Partiti e politici
Contro le grandi città si possono vincere le elezioni, ma non governare
Quello che ormai era scontato, è infine successo. I candidati di centrosinistra arrivati al ballottaggio hanno conquistato tutte le principali città, a cominciare da Roma e Torino. L’attuale capitale e l’antica sede del Regno si aggiungono a Milano e Napoli conquistate trionfalmente al primo turno di due settimane fa. La vittoria risicata della destra a Trieste non scalfisce un quadro netto, e rafforzato dalla conferma dell’uscente sindaco di centrosinistra a Varese, o dalla conquista di Latina. Due vittorie di provincia in due territori che non rappresentano certo la storia delle roccaforti rosse.
Naturalmente non cambia il quadro di prospettiva che tratteggiavamo dopo il primo turno: vincere a mani basse nei centri urbani medi e grandi non significa vincere le elezioni politiche in un paese che per il 90% è abitato da cittadini di centri medi piccoli e piccolissimi. Il dato è tanto più vero in un tempo in cui, globalmente, sembra consolidata la divaricazione tra le sensibilità delle città e quelle delle “contee”, al netto di effetti socio economici dell’attuale pandemia che al momento nessuno può ragionevolmente prevedere.
E tuttavia, guardando lo scenario politico italiano nel suo complesso, sembra possibile spingere l’analisi un po’ più in là. Il centrodestra italiano ha un problema raffigurato con nettezza da questi risultati. Un problema più grave della pur grave assenza di una classe dirigente credibile, e di processi di selezione di candidati politici o civici appena potabili, anche per un elettorato abbastanza tollerante. Dicevamo, però, che il problema è più grave, e riguarda il rapporto con un pezzo di società decisivo nel governo della società e dell’economia: in sostanza, l’essenza della politica. Infatti, storicamente, è difficile rinvenire momenti in cui chi era brutalmente sconfitto e minoritario in tutte le principali città italiane, riusciva a instaurare governi solidi e duraturi a livello nazionale. Non stiamo parlando qui solo di “numeri”: vincere le elezioni nazionali pur perdendo nei principali centri urbani resta ampiamente possibile. Nel presente contesto, addirittura, perfino probabile, tanto più se si considera l’esiguità di voti assoluti espressi nelle elezioni “più astensioniste” della storia italiana. Il tema è tutto politico: senza un rapporto solido – magari anche dialettico, ma almeno credibile – con quel concentrato di potere, interessi, intelligenze, innovazioni, contraddizioni e diseguaglianza che sono le città, al governo magari ci si arriva. Ma non si dura. Naturalmente è vero anche l’opposto, per le ragioni uguali e contrarie che abbiamo tante volte evidenziato, cui si aggiunge in questo caso la brutalità dei numeri.
Insomma, un paese diviso e spaccato, in cui le èlite e le rendite urbane si specchiano in un popolo dimenticato che urla appena fuori. Delle due metà serve fare una qualche sintesi. Non riguarda solo i non preoccupanti destini delle classi dirigenti, ma tanto di più quelli di una società che ha davanti un futuro incerto, come sono le cose ignote. E proprio questo, sarebbe bello occuparsene con lo sguardo di chi – per davvero – pensa alle prossime generazioni.
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