Partiti e politici
La sfida vincente del centro-destra
Si è sottolineato spesso come i sondaggi possano portare a due evidenti anomalie nel comportamento degli attori politici: la “sondomania” e la “sondocrazia”. La prima distorsione può venir descritta come l’incapacità di molti decisori politici e sociali di prendere appunto decisioni rilevanti senza l’ausilio di una preventiva indagine demoscopica; la seconda è legata invece al perverso comportamento di chi si lascia guidare non già da scelte razionali, quanto dall’opinione pubblica, certificata dai risultati dei sondaggi.
Sondomania e sondocrazia sono dunque gli aspetti più evidenti del “bisogno” di un sondaggio, ma non è soltanto per questo che i risultati delle indagini demoscopiche sono (diventati) così rilevanti nelle società occidentali. La ragione più profonda della loro importanza è legata al fatto che senza sondaggi non sapremmo più chi siamo, quali siano le opinioni prevalenti nel nostro e negli altri paesi, quali i gusti degli utenti televisivi, il tasso di occupazione e di disoccupazione, la fiducia nelle istituzioni, nella politica e nei partiti, il giudizio sui più importanti leader politici e sul governo, la percezione generale dello stato economico attuale e le sue prospettive future, le intenzioni di voto. E molto, molto altro ancora. Per questi motivi i sondaggi ci sono costantemente utili, sebbene non siano privi di distorsioni, prima fra tutte il ben noto “errore di campionamento” (per chi volesse saperne di più, consiglierei il mio libro “Sondaggi”, in uscita da Laterza il mese prossimo).
Ma torniamo ai due concetti più sopra descritti. A volte effettivamente accade che il decisore non riesca, o non voglia, agire in certi modi per non “scontentare” l’opinione pubblica. Quando il Pd, ad esempio, decise qualche tempo fa di non insistere sullo “ius soli” per non inimicarsi quella parte di elettorato vicino al centro-destra, lo fece proprio in ragione di un calcolo elettorale. Ma, altre volte, il comportamento dei partiti pare essere condizionato più da scelte autonome che non dai risultati dei sondaggi: il caso più recente del ritiro della fiducia al governo Draghi, da parte di Movimento 5 stelle, Lega e Forza Italia, secondo modalità certo differenziate, ne è l’esempio più eclatante.
Secondo tutti i sondaggi disponibili, la grande maggioranza degli italiani dichiarava una elevata fiducia nei confronti di Mario Draghi e della sua compagine governativa, e non vedeva di buon occhio una fine anticipata della legislatura, in modo da permettere al Presidente del Consiglio di portare a compimento le misure che l’Europa ci chiedeva per finanziare il PNRR.
Ciononostante, quelle tre forze politiche presero decisioni in aperto contrasto con i desideri dell’opinione pubblica, in maniera in qualche modo coraggiosa, e ben sapendo che avrebbero forse corso dei rischi in termini di consenso elettorale, alle successive consultazioni politiche. Esistono ancora dunque, direi per fortuna, margini di manovra autonomi, giusti o sbagliati che siano, ma che evitano di farsi condizionare e consigliare da ciò pensa la maggioranza della popolazione.
E, a volte, queste scelte non paiono produrre esiti esiziali per chi le compie. Il caso delle odierne tendenze di voto ne è la prova lampante. La coalizione di centro-destra, che annovera tra le sue fila tre delle forze politiche “colpevoli” del ritiro della fiducia a Draghi (oltre a Fratelli d’Italia), non pare averne risentito quasi per nulla, nonostante il governo presieduto dall’ex-capo della BCE avesse livelli di consenso mai raggiunti da nessun precedente premier, vicino al 70% degli elettori.
Dunque, gli ultimi sondaggi disponibili (da sabato 10 settembre è in vigore il blackout della diffusione pubblica delle stime di voto) ci raccontano di una popolazione elettorale che pare premiare nettamente il centro-destra che, secondo i calcoli di numerosi analisti, potrebbe avvicinarsi alla fatidica quota di 2/3 dei seggi parlamentari, necessaria per legiferare anche su temi costituzionali senza il bisogno dell’approvazione referendaria. E sarebbe questa una prima volta in senso assoluto nella storia italiana.
In termini partitici, l’orientamento di voto prevalente, sempre secondo le ultime rilevazioni, vede una competizione tra Fratelli d’Italia (comunque in vantaggio) e il Partito Democratico per aggiudicarsi il primo posto tra le forze politiche; un’ulteriore competizione per il terzo posto tra Movimento 5 stelle e Lega, attualmente distaccata di un paio di punti; e infine, quella tra Forza Italia e il terzo polo di Calenda e Renzi per la quinta piazza. Questi sono i duelli da tenere sotto osservazione nel momento dello scrutinio, nella notte tra il 25 e il 26 settembre.
Ma chi vincerà alla fine? Per gli italiani non ci sono dubbi: interrogati a questo proposito, la stragrande maggioranza ritiene sicura una vittoria del centro-destra tra le coalizioni e di Giorgia Meloni tra i singoli partiti. Il cosiddetto indicatore “winner”, la profezia della popolazione elettorale, ha fornito in passato pronostici generalmente più precisi di quelli di molti politologi. Vedremo tra un paio di settimane se sarà così anche in questa occasione.
Università degli Studi di Milano
*Una precedente versione di questo articolo è uscita su Repubblica online giovedì 8 settembre
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