Per capire Marine Le Pen partiamo dal 1789 (e da Jean-Marie)
L’istantaneità e l’eterogeneità dei dibattiti di carattere politico che conduciamo quotidianamente ci portano spesso, esperti o meno, ad appiattire tutto al presente. Prendiamo, per esempio, l’ascesa irresistibile ma del tutto imprevista di Donald Trump negli Stati Uniti: un fenomeno che nella quasi totalità dei casi il “commentatore collettivo” ha interpretato come un’esplosione di rabbia e indignazione nata dal nulla e nel giro di pochi mesi. L’analisi seria sul brodo di coltura che ha portato all’ascesa del “trumpismo” è stata spesso assente e tuttora tendiamo a guardare alla realtà americana attraverso il prisma rassicurante della mentalità “costiera” e del racconto degli autorevoli “giornaloni” liberal, i grandi sconfitti di questa tornata elettorale. Lo stesso errore rischia di essere commesso con le Presidenziali francesi, che vedono contrapposti il liberale filoeuropeista Emmanuel Macron e la “sovranista” di destra Marine Le Pen. Se l’ex Ministro dell’Economia è effettivamente comparso “dal nulla” con un movimento che ha attinto a piene mani dai delusi della presidenza Hollande, lo stesso non si può dire della pasionaria del Front National. Ma da dove viene Marine Le Pen? E che rapporto ha con la storia della destra francese?
A questa domanda cerca di dare una risposta l’appassionante saggio firmato da Marco Gervasoni, già co-autore con Simona Colarizi de “La tela di Penelope. Storia della Seconda Repubblica” (2012) e ora in libreria da alcuni mesi con “La Francia in nero”, edito da Marsilio. L’intento di Gervasoni è chiaro sin dal sottotitolo: presentare una “storia dell’estrema destra dalla Rivoluzione a Marine Le Pen”. Un filo nero, potremmo dire, che lo studioso afferra nel momento in cui la sollevazione popolare più famosa al mondo scuote dalle fondamenta l’ordine stabilito da secoli e che viene poi seguito nel suo dipanarsi da Napoleone Bonaparte a Napoleone III, dalla Francia delle due guerre mondiali alla Quinta Repubblica fondata dal Generale De Gaulle negli anni Sessanta. Quella stessa Quinta Repubblica che assiste oggi ad uno scontro inedito per la conquista dell’Eliseo tra due candidati che hanno condannato alla marginalità gli sfidanti dei partiti tradizionali, socialisti e gollisti, declinando ciascuno a proprio modo una vocazione anti-sistema che mira a dare una scossa alla Francia “ingessata” degli ultimi anni. Il maggior pregio del libro di Gervasoni è proprio la capacità di inserire i fatti degli ultimi mesi in una storia ricca e tormentata come quella della Francia: una boccata d’ossigeno per tutti coloro che vogliono scavare sotto la superficie di termini diventati ormai passe-partout nel dibattito mediatico, a partire da “populismo”. È sulla “lunga durata” che Gervasoni, da storico, vuole innanzitutto attirare l’attenzione: il Front National di Marine Le Pen è infatti “radicato in pianta stabile nel sistema politico francese almeno da trent’anni”, ammonisce nell’introduzione. Una cultura politica “robusta” come il lepenismo, continua Gervasoni, può essere compresa solo ripercorrendo quel filo nero proprio a partire dal 1789, il momento in cui nasce l’idea stessa di politica come azione in grado di cambiare il corso della Storia e di trasformare il presente in nome di un’idea di progresso. È nel luglio del 1789 che emerge per la prima volta la contrapposizione “sinistra-destra” ed è in quelle giornate che affonda le radici la destra francese: la Controrivoluzione (vandeana e non solo), il monarchismo, il fugace tentativo di presa del potere del Generale Boulanger, il dramma della vicenda Dreyfus, le leghe eversive tra le due guerre, il collaborazionismo di Vichy, il poujadismo, il trauma della ritirata dall’Algeria, l’avvento di De Gaulle e naturalmente la parabola di Jean-Marie Le Pen, padre di Marine. Un viaggio nel passato impossibile da condensare in poche righe, ma che consegna al lettore una chiave di lettura utilissima per decrittare meglio il presente: se dovessimo identificare un sentimento comune che caratterizza tutta la storia della destra francese questo non è né il nazionalismo, né il cattolicesimo né l’avversione per la democrazia. Il topos più ricorrente è la contrapposizione con una certa forma di modernità individualista e slegata dalla vecchia idea di comunità, dunque quella capitalistica e borghese. Un’avversione che parte dalle accuse di fine Settecento contro i presunti “finanzieri” rei di aver provocato la Rivoluzione e che arriva sino alla lotta serrata e senza sconti contro la “mondializzazione” condotta oggi da Marine Le Pen.
La parte più interessante del libro è sicuramente quella in cui, prima sottotraccia poi da protagonista assoluto, emerge la figura di Jean-Marie Le Pen. Lo incontriamo per la prima volta come il più giovane deputato dell’Assemblea Nazionale nel 1956, a 28 anni, in rappresentanza del movimento fondato dal negoziante Pierre Poujade contro il “sistema dei partiti”. La versione francese de L’Uomo Qualunque italiano e, secondo gli storici, il primo vero movimento populista della storia. Lo ritroviamo, dopo la perdita dell’Algeria, impegnato nella campagna presidenziale della destra contraria a De Gaulle nel 1965, da braccio destro del candidato Tixier-Vignancour. Una campagna fallimentare ma modernissima, perché incentrata sulla figura del candidato e addirittura basata sull’azione di veri e propri “comitati TV”. Dopo la cesura del 1968 e il tramonto di De Gaulle, assistiamo alla nascita nel 1972 di un partito della destra sul modello dell’MSI italiano, che prende il nome di Front National. Il candidato alle Presidenziali del 1974 è il quarantenne Le Pen, che però conquista solo lo 0,3%. Un’umiliazione che non gli impedisce di lavorare negli anni successivi alla costruzione di un “partito del leader” (sul modello di quanto attuato da Chirac, Giscard d’Estaing, Mitterand), pronto per affrontare la sfida fondamentale delle Presidenziali, l’appuntamento cardine della politica francese. Negli anni della presidenza Mitterand Le Pen riesce dunque a rompere il silenzio dei media sul Front National e impara a “bucare lo schermo”: si toglie definitivamente la benda nera dall’occhio, assume un’aria volutamente gioviale e meno aggressiva, utilizza un linguaggio comprensibile a tutti, che si differenzia da quello dei “professionisti della politica”. Il resto è storia: le prime pressioni verso la “normalizzazione” a fine anni Ottanta spingono Le Pen a rispolverare il vecchio bagaglio dell’antisemitismo, con la celebre dichiarazione sulle camere a gas come “dettaglio storico”. Non una semplice gaffe, come spesso si dice, ma un segno della chiara intenzione di Le Pen di rigettare l’omologazione con la destra moderata e di mantenere l’autonomia del FN tramite una “demonizzazione” volutamente provocata. Il preludio delle Presidenziali del 1988, in cui Le Pen incassa il 14% dei consensi e non dà indicazioni di voto per il secondo turno, agevolando la riconferma del socialista Mitterand e la sconfitta di Chirac. Quello stesso Chirac che, da candidato della destra gollista, Le Pen affronta nel 2002 dopo essere passato, nello stupore (e nell’orrore) generale, al secondo turno delle Presidenziali. L’82% dei francesi vota in quell’occasione contro Le Pen, ricacciando il FN nella precedente condizione di marginalità, confermata anche nelle elezioni successive (2007) vinte dal gollista Sarkozy contro la socialista Royal. Marine Le Pen diventa vice presidente del partito proprio in quell’anno e lancia da subito un’Opa sul movimento fondato dal padre, diventandone presidente nel 2011. La priorità della nuova leader è opposta rispetto a quanto attuato dal padre negli anni Ottanta: la dédiabolisation del Front National, che deve diventare “un partito come gli altri” e che si accompagna, non a caso, al lancio di un movimento parallelo (il Rassemblement bleu marine) aperto a tutti coloro che condividono le posizioni di Marine ma non vogliono associare il proprio nome al Front National. Perdono di rilevanza i vecchi cavalli di battaglia del padre, come il legame con il regime di Vichy e la posizione anti-storica sull’Algeria francese, per non parlare dell’ingombrante ed esibito antisemitismo. È indubbiamente grazie al lavoro di Marine Le Pen che il FN è oggi pronto a combattere alla pari con gli altri partiti, senza fardelli ideologici o l’imbarazzo di membri troppo “impresentabili”.
Un lungo percorso, quello della destra francese, che culmina dunque nella sfida Macron-Le Pen. La donna che ambisce a rappresentare una nuova idea di Francia dopo aver cambiato il volto del suo partito, anche a costo di acconsentire all’espulsione del padre. Un processo di cambiamento che sconta ancora molti limiti (basta citare le accuse di antisemitismo e negazionismo che sono immediatamente piovute sul suo sostituto alla presidenza del FN), ma che rappresenta un ulteriore esempio del dilemma antico della “Francia in nero”: integrarsi nel sistema o continuare a combatterlo da fuori? Appuntamento al 7 maggio.
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