Partiti e politici

Non è la marcia su Roma, ma la Capitol Hill de Noantri

12 Ottobre 2021

Da sabato pomeriggio squadrismo e fascismo sono parole tornate prepotentemente nel linguaggio pubblico.

La scena dell’assalto alla sede della CGIL di Roma e poi gli insulti al sindacato a proposito del “Green Card” al grido di “venduti”, tuttavia, chiedono che si faccia un’analisi più attenta, comunque meno precipitosa di un fenomeno che, come è proprio di questi tempi, può crescere velocemente e per certi aspetti, se non travolgerci, certo sorprenderci.

Le scene che abbiamo visto appartengono alla galleria fotografica dell’Italia del 1920-1922? Per certi aspetti rientrano in quella narrazione (per esempio nella assunzione del sindacato come “nemico”). Ma credo sarebbe una risposta “consolatoria” come se il primo problema fosse identificare la matrice, per poi limitarsi a quella.

Lo dico in chiaro: quella fotografia contiene molti elementi e ridurli a uno solo andando a cercare il “Francesco Giunta” di turno (il ras locale che il 13 luglio 1920, a Trieste ordina l’assalto e l’incendio del “Narodni dom”, la casa di cultura slovena) è troppo semplicistico. Forse si potrebbe mettere nel conto delle scene di riferimento Capitol Hill, 6 gennaio 2021 ovvero QAnon, almeno per analogie degli slogan. Non mi persuade completamente, anche se mi convince di più.

Per certi aspetti significa anche «consegnare» una parte di quella protesta ad essere rappresentata da chi ha fatto l’assalto.

Dunque, il primo problema che oggi una sinistra e più estesamente il mondo democratico radicale ha di fronte è quello di capire che in mezzo a quella realtà c’era anche un pezzo del “suo” popolo. Quel segmento ha preso da tempo le distanze da una cultura della nostra politica, da cui non si sente tutelata, e da un sistema della rappresentanza del lavoro da cui non si sente protetta.

Tuttavia sarebbe erroneo e inconcludente fermarsi qui, così come credere che la soluzione a quelle scene sia la messa fuori legge di un attore politico (in questo caso “Forza Nuova”).

Tutte le scelte volte allo scioglimento di organizzazioni politiche hanno avuto l’effetto non di cancellare un fenomeno, ma di riposizionarlo. Può anche essere che questa volta imboccare una strada di questo tipo includa l’apertura di vari bilanci.

Ne indico due. Non ho risposte, ma solo domande.

Prima questione. Credo che il Ministero degli Interni debba interrogarsi sul perché le forze dell’ordine, indipendentemente dal numero, abbiamo risposto comunque in maniera debole o “non convinta”? Forse c’è un esame che il mondo di chi deve tutelare l’ordine deve farsi. Non c’è niente di eversivo in questa domanda, perché in democrazia chiedere per sapere non è “sovversivo”.

Seconda questione: gli attori sociali e politici presenti in piazza sono solo di una parte politica? Non indicano anche un deficit della politica a rappresentarli?

Per questo, a mio avviso, lo scioglimento di per sé non è una soluzione anche se è una risposta capace forse di comunicare qualcosa cui la politica finora non ha dato risposte.

L’adozione di quella via, che di per sé non considero fuori luogo, ha un difetto: in forza della legislazione vigente in Italia, quella soluzione tende a “chiudere la riflessione” perché il provvedimento è anche la diagnosi della natura politica di un fenomeno. Quel fenomeno a me pare più complesso, afferente anche ad altre famiglie e contenente l’eco di altre storie che hanno riempito la storia dell’Italia repubblicana.

Più direttamente: quelle storie non hanno molto a che vedere con la diade fascismo/antifascismo, bensì con quella “garantiti” VS “non garantiti”, rappresentati/esclusi, e questo secondo cluster implica una visione più complicata

Se andassimo indietro negli anni credo non sarebbe improprio individuare la matrice generativa di questa esclusione contemporanea nel processo che a metà anni ’70 promette la rappresentanza degli interessi e poi non li mantiene, in misto di vittimismo rispetto allo Stato, e di auto-narrazione di cittadinanza di “Serie B”

Quella storia ha vari momenti nella storia sociale dell’Italia tra anni ’60 e anni ’70 che è dichiaratamente di destra o di cui la destra si fa carico esplicitamente (per esempio la mobilitazione per “Reggio capoluogo” nell’estate 1970, in cui la destra sociale si intesta un movimento di riscatto intorno alla questione della marginalizzazione del Sud, tra 1971 e 1972 sarà proprio il Sindacato a rivendicare come sensibilità di non lasciare il “Sud” indietro. Una sensibilità che, è bene ricordarlo, nasceva da un vuoto di proposta a sinistra su un’emergenza economica, politica e sociale a cui la destra aveva dato volto).

Ma ha anche momenti in cui è la sinistra a trovarsi lacerata alla sua sinistra, superata, criticata e messa in discussione sui suoi valori, sulle sue discussioni a una realtà sociale che chiede rappresentanza politica e culturale che la sinistra non ha né la chiarezza, né la forza di dare.

È quello che accade con il movimento ’77 in Italia: un movimento che ha il suo fulcro nel luogo simbolico e storicamente più solido della sinistra italiana – Bologna – più estesamente l’Emilia rossa che si presenta come ridicolizzazione della liturgia politica della sinistra politica  sindacale, che coglie in Luciano Lama, segretario della Cgil, “il nemico” ma che soprattutto fa della indisponibilità a pagare il prezzo della crisi e della incapacità di trovare risposte alla crisi economica, sociale e culturale della modernizzazione italiana.

In quel processo un pezzo significativo di quella che poi sarà la “nuova destra” tra fine anni ’70 e inizio anni ’80, capisce che ha possibilità di spazio. Non emerge come forza, ma ha chiaro che è di fronte a una crisi altrui in cui può svolgere un ruolo. La sua posizione è totalmente marginale in quel processo, ma ciò nondimeno quella crisi è anche terreno di coltura per dare forma e discorso alla scrittura del suo profilo culturale in cui anti-industria, non riconoscimento delle regole, adesione alla autorappresentazione come “non garantiti” costituiscono tasselli interessanti e appropriabili in una dinamica di crisi culturale della sinistra.

Sinistra che da quel confronto uscirà con la consapevolezza che la sua cultura, i suoi nomi di riferimento il suo linguaggio, i suoi simboli sono inadeguati. Se avrà la fantasia di andare a cercare altre suggestioni di sinistra e di cultura radicale – in gran parte nel mondo anglo-sassone, nelle socialdemocrazia tedesca, o nel “pensiero verde” – proverà a costruire nuovi percorsi. Se invece si attaccherà all’“usato-sicuro” della cultura della sinistra italiana del’900, non percorrerà molta strada. In quel caso è interessante vedere quale pensiero decisamente di destra inizia a essere presente nel linguaggio politico e culturale italiano, a sinistra anche da parte di coloro che chiedono il rinnovamento Sono gli anni in cui in Italia arrivano come rifondatori della politica Carl Schmitt, ma anche Leo Strauss, Martin Heidegger, l’elogio del “pensiero debole”. Insieme il pensiero della differenza che se in sé può anche essere indifferente, in quel misto risulta l’imbozzolamento nel proprio “particolare” e lo smarrimento di una preoccupazione che miri alla rifondazione delle categorie, di parole chiave, e di valori, di un interesse generale da ridefinire che invece cresce “a tentoni”.

In quello smarrimento quella che poteva essere un’occasione per ripensare forme della rappresentanza, forme dell’azione politica, sensibilità a definire nuovi paradigmi della politica si perdono e si rifugiano o nel culti dell’ “io” o nel disincanto.

Nel frattempo la frammentarietà sociale cresce. La nuova crisi travolge un equilibrio fragile e quaranta anni dopo, alla fine di un ciclo ci ritroviamo di fronte a quella stessa spaccatura tra inclusi (“garantiti”) e “esclusi (“non garantiti”). Questa volta in assenza di una capacità di rappresentare progetto a sinistra, per smarrimento dell’agenzia politica sospesa tra nostalgia del partito politico di massa (come se il contenitore, meglio l’involucro, fosse in grado di produrre di per sé contenuto) e non lettura della trasformazione.

In questo quadro c’è la possibilità di un’egemonia a destra laddove qualcuno raccoglie le parole, mentre a sinistra manca l’offerta.

Si può anche sostenere la messa fuori legge. Poi il problema è: il giorno dopo che si fa?

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.