Partiti e politici

Perché abbiamo bisogno degli Invisibili in movimento di Aboubakar Soumahoro

10 Aprile 2021

“(…) erano davvero entrati nell’ordine della peste (…) Nessuno fra noi provava più grandi sentimenti (…) la peste aveva tolto a tutti la disposizione all’amore e all’amicizia. Perché l’amore richiede un po’ di futuro, e per noi ormai c’erano solo istanti”

Da quando siamo entrati nell’ordine della peste di cui parla lo scrittore Albert Camus viviamo in un continuo insta-gramma, una successione di istanti uno dopo l’altro, senza prospettiva di futuro. Da quando nel mondo è scoppiata la pandemia di coronavirus, sono tanti i pensatori – dal coreano Byung-chul Han al politologo italiano Marco Revelli – che hanno segnalato come questo grande evento globale non stia rappresentando che l’accelerazione di un processo di disumanizzazione in corso da tempo, di cui la politica è direttamente responsabile. “La politica ha perso l’immaginazione. È incapace di sentire sulla pelle la sofferenza di chi vive nella miseria concreta. Ci hanno fatto credere che sogni e bisogni si risolvono interamente nella dimensione individuale dell’esistenza, e il risultato è che oggi non riusciamo più ad avvertire come nostre le sofferenze degli altri. Né tantomeno le aspirazioni, i sogni degli altri.” È con queste parole che Aboubakar Soumahoro spiega, al telefono, alcune ragioni che lo hanno spinto a dare vita a un movimento politico candidato alle prossime elezioni nazionali. Il sindacalista, quarantenne nato e cresciuto in Costa d’Avorio – diventato un volto popolare per una fetta della società italiana grazie alla sua capacità comunicativa, che ha attirato l’attenzione di autori e giornalisti come Diego Bianchi e Marco Damilano – si è candidato ufficialmente a fine marzo, insieme ai suoi compagni e alle sue compagne della comunità di Invisibili in movimento, alle prossime elezioni politiche. Correrà per Montecitorio e per Palazzo Chigi, con l’ambizione di “scrivere noi stessi, nella prossima legislatura, le leggi che decidono della nostra vita. E farci carico noi, in prima persona, del nostro destino.”

Intervista di Diego Bianchi ad Aboubakar Soumahoro a Propaganda Live, 19 aprile 2019

 

Il programma pragmatico di questa futura lista elettorale è già in buona parte scritto e tocca tre pilastri fondamentali: la dignità del lavoro e di chi lavora – garantita con alcune misure pratiche come il reddito di base universale che sottrarrebbe la ricerca del lavoro “al ricatto della fame e dell’incertezza”; la dignità dell’abitare, svincolando le politiche abitative dalle feroci leggi del mercato; la ridefinizione di transizione ecologica in chiave non turbo-capitalistica come nelle intenzioni dell’attuale ministro, bensì di ripensamento, in termini di sostenibilità e di giustizia sociale, di tutte le più grandi filiere a cominciare da quella alimentare, per coniugare lavoro, ambiente e giustizia in una visione integrata. Tre questioni cruciali del nostro tempo, delle quali Soumahoro si è occupato ogni giorno, negli ultimi anni, da sindacalista, organizzando lotte e processi di organizzazione fra i braccianti agricoli del sud Italia, prima con l’USB e oggi con la Lega Braccianti. L’obiettivo è quello di “federare il mondo degli ultimi, delle persone che vivono in condizioni di povertà o di disabilità; dei braccianti agricoli e dei nuovi braccianti metropolitani, come i rider; delle partite IVA dei lavoratori dello spettacolo; dei pensionati che non arrivano a fine mese o sono stanchi perché si occupano dei nipoti a tempo pieno, e delle donne che vivono in continuo stato di precarietà”. Soggetti che, secondo Soumahoro, non hanno bisogno tanto di qualcuno che parli per loro, quanto di incontrarsi, parlarsi direttamente e prendere forza gli uni dagli altri. Con questo spirito, per esempio, la Lega Braccianti ha aperto qualche giorno fa uno sportello itinerante a Roma dove si propone di incontrare, informare e aiutare i rider che ogni giorno, in sella alla bici, sfrecciano per consegnare il cibo a chi è a casa. “Noi rider, pagati a cottimo per ogni consegna che facciamo, rappresentiamo il paradigma di un modo di lavorare che, se non si fa attenzione, diventerà il modello che le aziende pretenderanno di applicare a tutto”, mi spiega Antonello Badessi di Riders Union Roma. “Perché chi impedisce di pagare un impiegato a pratica risolta, invece che come lavoratore dipendente?”. Già oggi è così per moltissimi lavori di stampo intellettuale o creativo: la logica della gig economy svilisce il lavoro e pretende di retribuire, a cifre spesso da fame, solo la prestazione finale. Una deriva che per alcune professioni legate al mondo della comunicazione – per esempio quella dei traduttori – è evidente, e oggetto di denuncia, già da molto tempo.

Riders il 26 marzo 2021 (fonte: Riders Union, Roma)

Questi soggetti protagonisti di nuove forme di sfruttamento sono però soggetti protagonisti anche di nuove forme di lotta, fra le più significative del momento. Lo sciopero del 26 marzo scorso portato avanti dai rider “in oltre 30 città italiane”, mi spiega Badessi, ha rappresentato “un passo in avanti importante per noi, perché grazie alla partecipazione di molti consumatori la nostra battaglia per la dignità sta emergendo come una battaglia di tutti. Siamo solidali con i braccianti agricoli e ci sentiamo vicini anche ai lavoratori di Amazon” – a loro volta protagonisti del loro primo sciopero nazionale il 22 marzo scorso – “perché le nostre condizioni, per quanto fra loro diverse, rimandano a nuovi modelli di profitto e di sfruttamento che interessano la vita di tutti”. Per questa ragione l’idea federativa di Soumahoro può trovare un ampio bacino di risposta. “La politica attuale vive una crisi di rappresentanza” ed è evidente, per esempio, nelle tribolazioni vissute da una realtà come quella del Partito Democratico, piegato dall’autoreferenzialità correntizia perché innanzitutto non attivo nella rappresentanza reale di settori di società ben identificati. “Noi intendiamo rappresentare noi stessi”, spiega Soumahoro, “cioè milioni di persone, quelle che vivono in stato di povertà assoluta o in condizioni di precarietà: il nostro scopo è dare vita a un percorso che passi per agorà popolari nelle diverse città, per arrivare a una grande assemblea generale a settembre, attraverso la quale favorire l’emersione di esperienze e soggetti desiderosi di un riscatto nella propria vita”. “In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il Principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi nulla. Poi nulla. Poi ancora nulla. Poi, infine, vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito.” I cafoni di cui parlava Ignazio Silone in Fontamara, i braccianti e i lavoratori della terra, venivano dopo il nulla e l’ancora nulla; ma lì alla coda dell’umanità trovarono uomini come Giuseppe Di Vittorio, uno dei punti di riferimento umani e politici di Soumahoro. Fa sorridere di speranza, ma anche un po’ di amarezza, pensare che doveva arrivare un giovane venuto dalla Costa D’Avorio, colto e ispirato, determinato e fiero di stare fra gli ultimi, per vedere riscattato il profondo valore umano e politico dell’opera sindacale di un rivoluzionario meridionale.

La CGIL tempo fa ha accusato Soumahoro di appropriazione culturale – ironia dei tempi – della figura di Di Vittorio, che fu segretario del grande sindacato. Eppure, c’è da scommettere che sia stato proprio grazie a Soumahoro, che dedica molte pagine e riflessioni al bracciante pugliese nel suo libro Umanità in rivolta, che migliaia di giovani hanno scoperto chi fosse quest’uomo così importante nella storia d’Italia. Di Vittorio fu uno dei tanti rivoluzionari che – come lo stesso Ignazio Silone – in questo Paese pagarono, in un modo o in un altro, lo scotto di essersi scontrati con Togliatti e con lo stalinismo. Oggi Soumahoro e gli Invisibili in movimento rendono giustizia e riportano in vita una tradizione che unisce in un sol filo Di Vittorio, Silone, Camus, e una concezione di sindacalismo e di rivolta che “si appoggia inizialmente alle realtà più concrete, la professione, il villaggio, in cui traspaiono l’essere, il cuore vivo delle cose e degli uomini”, scriveva il filosofo francese. Quelle realtà concrete dalle quali, al momento, la politica tradizionale – anche sindacale – appare alienata, dissociata.

Manifestazione a Foggia, 8 marzo 2021 (fonte: Lega Braccianti)

Soumahoro è consapevole dell’ambizione del suo progetto. “Siamo folli in coscienza”, ha dichiarato di recente in una conferenza stampa. D’altro canto, “abbiamo provato in passato a bussare alle porte dei palazzi”, mi ricorda. Per esempio a luglio scorso, quando con la Lega Braccianti si è fatto portavoce di una proposta organica di ripensamento della filiera del cibo presso l’allora governo Conte 2. “Non ci hanno ascoltato e non ci hanno capito, perché sono disconnessi sentimentalmente dalla realtà”. Tornano in mente queste sue parole dopo che le dichiarazioni rilasciate dal presidente del Consiglio Mario Draghi. In occasione del suo primo viaggio estero per ragioni di Stato, Draghi ha espresso “soddisfazione per quel che la Libia fa per i salvataggi”. Ha chiamato salvataggi quelli che andrebbero definiti, correttamente, riacciuffamenti: la Guardia Costiera libica viene pagata e addestrata dall’Italia per riportare indietro donne e uomini in fuga dalla prigionia dei campi lager, dove vengono rinchiusi per impedire che possano raggiungere i territori dell’Europa.

Come si fa a definire “salvataggio” la caccia all’uomo per privarlo del suo sogno di libertà? Come si fa a chiamare “centri di accoglienza”, come ha fatto di recente l’ex ministro Marco Minniti, i centri di detenzione per persone accusate di nessun reato? Non c’è spiegazione più semplice, e al tempo stesso più ficcante e dolorosa, che quella fornita da Soumahoro: la politica soffre di una forma di dissociazione e alienazione; pur essendo tuttora formalmente democratica, ha abdicato a poteri e leggi disumane. Viviamo, da ben prima di questa pandemia, nell’ordine della peste. Possono anzi devono spostarsi le merci; possono anzi devono spostarsi i capitali, e se rimane bloccata una nave container per qualche giorno il mondo intero va in apprensione, seguendone le vicende minuto per minuto. Le persone, però, non possono muoversi liberamente. Per impedire loro di raggiungere i nostri territori va bene anche cooperare con satrapi neo-mussoliniani come Recep Tayyip Erdoğan, “dittatori di cui però si ha bisogno” e con cui bisogna “cooperare”, ha detto Draghi. Di contro, la cooperazione internazionale attuata dalle ong per salvare le vite delle persone viene criminalizzata. E i naufragi di migranti nel nostro mare suscitano, quando non sguaiate grida d’odio, glaciale indifferenza; quel principio di disumanità che è già in sé violenza, come spesso ha dichiarato la senatrice Liliana Segre.

La possibilità che ci sia nel prossimo Parlamento qualcuno che, con idee chiare e un programma preciso, si prenda in carico la necessità di riumanizzare la nostra società pare una delle notizie più ricche di speranza di questi tempi. Non siamo di fronte a un possibile Obama italiano. Siamo di fronte a un allievo di Di Vittorio arrivato dall’Africa per proseguirne il cammino nel XXI secolo, che si propone di organizzare “il solito sconosciuto”: quegli Invisibili e quelle Invisibili oggi privati della speranza in un futuro migliore. Affinché questo progetto acquisisca corpo c’è bisogno che emergano nel suo seno altre personalità capaci, come Soumahoro, di coniugare visione, cultura e pragmaticità. Questo processo di emersione contiene molte possibili insidie, in parte anche dovute alle scorie del populismo. Ma ciò che pare di grande interesse è che dopo almeno un ventennio in cui le generazioni più giovani si sono ritrovate schiacciate – nella tenaglia fra ansia competitiva meritocratica da un lato e rancore populista dall’altro –, finalmente possano trovare piena dignità i sentimenti e le aspirazioni di chi non sente di poter trovare, né di voler cercare, un posto nella società così com’è; perché non desidera vivere in una società disumanizzata, ma ritrovare quel “po’ di futuro” necessario per poter amare.
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In copertina, Aboubakar Soumahoro – Foto di Anna Adamo

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