Partiti e politici
Perché la vittoria di Corbyn è un pessimo segnale per l’Europa
Le sfide che oggi l’Europa deve affrontare sono delicatissime: mercati emergenti molto competitivi, i trattati commerciali strategici da scrivere, le disuguaglianze economiche che aumentano, le molte guerre vicino ai suoi confini, i flussi migratori di portata epocale, un’Unione politica tutta da costruire, i valori occidentali da difendere, la bagarre del prezzo del petrolio, le smanie imperialiste di Putin. Il modo in cui l’Europa governerà questi fenomeni dirà molto sul suo futuro come soggetto politico unitario.
La triste realtà è che di fronte a tutto ciò il Vecchio Continente è cieco e impotente. La politica a livello europeo, quando non è amministrazione burocratica del quotidiano, è vuoto populismo. A livello dei singoli Stati dell’Unione, quando non è vuoto populismo, non riesce ad incidere su questi problemi poichè si ragiona senza una visione europea. Spesso, come mostrano i tatticismi della minoranza bersaniana, manca anche una visione nazionale.
Ma non si dica che la cecità della politica deriva dal montare dei populismi, come molti sembrano pensare scaricando su altri gli oneri delle loro debolezze. Anzi, il sorgere dei populismi, purtroppo, è l’unico fenomeno politico europeo rilevante. Tuttavia è un fenomeno che decreta la mancanza della politica intesa in un certo modo, quella “di professione” direbbe Max Weber, als Beruf. Quella politica che guarda in faccia la realtà e si impegna nell’analisi seria dei problemi e nell’elaborazione di prospettive di lungo termine; che ha la capacità di decisioni coraggiose e, perchè no, impopolari.
Quindi è l’assenza della politica che rende possibili i vari populismi. Dopotutto, anch’essi sono parte dell’agone politico e svolgono il loro sporco mestiere: speculare politicamente sulle paure e le difficoltà della gente. Riempire il vuoto politico.
La vittoria di Corbyn alle primarie del Labour Party è totalmente dentro questa storia della debolezza della politica (nel caso specifico debolezza della sinistra) che non riesce a interpretare il suo ruolo di guida. Corbyn si è giocato l’asso nella manica che tutti i politici hanno oggi a disposizione: cavalcare lo scontento lanciando promesse e facili slogan che certe contingenze hanno reso persuasivamente efficaci. Lo ha fatto parlando un linguaggio accondiscendente che rassicura; rispolverando qualche bella parola socialista in grado di emozionare vecchi e giovani; arrivando al primo question time con Cameron con una lista di domande giunte direttamente dal web, tanto per chiarire che anche lui è un portavoce del popolo; non cantando l’Inno inglese in onore del 75esimo anniversario della Battaglia d’Inghilterra.
Lo ha fatto sulla base di queste rivoluzionarie idee: nazionalizzare le industrie energetiche; aumentare le tasse sul lavoro e sulla richezza; agevolare massicci investimenti pubblici; aumentare il numero delle donne al governo; sospendere qualsiasi intervento militare; uscire dalla NATO perché gli USA sono un nemico e non un alleato; iniziare il disarmo nucleare. Inoltre parla con toni vagamente nazionalisti e ideologicamente ambientalisti. Infine la ciliegina sulla torta: non condanna i militanti di Hezbollha e Hamas ma li definisce amici.
Facendo questo Corbyn si pone sulla stessa linea degli amici di Podemos, di Syriza, del M5s, del Front National, di Alternative für Deutschland. Non sto dicendo che questi partiti siano tutti assimilabili (tra quelli citati ci sono forze di destra e altre di sinistra e sono certamente movimenti con storie diverse); ma certo è che presentano molte (troppe) assonanze: tutti sanno organizzare proteste prendendoci molti voti sopra; sanno sfruttare le paure e la pancia dell’elettorato; sanno parlare un linguaggio che è solo ideologia e populismo. Inoltre, nonostante spesso siano agli antipodi, propongono le stesse ricette anti-mercato, anti-america, anti-capitalismo, anti-europea, anti-euro, anti-immigrati, etc, etc, etc… Da questa visuale le novità politiche dell’Europa degli anni 2000 sono tutte banalmente e tristemente simili. Un’infelice mescolanza di nazionalismo, statalismo e anticapitalismo. Proprio quello che serve all’Europa insomma.
Complicato dire se, come hanno notato tanti commentatori, la vittoria di Corbyn equivalga ad un biglietto vincente della lotteria per i Tory. Risulta difficile immaginare una vittoria laburista alle prossime elezioni con un soggetto che si crede di realizzare un socialismo alla Chavez in Gran Bretagna. Ma le elezioni sono lontane e, come ha scritto giustamente oggi Tondelli, “nella politica la storia è diversa, più lunga: e si può anche accettare l’alta probabilità di perdere, domani, per seminare idee e rappresentanza che saranno maggioritarie o quantomeno decisive dopodomani”.
Ma cosa semina oggi Corbyn? Veramente le idee sopra esposte sono la chiave per governare questo momento storico? Quale cultura aspira di portare al governo?
Mi sembra che valga per Corbyn quello che Mark Mazower, docente di Storia alla Columbia, ha scritto sul NYT qualche tempo fa a proposito del duello politico Grecia-Germania. In quel contesto si trattava di un conflitto tra due mondi culturali: quello dello “student politics” di Tsipras e quello del morigerato ordoliberalismo del vecchio ministro delle finanze tedesco, ex delfino di Kohl, Wolfang Schäuble. Il primo imbevuto di attivismo universitario, retoriche da vulgata marxista, partecipazioni al G8 di Genova. Il secondo formatosi alla scuola di Walter Eucken, religioso sostenitore del principio della stabilità delle finanze pubbliche, rigorosamente protestante, divoratore dei libri dello storico Heinrich August Winkler, lettore di Popper, Burke e Proust. Abbiamo tutti visto la figuraccia fatta da Tsipras&Co.
In Inghilterra è accaduto qualcosa di simile. Le primarie sono state lo scontro tra due concezioni opposte di come si può essere di sinistra. Vince un pacifista, ambientalista, amico di Hezbollah. Un organizzatore di proteste. Uno che nel 1984 è stato arrestato nel corso di una protesta anti-apartheid davanti dall’ambasciata sudafricana. Perde la sinistra di governo della Terza-Via, confusa da un mondo che fatica a leggere ed incapace di parlare al suo popolo.
Beninteso: nulla contro le proteste, contro le manifestazioni, contro chi è contro. Anzi, viva iddio che esistano. Ma la cultura che si porta al governo non può essere quella della protesta di piazza. Non può mancare di realismo blaterando sulla pace nel mondo. Non può mancare di analisi e prospettiva chiudendosi nell’ideologia.
Inoltre la vittoria dell’ala radical-populista alle primarie del Labour Party potrebbe regalare alla Gran Bretagna un parlamento senza una opposizione seria. Questo non solo poichè la maggior parte dei parlamentari laburisti non vede di buon occhio le posizioni di Corbyn; ma sopratutto perchè, anche se si trovasse in parlamento un’unione sulle posizioni del leader, l’atteggiamento sarà quello del dissenso ideologico a prescindere.
Come tutti sanno, quando le opposizioni non fanno il loro lavoro in modo responsabile, è l’intera vita politica del paese a risentirne: il governo conservatore potrebbe essere portato a radicalizzare le sue visioni non temendo una sconfitta elettorale; un’opposizione ostinatamente antieuropeista come lo sono tutte le forze di sola protesta (anche se le opinioni di Corbyn a riguardo non sono chiare ma ci prendiamo il rischio di scommettere) potrebbe precludere la formazione del necessario consenso Tory-Labour a favore del ruolo che la Gran Bretagna deve giocare con l’Europa, e non contro di essa; inolte, quando un governo è stretto nella morsa dei populismi (nel caso inglese Corbyn e Ukip), rischia spesso di perdere la via del buon senso per rincorrere i voti “rubati” dai populisti. Tende insomma a “populizzarsi”.
La vittoria di Corbyn è l’ennesimo segno della degenerazione populista della politica in Europa. Non è un bene che le sirene populiste continuino ad aumetare i loro consensi. Non è bene per la Gran Bretagna e quindi nemmeno per l’Europa. E’ il segno di una politica che abdica ai propri doveri. Una politica sempre più debole che si trova in balia di fenomeni che non sembra in grado di governare.
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