Partiti e politici

Evoluzione o involuzione nei 10 anni dei 5 stelle?

13 Ottobre 2019

C’era una volta la piazza: migliaia di cittadini ci andavano per ascoltare e seguire Beppe Grillo, durante le mobilitazioni del 2007-2008 (i V-Day) per un Parlamento pulito o per un’editoria più libera. Il nascente movimento riusciva in quelle occasioni ad ottenere una visibilità significativa sui media, benché molti dei commenti cercassero soprattutto di ridicolizzare, sottolineandone il carattere effimero, l’iniziativa politica del comico (“prova tu a fondare un partito…”).

Dal punto di vista elettorale, in quegli anni, c’era invece poco o nulla. Qualche presenza a livello locale, senza incidere. I limiti di quelle esperienze fanno emergere la necessità di costruire un riferimento politico comune a livello nazionale. Nell’ottobre 2009, al Teatro Smeraldo di Milano, viene dunque fondato il MoVimento 5 Stelle. Beppe Grillo propone un non-programma con più di centoventi obiettivi da realizzare e un “non statuto” che stabilisce le regole di adesione e alcuni principi organizzativi. Il nuovo soggetto politico si presenta con un profilo diverso rispetto ai partiti tradizionali per le idee, le forme organizzative e il tipo di rapporto con i cittadini.

Ma è il 2012 l’anno della svolta. I risultati elettorali e le intenzioni di voto cominciano a sorridere al MoVimento: le adesioni crescono, e la sostanziale compattezza che caratterizzava i votanti per il M5s agli esordi del loro percorso politico tende a scemare. Precedentemente, nel movimento, si distinguevano due tipi principali: i delusi dalla sinistra, che avevano trovato qui un nuovo interesse per la partecipazione politica, e i neofiti, che avevano trovato qui l’occasione per iniziare a partecipare in prima persona alla vita politica del paese.

Le anime che popolano il movimento dal 2013 in poi, in occasione dell’impensabile successo elettorale (il 25% dei consensi), ancora migliorato cinque anni dopo (33%), sono alquanto più variegate, con una significativa crescita dell’area più di destra e quella più “qualunquista”, rispetto alla situazione esistente agli albori. Come diventa presto evidente, il potenziale elettorale di questa nuova formazione dipende dalla capacità di parlare alle diverse anime, con toni e accenti trasversali, per dare motivazioni a tutti. Una cosa relativamente semplice stando all’opposizione, ma piuttosto complicata quando si è al governo, prima a livello locale e poi, dal 2018, a livello nazionale.

Perché sottolineare specifiche parole d’ordine (troppo “di sinistra”, oppure troppo “populiste”) e avallare o adottare specifiche politiche ha come conseguenza immediata quella di allontanare una o più delle consistenti parti di questo elettorato non omogeneo, formatosi attraverso un percorso scaglionato nel tempo.

Così l’iniziale struttura “movimentista” e le proposte quasi da sommatoria di “single-issue parties” poco alla volta viene contraddetta dal ruolo che il M5s svolge nei governi centrali o periferici in cui è presente. L’evoluzione (l’involuzione) del Movimento è sotto gli occhi di tutti: alleanze con la destra e con la sinistra; politiche prima anti-europeiste e poi in accordo con la UE; assenza di leader (uno vale uno), poi personalizzazione e poi ancora “direzione collegiale”; strategie abbozzate e presto contraddette, in cerca di un contatto duraturo con i propri elettori, che da almeno un anno non capiscono più esattamente cosa sia la forza politica che li dovrebbe rappresentare.

Perché un cittadino dovrebbe scegliere oggi, al suo decimo compleanno, il M5s? Farlo diventare un brand politico “comprensibile” sarà dunque l’arduo compito che si appresta a sostenere la nuova direzione, pena il dissolvimento di un movimento che pareva invece destinato a mutare definitivamente il quadro politico-elettorale.

 

 

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