Partiti e politici
I “radical-chic” del fronte del No: un’araba fenice
I risultati delle ultime consultazioni elettorali dello scorso weekend hanno dunque confermato, in massima parte, le aspettative della vigilia: un pareggio per 3 a 3 tra centro-destra e centro-sinistra, ma con l’incognita della Valle d’Aosta dove, pur divenendo il primo partito, la Lega ha poche chance di governo. Niente sette a zero, quindi, per Salvini e la sua coalizione, ma nemmeno quel 6 a 1 in cui forse alla vigilia del voto aveva sperato, con la non impossibile conquista di Toscana e Puglia, fossero scesi in campo candidati più credibili in rappresentanza di quell’area politica.
Ma il dato che maggiormente fa discutere, certamente non inedito essendo una tendenza ormai di medio periodo e che promette peraltro di divenire una costante anche per il futuro, è quello relativo ad una frattura centro-periferia che viene ribadita anche in questa occasione elettorale, sia nelle consultazioni regionali ma soprattutto in quella referendaria.
Accanto alle evidenti differenze tra il voto in provincia e quello nelle città, già riscontrato nelle precedenti regionali in Emilia-Romagna e di nuovo in questa ultima tornata elettorale, anche la performance del partito del NO ha in molti casi evidenziato il suo buon successo nelle metropoli e ancor di più nelle sue zone centrali, venendo presto ribattezzato il “partito delle ZTL”, le uniche aree territoriali dove cioè il rifiuto del taglio parlamentare è riuscito a prevalere. E dove i suoi elettori hanno guadagnato l’appellativo un po’ sarcastico di “radical-chic”, ipotizzando una loro profonda alterità con il popolo che abita le aree più periferiche.
Ma come sono fatti dunque coloro che hanno scelto di testimoniare la propria negatività rispetto alla riforma fortemente voluta dal Movimento 5 stelle, e approvata a larga maggioranza dal resto degli italiani che si sono recati alle urne?
Le evidenze empiriche rilevate attraverso le indagini demoscopiche descrivono certo un elettore caratterizzato da elementi un po’ più eccentrici, se confrontati con quelli dell’italiano medio. Ma innanzitutto, occorre sottolineare come, al contrario di quanto si è evidenziato per le aree centrali di alcune metropoli, in nessuna delle caratteristiche socio-demografiche, occupazionali o relative al livello di scolarizzazione il No abbia prevalso sui Sì, con l’unica eccezione che riguarda le tendenze politiche, nello specifico per gli elettori dei partiti minori della sinistra (Leu o La Sinistra) e del centro-sinistra (+Europa o Azione), certamente più preoccupati di veder ridotta la propria rappresentanza con il possibile taglio dei parlamentari. Ma anche in questi rari casi il No vince di pochissimo, di 3-4 punti percentuali, segno che nemmeno in queste aree politiche ci sia stato un plebiscito contrario alla riforma.
Per trovare un gruppo di soggetti dove il No sia prevalente in maniera significativa (diciamo per almeno il 60%) occorre tenere contemporaneamente in considerazione diverse caratteristiche, e cioè: che siano laureati o studenti universitari o liberi professionisti, che risiedano nelle grandi città, che si dichiarino di sinistra o di centro-sinistra, che abbiamo un elevato interesse per la politica e, infine, che abbiano meno di 30 anni. Ritagliando questa figura, ci troviamo di fronte ad un gruppo che rappresenta peraltro poco più dell’uno per cento della popolazione elettorale. E anche tra di loro, comunque, il voto non è certo plebiscitario: i No prevalgono sui Sì per 61 a 39.
Il che significa che, a conti fatti, i cosiddetti “radical-chic” siano meno dell’uno per cento degli elettori, molto lontani dunque da quel 30% che ha ottenuto il fronte del No.
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