Partiti e politici
Guerra per le poltrone, chiacchiere sulla Costituzione. Giorgia, dov’è la novità
La nuova Italia di Giorgia Meloni probabilmente esiste. Ma di sicuro sta nascosta molto bene sotto le sembianze di quella vecchia, sempre criticata per i giochetti e le spartizioni di potere quando si sta all’opposizione, e immediatamente replicata magari perfino con delle “migliorie” quando invece si finisce al governo. Le vigorose smentite dei colonnelli e dei tenenti, insomma dei fedelissimi della Comandante, suonano come altrettante imbarazzate conferme. Basta seguire con continuità le interviste di Francesco Lollobrigida, cognato di Giorgia e nel suo governo ministro dell’Agricoltura, ma di fatto sentito da tutti i giornali come portavoce di Meloni. Di Agricoltura non sambra parlare spesso, almeno nelle interviste che rilascia, mentre passa il tempo a parlare di politica. A mettere in fila, con la voce dell’ufficialità, nelle parole d’ordine e anche, forse soprattutto, nell’ordine delle parole. Intervistato oggi dal Corriere della Sera dice più o meno tutto quel che ci si aspetta dalla vecchia politica. Prole politiciste sempre, e soprattutto un’alta cotrina fumogena sulle questioni politiche e di governo, di politics e di policy. Così, al consiglio dei ministri “il clima era sereno”. E naturalmente non gli risulta che mai il suo partito abbia avuto interesse alla spartizione delle poltrone che definiscono il potere. “Ce ne siamo sempre tenuti fuori”. Il fatto di essere stati all’opposizione potrebbe aver favorito questo eroico afflato di disinteresse, ma è solo una nostra insinuazione.
Dietro alla prima cortina di parole, naturalmente, se ne trovano altre. Che però almeno descrivono qualche pezzo di realtà politica attuale. La vicenda dei rinnovi dei vertici di enti pubblici e parapubblici di diversa natura e funzione, che arriva peraltro subito a valle delle nomine delle più importanti aziende partecipate dallo stato, è in effetti abbastanza significativa sia delle specchiata vocazione di chi governa, sia dell’abitudine e attitudine delle opposizioni di fare battaglie nel merito delle questioni, e comprensibili per la società. Le giocate più smaccate la maggioranza le ha messe a terra su INPS e INAIL, dove attraverso lo strumento normativo si è proceduto a un cambio di statuto che provoca la decadenza anticipata dei Consigli di amministrazioni, ovviamente a partire dai rispettivi presidenti, Franco Bettoni e Pasquale Tridico. Chi li occupava prima se ne va, e c’è così una bella e ricca infornata di poltrone da dare a studiosi di area, sottogoverno assortito, politici non candidati o non rieletti. In maniera analoga del resto, quasi facendo le prove, la stessa maggioranza aveva agito su ANPAL, cancellando “per legge” il consiglio di amministrazione ancora in carica. Tridico, che ha guidato l’Inps finora, è una figura simbolo della stagione grillina, un teorico del reddito di cittadinanza. La sua nomina, a quel tempo, fu di malavoglia sostenuta anche dalla Lega di Salvini, esattamente come il reddito di cittadinanza: lo stesso Salvini che esulta oggi per il suo depotenziamento e per l’allontanamento di Tridico. Del resto, contro l’introduzione del reddito di cittadinanza, il Pd di allora fece una battaglia senza quartiere, salvo poi difenderlo strenuamente quando questo governo ha annunciato di volerlo revocare. Nella scorsa legislatura, peraltro, lo stesso partito ha fatto contemporaneamente le barricate contro il reddito e un governo con chi ne faceva la sua bandiera, quindi non ha senso stare a sottolizzare troppo sui dettagli.
Ovviamente, meno eclatante dal punto di vista delle scelte legislative, ma più simbolica e mediatica la vicenda della Rai. Carlo Fuortes, l’attuale presidente, è un manager della cultura con una lunga carriera nel parastato. A un certo punto incontra Dario Franceschini, allora ministro della Cultura, che si fida molto di lui perchè si occupi di teatri ed enti lirici importanti in crisi. Per vie non facilmente sondabili, poi, diventa grazie a Daniele Franco e Mario Draghi presidente della Rai. La più alta carica della tv di stato, da sempre, è oggetto di bramosie e attenzioni spasmodiche da parte dei partiti che, appena arrivano al governo, cercano di nominare qualcuno che può “garantire i nuovi equilibri”: cioè accompagnare chi fa televisione a fare del bene agli occhi e al cuore di chi comanda. Tuttavia Fuortes non è rimuovibile così facilmente, e quindi si è creato una norma ad personam – meglio sarebbe dire contra personam – per aprire uno spazio e una posizione lavorativa che potesse essere adatta a lui. Nasce così la norma che vieta ai sovrintendenti dei teatri di restare in carica oltre i 70 anni, pensata apposta per mandare fuori ruolo Andrè Lissner, direttore del Teatro di San Carlo di Napoli, e consentire a Fuortes di avere un nuovo incarico. Lissner ha già annunciato ricorso, ma soprattutto resta una domanda: perchè dopo i 70 non si possono dirigere i teatri, ma si può fare i parlamentari o i ministri, e mille e mille altre cose che dipendono dalla volontà di chi governa?
Sarebbe bello poter chiedere, ma servirebbe una conferenza stampa, di tanto in tanto.
Infine, e come quasi sempre quando non si sa bene cosa fare, si ricomincia a parlare di riforme costituzionali. L’ipotesi che da sempre piace a Meloni e alla destra è quella del presidenzialismo sul modello francese o, addirittura, americano. Che per il Pd tendenzialmente è fumo negli occhi. Inoltre, anche all’interno del centrodestra, le divisioni sono molte, le rivalità e le tensioni – solo quelle note – altrettante. Dato che la nostra Costituzione attuale, per essere modificata, richiede maggioranze ampie in parlamento, è molto improbabile – per usare un eufemismo – che le chiacchiere di queste settimane vadano molto lontano. Tuttavia se ne parla, e come spesso capita, parliamo di niente. Tanto nessuno se la prende e nessuno si ricorda di niente. Per averne una prova plastica, basta digitare “meloni riforma costituzionale” su Google. Il primo risultato è questo: una proposta che ha l’attuale presidente del Consiglio come prima firmataria, e che chiedeva una riforma in chiave sovranista della Costituzione. Era datata all’inizio della scorsa legislatura, a parlamento appena insediato, quasi a dire quale sarebbe stata l’identità dei Fratelli d’Italia nel nuovo parlamento che stava per produrre il governo Conte 1. Una proposta per sfidare i 5 Stelle e la Lega (di allora) sul loro terreno. Nessuno se ne ricorda più, e nessuno chiede niente. Anche in questo caso, appunto, servirebbe una conferenza stampa.
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