Meloni e l’eterno ritorno “dalla parte del torto”, sperando di avere ragione

22 Luglio 2024

È come una calamita. Una stella polare che ha incorporato nella sua anima di donna tutta politica, che alla sua parte politica appartiene integralmente fin da adolescente. Nel mezzo delle burrasche, quando la marea delle èlite internazionali e nazionali la vorrebbe fare l’utlimo e definitivo passo verso l’approdo sicuro di un conservatorismo pienamente istituzionale, Giorgia Meloni scarta e si siede dal lato opposto. Lo ha fatto guidando la sua maggioranza parlamentare in Italia a votare no alla riforma del MES, lo scorso dicembre. Lo ha fatto, soprattutto, la scorsa settimana mettendo il suo folto gruppo parlamentare europeo all’opposizione della seconda Commissione presieduta da Ursula von der Layen, fuori da un perimetro di maggioranza che ha serrato le fila e messo insieme anime diversissime tra di loro. La presidente del Consiglio si è detta contraria nel merito e nel metodo, ha raccontato come decisivo il fatto che ci siano anche i verdi, in maggioranza. Sicuramente ha contato il fatto che, a dispetto di quanto da lei creduto e annunciato, la Commissione von der Layen non aveva bisogno dei suoi voti, per esistere. Ma c’è da credere che, da qualche parte, questa decisione fosse già presa, in origine: un po’ perchè somiglia all’antropologia delle origini, e un po’ perchè la scommessa politica della presidente punta forte sul logoramento di questa Europa, sia a livello di opinione pubblica sia per quel che riguarda le relazioni internazionali.

Le settimana che ci lasciamo alle spalle e quelle che iniziano, del resto, sono tutte illuminate dal fatto politico per eccellenza e dalle sue ricadute a lungo raggio e a largo spettro. Parliamo dell’inevitabile e tardiva rinuncia alla ricandidatura da parte del presidente uscente Joe Biden. Salvo inversioni di rotta della storia sulle quali nessuno oggi scommetterebbe, pare di essere di fronte al prequel di un film che sembrava scontato comunque, e che ha per soggetto la seconda presidenza statunitense di Donald Trump. Un evento destinato a cambiare nettamente la rotta globale su molte questioni. Dal contenimento degli effetti nefasti della crisi ambientale alla guerra di Russia e Ucraina, dalla funzione e attività della Nato alla questione mediorientale, fino alle guerre – si spera solo commerciali – che Europa e Usa combattono con la Cina: tutti nodi che il pettine di Trump tratterà in modo decisamente diverso, più esplicitamente improntato a isolazionismo e interesse esclusivamente americano. Uno scenario nel quale anche il ruolo dell’Europa ragionevolmente rischia di uscire modificato, e che potrebbe spingere le istituzioni europee di fronte a un bivio: o fare davvero un salto di qualità sulla strada dell’integrazione anche in materia di politica estera, o fare esplodere le proprie contraddizioni interne dando ragione alle profezie non disinteressate degli euro-scettici. È probabilmente questa seconda scommessa quella che ha convinto di più Giorgia Meloni. Che sicuramente temeva il cannoneggiamento interno di Matteo Salvini, ma che soprattutto crede in un mondo nuovo che assomiglia all’antico, nel quale poter fare valere sui tavoli di Washington la propria distanza dalle stanze dei bottoni di Bruxelles. Sperando domani di essere meno sola e potendo contare – magari – sulla compagnia di Le Pen, che punta a guidare il più importante paese europeo nel corso di questa legislatura europea.

Sempre guardando avanti, e scrutando nella sfera di cristallo del consenso popolare, Meloni ha probabilmente immaginato che mettersi al tavolo di chi è maggioranza in Europa senza poter realmente incidere sulle politiche che da lassù precipitano quaggiù, fosse un rischio più che un’opportunità. Si sarebbe trovata a non poter dare la colpa a nessuno, quando nuovi vincoli ambientali venissiro approvati colpendo la mobilità e l’industria dei cittadini europei e italiani. A non potersi muovere in maniera coerentemente critica tutti i prossimi rifinanziamenti del sostegno a Kiev contro Putin, che nella popolazione italiana e nel suo elettorato in particolare è percepito come un costoso accanimento terapeutico. A non potersi dichiarare capa delle vittime quando i nuovi meccanismi di stabilità obbligheranno – e sarà molto presto – a stringere ulteriormente i cordoni della borsa. A non poter alzare davvero la voce quando, sull’immigrazione, si continuerà a parlare in un modo e ad agire in un altro. Respinta con perdite e mandata di nuovo nell’angolo degli estremisti euro-scettivi, Meloni ha potuto fare di necessità virtù, interpretando una parte che le viene congeniale, e cioè rappresentare l’opposizione.

Per la maggioranza degli analisti liberal e progressisti italiani ha commesso un errore, e ha ceduto, infine, all’immaturità politica. Ha smentito anche i consigli che lei stessa sembrava avallare che arrivavano da intellettuali e giornalisti della sua area politica, che raccomandavano di mettersi in maggioranza come aveva sempre fatto, in Europa, Silvio Berlusconi. Lei, colpita dalla conventio ad excludendum, ha fatto di necessità virtù, e si è messa dal capo opposto. Gli esiti della sua scommessa richiederanno qualche anno per essere visti in pieno. Bisognerà vedere sorgere davvero la seconda stella di Trump, pesarne gli impatti, capire gli effetti di questo nuovo schema sulle opinioni pubbliche, e vedere se l’Italia di Giorgia le darà ragione o torto. E infine – o meglio: anzitutto – misurare quanto coincidono l’interesse di parte e l’interesse nazionale. I tre anni di legislatura che dovremmo avere davanti saranno anche il campo da gioco di queste scomesse e per le risposte a queste domande. Chi non lascia quasi sempre raddoppia.

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CAT: Partiti e politici

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