Partiti e politici

La rassicurante banalità dell’Italia di Giorgia Meloni

8 Dicembre 2022

Con l’avvicinarsi delle scadenze di fine anno, i giornali e gli intellettuali che sono o si sentono all’opposizione, in assenza di vera opposizione politica e parlamentare, hanno iniziato nei giorni scorsi ad alzare un po’ la temperatura della critica. L’appiglio lo fornisce qualche dubbio espresso dagli uffici tecnici di Bankitalia, o le perplessità sollevate preventivamente e senza particolare veemenza nelle sedi europee. Voci di critica piuttosto scolorite, in realtà, episodi di poco conto che increspano appena il mare stagnante in cui naviga come un torpedone malconcio il nostro paese, e comunque c’è la Prima della Scala per sedersi tutti insieme allo stesso palco. Niente a che vedere con l’inizio col botto della scorsa legislatura, nella quale il populismo non temperato di Salvini e del primo Di Maio davano ogni giorno l’occasione per preoccuparsi davvero, mentre Giuseppe Conte sembrava principalmente il notaio esecutore delle altrui volontà, per quanto distruttive. Niente a che vedere, per ora, neppure con le previsioni catastrofiche che volevano il governo Meloni in mano a fascisti di borgata, pronto ad assaltare immediatamente diritti civili acquisiti e a proteggere chi alza il braccio per fare il saluto romano e poi lo abbassa per picchiare migranti e omosessuali.

Il torpedone era e resta malconcio, oggi come allora, ma non sembra destinato a prendere fuoco a breve e il passato recente o le peggiori previsioni hanno lasciato posto dunque a una quieta banalità, fatta di senso comune propagandistico imperniato sulla nostalgia del tempo in cui c’era solo il contante, e della sensazione che Giorgia Meloni e il suo governo di maschi bianchi abbiano in mente un solo obiettivo realistico: sopravvivere, arrivare vivi alla primavera in cui le materie prime con cui produrre energia forse costeranno meno e – magari – perfino la guerra di Putin volgerà verso il termine. Un’emozione da poco, nel breve, controbilanciata però dalla prospettiva di comandare a lungo: cioè il contrario di quel che è capitato più o meno a tutti i politici che l’hanno preceduta ultimamente, soprattutti se nati nello stesso decennio. Per tirare conclusioni o anche per tracciare bilanci è ovviamente prestissimo: ma qualche linea di tendenza vale invece la pena di immaginarla, anche solo per vederla pienamente smentita nel tempo ormai biblico di un lustro.

Proprio perchè i cicli politici sono ormai stabilmente accelerati, è possibile derogare al rituale dei “cento giorni di governo” che una consolidata convenzione fissa come misura minima per stilare un bilancio, e per dire infine dove sta andando un esecutivo, a cominciare dal tasso di consenso popolare di cui gode. Peraltro, questo governo è il primo governo politico consacrato davvero dal voto dagli italiani da molti anni a questa parte, nel senso che governa chi era candidata a farlo, e con la coalizione che prometteva di sostenerla. Inoltre, essendo il primo governo nato da elezioni politiche convocate in autunno, è anche il primo che si confronta da neonato con la prova principale, cioè quella della legge di stabilità, ovvero della legge più importante che ogni anno viene emanata nel nostro paese perchè, alla fine dell’anno, decide come e dove andranno spese le risorse pubbliche – le tasse raccolte, i soldi risparmiati decidendo cosa tagliare – nell’anno successivo. Aspettare cento giorni, anche volendo, non sarebbe possibile. La sorte di un esame anticipato tocca proprio a Giorgia Meloni, la prima Prima Ministra donna della storia italiana, e la coincidenza è a suo modo crudele: perchè il test meno paziente, l’esame più frettoloso, tocca proprio a lei che è l’ultima arrivata e la prima donna venuta all’alta carica, nella stessa persona.

La legge di bilancio – che è il tavolo più importante – ancora non è approvata, ma una cosa possiamo dirla con certezza: non ci saranno decisioni rivoluzionarie, non ci saranno scoinvolgimenti, non ci sarà niente di eclatante. Del resto Meloni non fa che ripeterlo a tutti, che siano sindacati, imprenditori, professionisti, parlamentari e lobbisti: “di risorse non ce ne sono, se la capite poi possiamo parlare di tutto”. L’antifona recita dunque che scelte radicali non se ne possono fare perchè non ci sono soldi, e la voglia di litigare con l’Europa o di farsi giudicare malamente dai mercati è ancora meno. E quindi le scelte sostanziali del governo riguardano il dirottamento delle poche risorse che ci sono ad aiutare i cittadini a pagare le bollette, raschiando il fondo di vari barili sparpagliati nelle stanze della spesa pubblica. Tutti disseminati sul confine tra ciò che conta davvero e ciò che può sembrare importantissimo se a sostenerlo è un’attenta e capillare opera di propaganda. Prendiamo il taglio del reddito di cittadinanza “per chi può lavorare”, proposta tra le più importanti e mediaticamente celebrate. Il risparmio netto non è ancora chiarissimo, ma una stima ottimistica vede a regime un risparmio di due miliardi. Fa impressione dirlo, ma per il bilancio dello stato sono noccioline, e il valore della decisione – in assenza di un’analisi complessiva e seria dei costi e dei benifici – è puramente simbolica. Come, a ben guardare, sono le principali scelte raccontate all’opinione pubblica in queste prime settimane di governo. Vale per il tetto ai pagamenti cash aumentato, e per la misura gemella – annunciata e non ancora precisata – che vuole togliere sanzioni ai commerciani che non accettano pagamenti elettronici sotto una certa soglia. Vale per le frasi improbabili di ministri che richiamano al valore pedagogico dell’umiliazione, e per le polemiche random sui migranti che devono essere fatti sbarcare. Sono tutte, a ben guardare, armi rodatissime di distrazione che tengono lontana l’opinione pubblica – anche quella che si ritiene più avvertita – dai veri nodi delle questioni importanti. Sulle quali, questo governo e la sua presidente, hanno poche idee e poca voglia di rischiare e di prendere vere decisioni.

In questo quadro, e per concludere, a circa 50 giorni dalla nascita del governo Meloni, due elementi meritano forse di essere sottolineati. Il primo: le opposizioni sono tre – il Pd, i 5 Stelle, il centro di Azione e Italia Viva – eppure sembra non essercene alcuna. Forse perchè l’obiettivo principali di Conte e Calenda e Renzi è provare a mangiarsi il Pd, mentre quello del Pd è provare addirittura a sopravvivere, ma non sembra proprio che qualcuno laggiù si dia cura di spiegare agli italiani cosa non va nell’idea e della prassi d’Italia di Giorgia Meloni. Il secondo: gli investitori internazionali, i famigerati mercati, sempre raccontati come sul punto di mollare l’Italia e il suo debito abnorme al proprio destino, smettendo di comprare i titoli di stato, sembrano piuttosto tranquilli, basta guardare il termometro ormai a tutti noto dello spread. Ma se questo secondo effetto, al di là di ogni complottismo, si spiega principalmente col fatto che evidentemente il rischio di fallimento del paese non è aumentato in alcun modo agli occhi degli investitori, è del primo elemento che vale forse la pena di parlare.

Chi politicamente non si riconosce nel governo Meloni, sembra però tutto sommato accondiscendente rispetto a una situazione che non sa misurare. Forze di governo che sembrano rappresentare un mondo lontano dal presente cui dicono di ispirarsi sia il Pd che Calenda e Renzi, da un lato; e che attaccando frontalmente l’unica bandiera che i 5 Stelle potevano sventolare, cioè il reddito di cittadinanza, dall’altro. E che però, tutto sommato, stanno riuscendo – nonostante i mille limiti di un personale politico davvero consumato dal tempo – ad anestetizzare ogni possibile discorso serio con l’ausilio di piccoli narcotici fuori dal tempo, come se la vecchia Italia che crede davvero che col pos si rubino i soldi non possa essere fronteggiata con la tranquillità delle ragioni. Come se davvero si potesse pensare che la drammatica crisi demografica di un paese spopolato e senza teste, e senza braccia, sia meno problematica, nei suoi effetti, del reddito di cittadinanza. Come se, insomma, qualche frase da vecchio bar di provincia non consentisse – prima di meritarlo – lo sforzo di qualche argomento in più. È in questa banalità furba e rassicurante che sta, forse, la prima cifra di un’esperienza politica nuova, che ha un cuore antico e molto italiano. Quello di chi non si dimentica che tirare a campare è meglio, ma molto meglio, che tirare le cuoia.

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