Partiti e politici
La paura dello ius soli sta a destra, ma anche un po’ a sinistra
Diceva Luciano Violante, in uno dei tanti incontri per presentare il nostro libro sui 10 anni di Pd, che il partito difetta costantemente di capacità comunicativa. E citava in particolare l’esempio di questi giorni, del modo cioè in cui affronta il tema dello “ius soli”. Chiamarlo in questo modo, sottolineava, è fuorviante e controproducente. Lo ius soli è stato, come noto, per molto tempo e per molti paesi una sorta di incentivo per popolare aree parzialmente disabitate, per le nazioni in crescita, come gli stessi Stati Uniti o il Canada o l’America Latina. E oggi è rimasto tale, sebbene per molti paesi non ce ne sia più un reale motivo.
Chi nasce in un certo luogo, ha diritto di cittadinanza in quel luogo. Ovvio che, a sentirne parlare in questo modo, a molti dei nostri connazionali si drizzano le orecchie. Ma come, se una migrante che passa (per caso) per il nostro paese, fa nascere il suo bambino qui da noi, gli diamo perfino la cittadinanza? Ohibò, così non può essere! Questo, in estrema sintesi, il pensiero di molti italiani. E la colpa è del Partito Democratico, che incentiva simili reazioni.
Chiamiamola con il proprio nome, questa ipotesi legislativa, chiudeva Violante: lo “ius culturae”. Anche se in realtà la legge prevederebbe una parte anche di cosiddetto “ius soli temperato” (almeno un genitore deve essere regolare da almeno 5 anni), la parte più interessante della proposta riguarda il fatto che i bambini debbano essere nati in Italia o arrivati qui entro i 12 anni e abbiano frequentato almeno 5 anni e superato un intero ciclo scolastico (elementari o medie).
Raccontata così, e chiamandola anche con un altro nome, la storia cambia un po’, e le reazioni si fanno meno drastiche. Se allo ius soli generico la quota di italiani contraria è dell’ordine del 70-80%, le percentuali si abbassano significativamente se si parla (e si spiega cosa sia) di diritto su base culturale. Balotelli docet. Nessuno si sognerebbe mai di negare la nostra nazionalità al noto giocatore di calcio, anche se magari gli sta antipatico: si potrebbe paradossalmente chiamarlo “ius balotelli”, tanto per renderlo ancora più chiaro.
Ma se, come dicevo, le percentuali di dissenso si riducono, esse rimangono comunque parecchio elevate. Secondo alcuni sondaggi effettuati da Ipsos nell’ultimo mese, allo “ius soli temperato” e allo stesso “ius culturae” sono favorevoli, rispettivamente, poco meno e poco più della metà della popolazione. I dissensi maggiori provengono, come ci si poteva aspettare, dalla componente più di destra dello schieramento politico (Lega e Fratelli d’Italia), seguita ad un’incollatura da Forza Italia e Movimento 5 stelle, oltre che dal popolo degli astensionisti.
Ma anche la sinistra non scherza affatto. Soprattutto la componente di sinistra più estrema (che si dichiara appunto di sinistra e voterebbe per Articolo 1 o per Sinistra Italiana) è contraria a questa legge per quasi un terzo del suo elettorato, intorno al 30%. Come spesso accade, quando si parla di diritti civili, sono gli elettori del Partito Democratico quelli che maggiormente si trovano convinti della correttezza di legiferare in questo senso: l’accordo con la legge giunge da oltre l’80% di loro.
Mettessero qualcuno di loro a curare la comunicazione del Pd, direbbe Luciano Violante, forse le cose cambierebbero…
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