Partiti e politici
Dentro la manifestazione anti-Trump
Cominciamo con un gioco.
Avete presente “Where’s Waldo?” (in Italiano “dov’e’ Wally?”), il gioco dove bisogna trovare il nerd con occhiali e maglia a strisce confuso tra una marea di persone?
Facciamone uno simile usando alcune foto scelte a caso scattate alla manifestazione new yorkese contro Donald Trump. Il gioco qui si chiama “dov’e’ il nero?”: vince chi trova il primo AfroAmericano.
Pronti? Via, giochiamo!
Trovato? No?
Riproviamo. Vediamo se troviamo un AfroAmericano alla manifestazione contro il Presidente razzista.
Ancora niente?
Non preoccupatevi, non e’ colpa vostra. Perche’ alla manifestazione per trovare un AfroAmericano bisognava guardare qui…
…tra le Forze dell’Ordine.
Stiamo volutamente esagerando, ma solo fino a un certo punto. Il 90% della gente in piazza e’ bianca, e tra questi la stragrande maggioranza sono studenti – che a New York vuol dire NYU o Columbia o New School o un’altra Universita’ dove la retta annuale oscilla tra i 40 e gli 80 mila dollari.
Se e’ un bene che la generazione dei Millennial abbia finalmente capito che condividere un link o un commento su Facebook siano gesti neppure qualificabili come “azioni”, e’ stato sicuramente straniante vivere una manifestazione dove tutti gli slogan – tutti – ribadivano i diritti delle minoranze etniche e dei poveri senza che i rappresentanti di quelle stesse minoranze fossero scese in piazza a protestare in modo nemmeno consistente ma perlomeno degno di nota.
Gridavano “Latinos rights matters”, ma i latini non dovevano essere molto preoccupati visto che se ne vedevano pochissimi, confermando il dato elettorale che vuole il 27% dei latinos aver votato per Trump – la stessa, identica percentuale di Mitt Romney nel 2012.
Gridavano “Black lives matters”, ma di AfroAmericani in piazza ce ne erano ancora meno, confermando il dato elettorale che vuole l’elettorato di colore in netta discesa per Hillary rispetto ai tempi di Obama, mentre sugli stessi livelli di Romney per quel che riguarda Trump.
Gridavano slogan femministi tipo “pussy grabs back” e di donne ce n’erano eccome; ma ce ne sono state anche tante per Trump, dal momento che – come illustra questo articolo definitivo del New Yorker – le donne bianche non-laureate hanno votato come i loro mariti, e al 78 % (settantotto!) hanno scelto Trump invece che la loro campionessa.
Certo, la massa di persone faceva spavento e ci si e’ sentiti davvero dentro una puntanta di Madmen, tanto che alcuni poliziotti si sono immedesimati nella parte, optando per un look tardo anni ’60
Ma il dato di fondo resta. Da una parte ci sono le classi piu’ istruite, concentrate sulla fondamentale battaglia per i diritti delle minoranze, che pero’ falliscono clamorosamente nel trattare con altrettanta attenzione i diritti dei lavoratori bianchi – che non si capisce di cosa siano colpevoli se non di essere poveri, e bianchi.
Gli Stati della Rust Belt, gli Stati industriali del nord un tempo roccaforte democratica sono crollati ad uno a uno e sono loro – come dimostra senza appello il New Yorker – ad aver fatto la differenze. Questa manifestazione li dipinge come indegni razzisti: ma queste sono le stesse persone che nel 2008 e nel 2012 hanno votato in massa per un AfroAmericano con un nome Mussulmano.
Mentre il corteo marcia come un sol uomo lungo la Fifth Avenue, sotto l’Empire
Mi chiedo perche’ i loro problemi non meritino la stessa considerazione di quelli – assolutamente legittimi – delle minoranze.
E’ una domanda che noi, nel nostro piccolissimo, ponevamo gia’ a marzo scorso, quando durante le Primarie facevamo notare con sorpresa come in questi Stati la Clinton facesse una fatica terribile, tanto da perdere Wisconsin e Michigan a vantaggio di Sanders e farcela per un soffio altrove, e che fa pensare a molti che con Sanders l’esito sarebbe potuto essere diverso (anche a Bill Clinton, che infatti sulla necessita’ di concentrarsi sulla Rust Bell ha insistito – inascoltato – per tutta la campagna, come racconta il New York Times qui).
All’orizzonte, pero’, compare la fortezza di Morgoth: la Trump Tower, la dimora del Sauron miliardario diventato Presidente degli Stati Uniti grazie al voto di quelli che non hanno i soldi per pagarsi il college.
Mi chiedo, impaziente, cosa accadra’ ora, dal momento che accanto a me e’ comparso il generale dell’esercito ribelle, che col piglio di Aragorn e’ intento a dare istruzioni alle truppe.
Ma questa piu’ che una compagnia dell’Anello, a me pare una compagnia del Tinello – dal nome della Stanza di Mezzo, quella tra cucina e salotto, vezzo della borghesia milanese – e invece della lotta dura senza paura, ci si accontenta di un sit-in dove noto che la mia vicina di sit esibisce un look di un certo livello
E infatti lei mi passa il suo iphone 7 chiedendomi di immortalarla con l’amica mentre alza un cartello per i diritti umani. Io obbedisco e caspita, mi rendo conto di quanto l’iphone nuovo faccia delle foto assai migliori del vecchio iphone 6 S. Non avrei detto.
Il tempo passa, si canta “love trumps hate – l’amore vince sull’odio”: al netto del gioco di parole, siamo in tutto e per tutto ai livelli di Silvio e del suo mitologico “l’amore vince sempre sull’odio” del 2008
Chissa’ che se ne fa, mi chiedo, l’operaio del Wisconsin dell’amore quando gli manca il lavoro e la possibilita’ di mandare i figli al college. Ma proprio mentre mi faccio un giro e scorgo una simil-sosia di Hillary con la gente in coda per fare la foto
ecco che scoppia il boato.
Stanno caricando? Hanno sfondato? Trump si e’ affacciato alla finestra?
Freneticamente mi ributto in mezzo per andare in prima linea e capire cosa e’ successo.
Niente di tutto cio’: un gruppo di commessi che lavora da Valentino sta salutando e incitando la folla che reagisce con grida e urla di giubilo.
Un’istantanea migliore per descrivere la manifestazione di oggi sarebbe difficile da trovare: tante buone idee, ma con un occhio di riguardo per lo Stile.
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