Partiti e politici
La svolta verde del Pd e l’ambientalismo di sinistra
Nel suo primo discorso da segretario del Pd, Nicola Zingaretti ha citato a sorpresa Greta Thunberg (la giovanissima attivista svedese che con i suoi “scioperi per il clima” ha risvegliato l’opinione pubblica europea sul tema del cambiamento climatico) e ha annunciato che parteciperà allo sciopero globale del 15 marzo.
Questa svolta verde è, al momento, il punto di discontinuità più significativo con la precedente gestione del partito, quella che sbeffeggiava con un ciaone i tredici milioni di elettori del referendum contro le trivellazioni in mare. Certo, la svolta è tutta da verificare: in effetti la scelta del neo-segretario di recarsi, come primo atto politico, a ribadire il sostegno del partito alla Tav sembra un segnale al Nord produttivo bramoso di grandi opere, in contraddizione con la nuova vocazione ambientalista. Ma è giusto essere ottimisti, perché è la prima volta che il climate change entra nell’agenda di un grande partito nel nostro Paese ed è importante che se ne faccia carico una forza che si dichiara di sinistra.
Infatti, sebbene la tutela dell’ambiente non abbia, in sé, alcuna connotazione politica, quando dal semplice attivismo civico si passa a integrarla in un programma di governo l’approccio non può essere che di sinistra: l’ecologia ha nel suo dna la considerazione della complessità dei sistemi e delle loro interazioni, per cui non le si addice la miopia dell’individualismo tipico di tutte le destre, sia liberiste che conservatrici. Inoltre, le sfide ambientali richiedono cambiamenti radicali negli stili di vita e nelle abitudini quotidiane e solo una forza politica attenta alle esigenze dei più deboli può trovare la strada per renderli accettabili alla maggioranza della società.
Un esempio lampante di questa necessità si è avuto in Francia, quando il governo ha pensato di innalzare le tasse sul gasolio per ridurre i consumi e quindi le emissioni di gas climalteranti: la misura ha scatenato la reazione dei gilet gialli, che protestavano perché i più penalizzati sarebbero stati i lavoratori poveri delle aree rurali, costretti a usare la propria vecchia auto diesel per recarsi al lavoro. L’approccio di destra al tema ambientale ha suggerito al presidente Macron di provare a modificare in senso positivo i comportamenti individuali attraverso il disincentivo fiscale e, come si è visto, non ha funzionato. L’attuale governo italiano ha commesso un errore simile prevedendo un cospicuo ecobonus per le nuove vetture meno inquinanti, generalmente molto costose, e una parallela ecotassa sulle nuove auto più inquinanti, di solito più economiche: il rischio è quello di fare uno sconto a chi può permettersi di spendere e di punire invece chi ha la sola colpa di non poterlo fare. Questa misura, combinata con le politiche di blocco del traffico per le vetture più vecchie e puzzone e di libera circolazione per le nuovissime (e carissime) ibride e elettriche, rischia di creare esasperazione negli strati più deboli della popolazione e renderli così nemici dell’ambiente.
Il pericolo di trasformare la battaglia contro il cambiamento climatico in una nuova sorgente di disuguaglianze è purtroppo attualissimo e proprio per questo è necessario affrontare la sfida con una visione di sinistra, che rispetti il principio della giustizia climatica– secondo il quale le conseguenze del riscaldamento globale innescato dai Paesi ricchi e industrializzati non devono ricadere sulle nazioni povere – declinandolo anche a livello nazionale: in ogni Paese, le azioni di contrasto alle emissioni climalteranti non devono danneggiare la parte più disagiata della popolazione.
Tali azioni non possono quindi limitarsi a una sbrigativa leva fiscale, che permette ai benestanti di infischiarsene pagando un po’ di più e mette invece in grosse difficoltà chi ha poca disponibilità economica: occorre offrire alternative di sistema, valide e accessibili a tutti. Anziché premiare l’acquisto di costose vetture elettriche (destinate magari a restare nel garage) e vietare la circolazione alle vecchie auto dei poveracci, lo Stato dovrebbe puntare sui combustibili carbon neutral e soprattutto implementare una mobilità pubblica sostenibile, economica ed efficiente per tutti; anziché tassare i combustibili per il riscaldamento domestico più inquinanti, spesso utilizzati dai meno abbienti, dovrebbe sostenere la riqualificazione energetica degli edifici; anziché aggravare con una carbon tax le merci di importazione a basso costo, che fino a qui hanno garantito una sopravvivenza dignitosa a tanti italiani a basso reddito, dovrebbe appoggiare le produzioni a filiera corta, e così via. Tutto ciò richiede di ampliare, anziché ridurre, il ruolo dello Stato nella vita economica del Paese e di investire ingenti risorse pubbliche non per abbassare le tasse, ma per aumentare i servizi ai cittadini: si tratta insomma di politiche di sinistra.
Auguriamoci che quello del Pd non sia solo greenwashing (ovvero una strategia comunicativa per darsi un’immagine ambientalista), ma il sincero proposito di affrontare la sfida più grande che l’umanità stessa si trova a fronteggiare, usando gli strumenti culturali della parte politica dalla quale questo partito proviene: sarebbe questa la novità più importante e più utile che il cambio di guida della nuova segreteria potrebbe regalarci.
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