dove, secondo un sondaggio di un istituto indipendente, un Americano su sei o crede che la storia del Pizzagate sia reale oppure ha il dubbio che possa essere vera.
8 novembre 2016: Donald Trump diventa il 45esimo Presidente degli Stati Uniti e il mondo intero è sotto shock. Sui media comincia quel lungo, drammatico processo di elaborazione del lutto.
Nell’universo parallelo online, però, il Pizzagate rimane un’ossessione. In Turchia, ad esempio, la notizia del Pizzagate viene riportata dai principali giornali vicini ad Erdogan (Sabah, A Haber, Yeni Safak). Il giocatore di basket NBA Andrew Bogut scrive molti tweet in cui se ne dice assolutamente convinto: quando si infortuna i complottisti dicono che è stato sprangato per il suo pubblico supporto alla conoscenza del Pizzagate. I dipendenti del Comet Pizza, i Sex Strained e tutti i soggetti anche solo tangenzialmente toccati dalla teoria sono costretti a cancellare i loro profili social perché bombardati di minacce.
Il peggio accade il 4 dicembre 2016, quando Edgar Welch, 28 enne del Nord Carolina si presenta al Comet Pizza e spara tre colpi di fucile per “fare giustizia”. A questo punto la notizia finalmente raggiunge la luce del sole – ne parlano distrattamente anche i giornali italiani – ma invece di approfondire e spiegare perché il Pizzagate non sia altro che una serie di coincidenze messe insieme ad hoc per costruire una storia di finzione, i giornali la liquidano sbrigativamente, ancora una volta, come una fake news. Il risultato è l’opposto: un nuovo sondaggio rivela come ora, negli Stati Centrali degli Stati Uniti, il 20% della popolazione (repubblicani e democratici insieme) sia convinta che la storia sia vera, che ci sia veramente un giro di pedofili satanisti – di cui fanno parte anche Obama e la Clinton – che dopo aver legiferato si ritrova in una pizzeria a sacrificare ragazzini.
A questo punto entra in scena un nuovo personaggio. Alex Jones, una vera e propria autorità nel campo delle teorie dei complotti, noto per aver diffuso delle panzane clamorose ma anche per aver denunciato, prima di tutti e in modo circostanziato, gli abusi di alcuni preti cattolici nell’Ovest del Paese. Sorprendentemente, Jones sul Pizzagate e’ rimasto silente, prima di dichiarare che si tratta di una farsa: una farsa, però, ordita proprio dall’F.B.I.
Il ragionamento di Jones è contorto, ma dotato di una sua logica apparente. Come ha fatto una storia come il Pizzagate – si chiede il Michael Moore dei complotti – a diffondersi in modo così impressionante? Perché da un singolo tweet di un account anonimo (o secondo altri, appartenente a un imprecisato “suprematista bianco”) si e’ arrivati a una valanga di simili dimensioni? Secondo Jones l’F.B.I. ha fabbricato ed etero-diretto la storia del Pizzagate, con tutte le sue imprecisioni, le sue lacune, la sua evidentissima infondatezza, per distogliere l’attenzione. Far credere, insomma, che tutte le chiacchiere su Washington e pedofilia siano bugie, paranoie, fandonie di destra estrema per far vincere l’odiato Trump. E così, contemporaneamente, proteggere l’indagine su Weiner, un’indagine a dire di Jones clamorosa, che rivelerebbe come una “società segreta di pedofili” dentro i gangli del potere americano esista sul serio. Citando imprecisate “fonti investigative”, Jones dice che nei computer di Weiner gli investigatori non abbiano trovato solo la foto mandata alla 15enne, ma decine e decine di immagini ben peggiori, e che per il marito di una delle donne più potenti d’America penda ora un’accusa da15 o addirittura 30 anni di galera.
Jones, col suo enorme seguito online, riaccende i riflettori su Weiner, di cui si sono perse le tracce da settembre. Di una accusa così pesante – pedofilia vera e propria – nessuno sa niente.
Del caso si interessa allora un giornalista dichiaratamente repubblicano di nome Ben Swann. Anchorman della CBS, Swann è noto per avere una rubrica chiamata Reality Check in cui analizza teorie del complotto ed eventi soprannaturali in maniera “quasi” oggettiva. Pur avendo, in passato, romanzato alcune notizie riguardanti UFO o complotti governativi, la puntata di Swann dedicata al Pizzagate è realmente equilibrata. Il tono e’ enfatico, ma Swann ha cura di ripetere chiaramente che gli snodi fondamentali sono il frutto di congetture non supportate da nulla. Lo show va in onda il 17 gennaio 2017. Il giorno dopo Swann viene travolto su internet da un’incredibile shitstorm: decine di migliaia di persone lo accusano di aver dato spazio a una bufala. Swann, di fatto, scompare: chiude il suo account twitter e per dieci giorni sparisce dalla circolazione. Quando riappare, non fa menzione di nulla. Qualcuno la considera l’ennesima prova che la cospirazione è reale; qualcun altro pensa ad una “finta nella finta” – ovvero il giornalista avrebbe fatto apposta a sparire dalla circolazione per dar l’idea che davvero qualcuno abbia cercato di “tappargli la bocca”.
Il 31 gennaio 2017 però esplode una notizia ben più rumorosa: l’F.B.I. sta davvero valutando se incriminare Weiner con un’accusa da 30 anni di carcere, e Weiner sarebbe sul punto di fare plead guilty – dichiararsi colpevole, cosa che eviterebbe il processo e quindi coprirebbe il reale contenuto delle accuse e del materiale eventualmente trovato nei suoi computer.
Questa notizia (qui riportata dal Wall Street Journal, a dimostrazione che si tratta di una notizia reale e non di una fake news) non ottiene, ancora una volta, la visibilità che sarebbe lecito aspettarsi. Inoltre salta fuori che tra la Abedin e Weiner ci sarebbe stato un clamoroso riavvicinamento.
Non si sa cosa l’F.B.I. abbia o non abbia trovato nei device di Weiner. E soprattutto, non esiste – ad oggi – nulla che indichi come il caso coinvolga altri soggetti oltre Weiner. Ma ai complottisti non interessa. Jones canta vittoria: è la prova che le sue fonti hanno ragione e di conseguenza che, secondo lui, dietro Weiner c’è qualcosa di terribile e grandissimo. Tutti gli altri, davanti all’ennesimo silenzio dei media, registrano la notizia come definitiva conferma delle loro convinzioni.
In fondo a questa lunga storia in cui la verità si ingarbuglia di continuo con la finzione è possibile trarre alcune conclusioni:
1) Il Pizzagate è follia ma Anthony Weiner è una persona pericolosa. Non riportiamo le schermate dei suoi messaggi per rispetto dei lettori e della vittima, ma chiunque può cercarli e leggerli online (diciamo solo che viene usata la stessa parola di Trump, pussy, ma in ben altro rivoltante contesto). Essendo multi-recidivo, è difficile pensare che chi gli stava accanto fosse all’oscuro delle sue inclinazioni e ancora più difficile è capire perché, nonostante la separazione, dalla Habedin non siano arrivate parole di condanna ben più dure nei confronti del marito, neppure ora. Ci mettiamo nei panni dei genitori della ragazzina molestata, e rabbrividiamo.
2) Il motivo per cui i media Americani – e poi del resto del mondo – abbiano dato il risalto che hanno dato al grab them by the pussy ma abbiano trattato coi guanti lo scandalo-Weiner non ci è chiaro. Certo, Weiner non era candidato, ma qui non parliamo di una figura marginale, parliamo del marito della prima collaboratrice di quella che, proprio a detta di quei media, sarebbe stata la futura Presidente degli Stati Uniti. Si parla molto di fake news, ma il fenomeno delle fake news e della gente che rifiuta in blocco l’informazione tradizionale nasce anche e soprattutto da casi come questi, quando la stampa rinuncia sfacciatamente al suo ruolo super partes, utilizzando due pesi e due misure.
Pensate se Stephen Bannon, il primo collaboratore di Trump, avesse avuto un migliore amico o un fratello invischiato in un caso di pedofilia: sarebbe scoppiato il finimondo.
3) Allo stesso modo, ci sfugge completamente il perché negli Stati Uniti si abbia paura a parlare di pedofilia. Il caso dei 474 pedofili arrestati in una maxi operazione, che ha portato al salvataggio di 28 bambini tenuti prigionieri, è – a naso – un fatto clamoroso, che dovrebbe meritarsi le aperture di tutti i giornali e telegiornali per giorni. Invece è passato completamente sotto silenzio – all’estero, compresa l’Italia, nessuno ne ha parlato – al punto che chi scrive ha avuto il dubbio si trattasse di una notizia falsa. E invece la notizia è vera, dopo un paio di giorni è arrivato anche questo lancio dell’ABC: ma di nuovo, siamo nel campo della cronaca locale, o statale, mentre 474 pedofili arrestati tutti insieme, nel solo Stato della California, sono un qualcosa di molto serio.
Anche qui, nel momento in cui la stampa fallisce nella sua missione di informare – per una ragione che stavolta ci sfugge per intero – si aprono quelle voragini dove puntualmente si insinuano i complottisti.
4) L’arroganza, l’incapacità e la disonestà intellettuale dei Democratici Americani è qualcosa di altrettanto sconvolgente. Dell’attitudine criminale di Weiner tutti sapevano, eppure nessuno ha ritenuto opportuno far nulla, fino a quando non si era già trascesi nel paradosso totale, quello per cui da un lato si criticava Trump per essere maschilista e dall’altro la prima collaboratrice di Hillary – con un posto di primissimo piano assicurato in caso di vittoria – era felicemente sposata con un tizio indagato per pedofilia. A tal punto si erano convinti di poter controllare la Stampa Americana – quella stessa Stampa che in centinaia di libri e di film avevamo imparato a venerare – che si è andati avanti tranquilli, facendo finta di niente, certi che tanto nessuno avrebbe fiatato.
5) Qualunque critica ai Democratici non significa che allora il resto vada automaticamente bene. A quasi cinquant’anni dal Mazzola-Rivera sarebbe ora che si uscisse dal manicheismo per cui se critico ferocemente A allora B è un Santo e viceversa. Il divieto di Trump sull’Immigrazione, che ha tenuto fuori dal Paese professori, medici e studenti Universitari resta una legge giuridicamente assurda e politicamente razzista (e razziale) – e questo a prescindere da quello che l’inchiesta su Weiner ha scoperto o scoprirà. Piuttosto, vale la pena ribadire come Trump andasse criticato ai tempi sui contenuti, sulle politiche, e non certo sulle sue boutade studiate a tavolino. Concentrandosi solo sulle sue provocazioni, e contemporaneamente chiudendo tutti e due gli occhi davanti alle malefatte dei Democratici – che, ricordiamolo, hanno anche alterato le elezioni primarie a svantaggio di Bernie Sanders – hanno prodotto una situazione di chaos come non se vedevano dall’inizio dal Novecento.
I cui effetti nefasti abbiamo appena cominciato a scoprirli.
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