Dimissioni di Lupi: in democrazia nessuno è indispensabile
A parte le grida di scandalo lette e ascoltate negli ultimi due giorni tra social e tg, la vera ragione per cui il ministro Lupi doveva dimettersi l’ha […]
Lupi si dimetterà? Oppure resisterà strenuamente? Cosa otterrà Alfano da Renzi per l’eventuale successione al ministro delle infrastrutture? Domande, queste e altre, alle quali avremo presto una risposta dai fatti, dagli eventi che seguiranno. Tuttavia, ci sono domande a monte che l’ennesimo scandalo della politica italiana – il primo di questa portata, a livello governativo, nell’era Renzi – alle quali i fatti prossimi venturi non daranno risposta. Eppure ha molto senso farsele, perché attraversano ancora una volta quell’incrocio pericoloso che unisce e fa regolarmente confliggere la politica con l’economia, la morale con la legge, il diritto con l’opportunità. E la domanda, di fondo, è una: che affidabilità dà un leader politico di innegabile forza e talento, al secolo Matteo Renzi, che dopo un anno di lavoro braccio a braccio con Maurizio Lupi lascia ampiamente intendere che è pronto a scaricarlo, alla prima rivelazione (probabilmente non penalmente rilevante, ma certamente moralmente assai problematica) frutto di intercettazioni?
La domanda pare cruciale. Pensiamo alla vita e al lavoro di ciascuno di noi. Ai nostri capi, o ai nostri sottoposti. Ai nostri collaboratori, colleghi, alle persone con cui lavoriamo gomito a gomito ogni giorno. Pensiamo al dovere di fare scelte di grande responsabilità e peso (è quello che capita a un presidente del consiglio, su questo non ci piove), e alla possibilità di scegliere collaboratori di cui ci fidiamo, perché ci aiutino nel compito e, a loro volta, abbiano le loro belle responsabilità da ottemperare con onestà e professionalità. Nel caso di specie, poi, non parliamo di un ministro simbolico e senza portafoglio – si pensi al ministero alla giovinezza a suo tempo affidato a Giorgia Meloni, per capirci – ma a uno dei ministeri più pesanti della politica italiana, e nel mezzo di un’epoca di grave crisi nella quale, a torto o a ragione, si sono affidate speranze e attese di rilancio di un’economia che era e resta stagnante e lenta, al di là delle grida miracolistiche un po’ premature delle ultime settimane.
Ora Matteo Renzi, per equilibri politici, per alchimie di palazzo, per necessità di stabilità, per un voto fatto a un santuario appenninico di cui sono devoti sia lui sia Lupi, una scelta precisa asuo tempo la fece: decise di confermare Maurizio Lupi allo stesso ministero che, a suo tempo, gli aveva affidato il compagno di intergruppo per la sussidiarietà Enrico Letta. Conferma tra le poche, in quel tormentato e spietato passaggio di testimone tra compagni di partiti, assieme a quella di Beatrice Lorenzin alla Sanità e di Angelino Alfano agli Interni. Maurizio Lupi non appartiene alla categoria di politici che sta lontano dal potere, anzi, la sua carriera, qui ben ricostruita da Giuseppe Alberto Falci, è di quelle che mostrano lunga abitudine alle pratiche – fisiologicamente ciniche, nessuno si scandalizza troppo – che la gestione del potere porta con sé. Per capirci, Maurizio Lupi ha mantenuto la carica di amministratore delegato di Fiera Congressi per oltre dieci anni dopo essere diventato parlamentare Pdl, e la sua militanza nel pezzo più politicista ed avvezzo agli affari di Comunione e Liberazione non era un mistero per nessuno: figurarsi se poteva esserlo per Renzi. Il quale, peraltro, ha lavorato un anno poi gomito a gomito con Lupi. Non aveva niente da appuntare sul suo lavoro e i suoi metodi? Non aveva dubbi di nessun tipo sul suo operato? È segno di attenzione e leadership solide, se è davvero così?
Infine, un’ultima domanda: forse la più importante. Da stamane leggiamo retroscena sostanzialmente concordati con Palazzo Chigi, in cui si lascia intendere che proprio Renzi non ha nessuna voglia di difendere Lupi, anzi spera di raggiungere presto un accordo per il passo indietro, e che sia lo stesso Lupi a dimettersi senza spargimenti di sangue. Rituale politicista e democristiano di vecchio conio. Su questo non ho dubbi: non mi piace. Non può piacere in un’epoca che è nata all’insegna della novità. Renzi si prenda le sue responsabilità, spieghi perché Lupi deve dimettersi (e di buone ragioni ce ne sono molte), scelga meglio i compagni di strada per le prossime avventure e li sorvegli di più. E parli chiaro, che è quello di cui ha bisogno un paese che vuole voltare davvero pagina.
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Lupi si dimetterà se Renzi deciderà che può rischiare l’appoggio di NCD, dopo aver rotto l’accordo con Berlusconi.